Era
sabato, lo ricordo bene, era un sabato di novembre ed allora, 20 anni
fa, era normale che i sabati di novembre, che i giorni di novembre,
fossero piovosi.
Il
5 novembre 1994 era un sabato e come tutti i sabati avevamo fatto
riunione con i Lupetti, in quella sede SOTTO la strada, nello
scantinato, una sede che ospitava uno dei Branchi di Lupetti più
vecchi d'Italia e che resisteva da molti anni.
A
causa della pioggia, che cadeva da almeno un paio di giorni, saltò
la partita del sabato, la madre di tutte le partite, quella da cui,
trascinandoci fino quasi ai giorni nostri, mi è stato possibile
realizzare il sogno di scrivere un libro.
Tutti
a casa quindi, che dove vuoi andare con st'acqua? La mia fidanzata
era via per l'università, niente calcio, sabato sera casalingo,
all'epoca niente internet, si andrà a letto presto.
Poi
la normale pioggia di novembre inizia a diventare troppa pure per
essere pioggia di novembre, i soliti tombini che si intasano, sotto
casa mia il solito lago.
Ma
quella volta andò diversamente, perché il “solito” lasciò il
posto all'eccezionale, all'imprevedibile. Verso sera, quando ormai
era buio, saltò la luce e dalla finestra vedevamo la strada
scomparire e farsi fiume ed il fiume che pian piano saliva. Il Centa
uscì, all'altezza dello stadio, la strada di casa mia scomparve del
tutto, mentre noi a casa eravamo più incuriositi che spaventati,
perché ancora non era chiaro cosa stava succedendo, e l'unica cosa
che ci preoccupava era sapere come avrebbe fatto mio padre a tornare
indietro dal lavoro.
Poi
ricordo quel rumore, un lungo, interminabile scroscio, di acqua che
entra, si impadronisce di cose, oggetti, muri, ricordi. Affacciato
alla finestra non capisco da dove provenga, lo intuisco solamente, in
ritardo: la sede dei Lupetti, completamente allagata, sotto quasi due
metri d'acqua.
Sabato
5 novembre 1994 non capii subito cosa era successo alla mia città,
perché era buio, perché tutto sommato una volta che mio padre era
rientrato sembrava che la situazione fosse calma e soprattutto sotto
controllo.
Lo
shock, fortissimo, arrivò domenica, col chiaro.
Affacciarmi
e vedere quella interminabile colata di fango mi fece realizzare di
colpo cosa era successo; la desolazione delle strade, l'aria
spettrale, il vento che rendeva il tutto ancora più funereo, il
ponte pericolante: albenga era stata colpita, duramente ed io
accusavo fortissima la botta.
Alcuni
giorni dopo i gruppi scout di albenga parteciparono alle operazioni
di pulizia e sgombero ed io capitai nella zona delle serre: interi
magazzini ricoperti di fango, melma, merda.
E
quell'odore, acido, pungente, che ti si pianta nel naso e nella testa
e non va più via, che restò lì per giorni, mentre negli occhi
avevo ben impresse le cose, i ricordi, le vite che quel maledetto
sabato di novembre aveva rovinato per sempre.
A
22 anni, stupido ed immaturo, realizzo forse per la prima volta il
bene che voglio al posto dove ho passato tutta la mia vita, lo
capisco girando per le strade e guardando quelle cataste altissime di
cose buttate vicino ai cassonetti, lo capisco nel colore delle mie
scarpe ogni volta che esco a piedi, lo sento distintamente nello
sbigottimento della gente che ancora deve riprendersi dallo shock.
Percepisco la gravità dell'accaduto e lo riesco a codificare negli
occhi atterriti della mia fidanzata il weekend successivo, quando
torna dall'università e nel breve tratto dalla stazione a casa sua
si rende conto della situazione e resta di sasso.
Mi
scopro innamorato di albenga, di una albenga ferita e sofferente.
Un
amore che non mi ha lasciato nemmeno dopo essermi trasferito, dopo
che la mia famiglia ha lasciato la casa dove sono cresciuto.
Quel
weekend di 20 anni fa mi ha fatto scoprire il mio amore per la mia
città, mi ha fatto sentire parte di una comunità, ma ha messo a
nudo anche le mie debolezze, mi ha fatto fare i conti con quella che
ritenevo essere una corretta scala di valori e di priorità.
Quando
il mese scorso sono andato a dare una mano a genova, ho sentito di
nuovo quell'odore e tutte queste sensazioni si sono rifatte vive.
20
anni fa, dentro quel fango, probabilmente sono diventato un po' più
uomo.
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