Esce oggi per GLI ELEFANTI EDIZIONI il mio terzo libro, dal titolo ABBASSA QUELLO STEREO! Il libro, in formato cartaceo e digitale, è in vendita su Amazon cliccando qui:
Devo essermi perso qualcosa da quando mi sentivo dire abbassa quello stereo! dai miei genitori a quando ho iniziato a sentirmi dire abbassa quello stereo! dalle mie figlie. Il motivo, probabilmente, leggendo bene, si trova nelle righe di questo libro.
Alcuni racconti, legati tra loro dalla mia grande passione (grande e sicuramente insana) per la musica, per le storie raccontate nelle canzoni. Un libro che, si badi bene, più che di musica, parla di me stesso e del mio rapporto con essa, delle volte che ho sentito la mia vita dentro le canzoni e delle volte in cui le canzoni mi sono entrate dentro, cambiandomi la vita.
Grazie a chi lo leggerà, grazie a chi condividerà questo post e farà passare la voce.
Due eroi in panchina di Roberto Quartarone (Edizioni inContropiede)racconta la vita di Géza Kertész e István Tóth-Potya, due allenatori ungheresi che vennero in italia ad insegnare calcio a ridosso della seconda guerra mondiale, lasciarono ottimi ricordi e molto affetto, prima di tornare in patria ed essere coinvolti nella follia nazista.
È un libro che parla di sport e vita, un libro dove il calcio è una metafora dell'esistenza, un rifugio di bellezza davanti all'orrore, uno strumento per andare avanti.
In un dialogo nemmeno troppo inventato, i due protagonisti ripercorrono le loro carriere a poche ore dalla fucilazione.
La panchina non è solo il loro "posto di lavoro" che hanno frequentato con passione per anni, ma anche una zona isolata e lontana dai riflettori dove la loro storia è stata per troppo tempo riposta con colpevole facilità.
Insegnare i valori in campo e fuori, questo fecero questi due allenatori, per i quali fu naturale traslare questa modalità di lavoro anche nei confronti della folle realtà che si trovarono ad affrontare nell'ungheria invasa dai tedeschi.
Lo sport è passione per la vita, organizzazione, lavoro di squadra, quanto di più lontano dalla follia tedesca che li travolse.
Inevitabile, per due uomini di sport, scegliere di sacrificare le loro carriere e finanche le loro vite per opporsi a tutto questo.
Non a caso per tenersi vivi in mezzo a quell'oceano di morte, i due protagonisti parlano di calcio, ricordano luoghi, momenti, episodi, aneddoti che possano sollevarli da quello sprofondo in cui sono precipitati.
La morte non è il triplice fischio finale, perché mossi dalla stessa passione per lo sport e per la loro città, 3 ragazzi catanesi hanno ricostruito queste vicende ed hanno fatto in modo che a venissero tributati i giusti onori.
Curioso leggere che tra i parenti che hanno contribuito a tale opera di giustizia, ci fossero anche persone che abitavano a Savona.
Come in una avvincente sfida, leggendo il libro si spera fino all'ultimo che la "nostra" squadra segni il gol vincente, ma è comunque importante che anche se ampiamente dopo il novantesimo, a Geza e Istvan sia stato riconosciuto un ruolo importante nel tabellino di quella pagina orrenda.
Ovviamente le chiesi di accompagnarmi in un negozio di dischi e scartabellando trovai un vinile di un gruppo che non conoscevo (all'epoca non era certo chissà che novità), ma che esibiva sulla copertina un adesivo interessante: featuring members of soundgarden and pearl jam.
Uhm
Sti Temple of the dog non li avevo mai sentiti nominare, ma il mio precario inglese mi faceva ben sperare di sentire all'opera membri di uno dei gruppi che in quel periodo ascoltavo maggiormente.
Non era ancora esplosa in me la passione per i Pearl Jam che mi accompagna tuttora, non avevo ancora ben capito fino a che punto fosse realistico e sincero il grido strozzato dei Nirvana, ma a 19 anni i soldi in tasca duravano comunque poco e quell'adesivo era un motivo più che valido.
Ebbi quindi tra le mani la testimonianza di un momento storico che ovviamente non conoscevo, né conobbi per ancora qualche anno.
Nel momento in cui il mondo si accorse di seattle era già tutto finito, dice il batterista dei MLB, citato nel libro di valeria sgarella e adesso, dopo aver divorato queste pagine, magari non condivido l'opinione, ma ne capisco e comprendo l'iperbole.
Andy Wood, maledetto figlio di puttana, perchè ti sei buttato via così?
A quasi 28 anni dalla sua morte mi sono ritrovato a pensare addirittura ad alta voce questa cosa, una volta arrivato alla fine del libro.
La storia della prima vera rockstar di seattle, perchè attenzione, jimi hendrix se ne andò in fretta da lì.
Un libro che ripercorre "la scena di seattle" da prima che il termine GRUNGE (qui ben contestualizzato ed ovviamente de-mitizzato) riempisse la bocca e le orecchie del mondo, comprese le mie.
Cosa potevo saperne io che divoravo la cassetta di ten, che prima di eddie, prima del video dove lui si arrampica sulle balaustre del teatro, era già stata scritta una pagina luminosa quanto triste della storia del rock?
Andy Wood, nato lo stesso giorno di elvis e david bowie, schiacciato tra due nomi del genere e forse anche per questa coincidenza così smaccatamente portato a stare su un palco. Andy il buffone, quello che affrontava i problemi ridendoci sopra, quello che come tutti i clown nascondeva lacrime e dolori dietro al cerone ed ai sorrisi.
La storia di andy, dei malfunkshun prima e dei mother love bone dopo è la storia di un momento musicale unico e forse irripetibile, dove una comunità di musicisti, accomunati più da una comunione di sentimenti che da suoni simili (il grunge NON è un genere musicale) trova in wood il cappellaio matto che sta per fare il botto a cui tutti in cuor loro sapevano fosse destinato.
La trama è questa, ben raccontata da valeria, con un lavoro di fonti e testimonianze importante, ma quello che resta più addosso è la sensazione, per quanto retrodatata di avere davanti agli occhi la nascita del movimento musicale che più di tutti ha caratterizzato gli anni 90.
Un movimento che andy avrebbe meritato di vivere da protagonista, non postumo.
Ma non solo.
Perchè è la storia di un ragazzo fragile che non riesce a salvarsi né a farsi salvare (la fidanzata xana e stone gossard sono quelli che capiscono meglio questa verità)
Perchè chris cornell inizia a morire in quella stanza di ospedale dove le macchine tengono in vita andy solo perchè lui lo possa vedere ancora una volta.
Perchè la presenza fugace e incostante di kurt cobain spiega già in parte la fine che farà.
Perchè la determinazione con cui eddie da chicago entra in quella scena fa capire perchè oggi i pearl jam siano non solo i sopravvissuti, ma "i classici" di seattle.
Perchè I'm gonna save you fucker, not gonna lose you non è solo per mike
Qualcosa di tutto questo si intuiva già dal film pj20, dove oltre al racconto della seattle pre-pearl jam, mi aveva colpito anche la determinazione con cui stone e jeff rivendicavano il fatto che i PJ erano la LORO band: certo che lo era, era la loro band e la loro ancora di salvezza, come quel disco in cui si trovarono a cantare e suonare in memoria della prima rockstar di seattle e che io presi per via di un adesivo Un libro che mi ha fatto tornare indietro negli anni, al periodo di scoperte non solo musicali che sono stati i miei 19\20 anni, periodo di ambizioni, illusioni, fallimenti, ma che ricordo ancora oggi come fertile e vivo. E poi con una colonna sonora meravigliosa.
Come da tradizione, la prima canzone che ascolto il 1 gennaio ha un significato simbolico ed augurale per l'anno nuovo.
Per il 2018, sono diversi i propositi, tra quelli di cui si può parlare su internet, sia chiaro, che degli altri ne parlo in separata sede con la mia famiglia.
Ad un certo punto, più o meno a metà dello scorso anno, ho avuto un calo assoluto dell'entusiasmo verso tutto quello di cui ho riempito il mio tempo libero: associazioni, libri, serate; ero arrivato ad un punto in cui non pensavo che il gioco valesse più la candela, troppe incazzature, troppe delusioni, troppi no per delle cose da cui non volevo certo guadagnarci soldi ma divertimento e gratificazioni.
Verso la fine dell'anno ho riflettuto su questo calo e mi sono accorto che molte di quelle cose mi mancavano, soprattutto perché continuavo a pensarci e a immaginarmi cose da poter fare; come al solito i 3 giorni di Su La Testa mi hanno fatto capire che a certi momenti non ho voglia di rinunciare
Sforzandomi di essere maggiormente tollerante alle frustrazioni e meno impulsivo nel buttarmi a pesce in ogni situazione, aspettandomi che anche gli altri facciano lo stesso con me, ho quindi in ballo diverse cose, novità e ritorni.
In ordine cronologico quindi:
- da domenica 7 gennaio riparte Championship Vinyl su BRG Radio; con alcune modifiche, racconterò di nuovo la storia del rock, ma seguendo il calendario
- da venerdì 12 gennaio, una volta al mese, sarò ospite su Radio Savona Sound nel programma Mr Rock, condotto da Alfa & Mr Rock; insieme ad Alfonso e Marco sto organizzando le puntate in modo che seguano pure queste un filo conduttore, se siete curiosi di sapere come, seguite il programma, ogni venerdì dalle 21 alle 23
- entro la prima metà dell'anno darò alle stampe il mio terzo libro, autoprodotto, di cui ad oggi non posso dirvi altro se non che sarà o una raccolta di poesie o una raccolta di miei scritti a tema musicale (con divagazioni sparse, chiaramente). Va da sé che quello escluso, presto o tardi, lo pubblicherò comunque. Gradite ovviamente proposte e suggerimenti su quale scegliere per primo.
- il 31 dicembre ho fatto una proposta per una ennesima trasmissione radio in una ennesima stazione radio, che di primo acchito è stata accolta molto bene; non dico altro, ma anche qui potrebbero esserci novità a breve.
Ecco quindi che con tutta questa carne al fuoco, il buon proposito di capodanno non può che essere una canzone che parli di ostinazione.
Scusa, Ameri ha concluso ieri sera il suo cammino.
Lo ha fatto nel modo migliore che potessi immaginare, un modo arrivato quasi per caso.
Lo ha fatto in una serata dove ero con vecchi amici, persone importanti nella mia vita, con i personaggi stessi del libro, in una occasione dedicata al posto dove sono cresciuto e bene o male diventato adulto.
Alla fine è stato davvero un "riportare tutto a casa" come dice il Premio Nobel, una chiusura del cerchio.
Stranamente, dopo aver raccontato del mio libro in diversi posti, per la prima volta l'ho fatto ad Albenga, giusto ieri.
Un paio di stralci del libro, qualche aneddoto improvvisato, ricordi indelebili che ho condiviso insieme a volti conosciuti e di cui abbiamo riso ancora una volta assieme.
Sono anche per la prima volta riuscito a dedicare un piccolo pensiero alle due persone a cui il libro è dedicato, proprio in presenza dei loro figli, reali o "adottivi" che fossero.
Le ultime copie sono servite nel loro piccolo proprio a finanziare la sistemazione di quel campetto parrocchiale dove ho passato migliaia di ore a fingermi calciatore, imparando tra le tante altre cose, anche a ridere di me e delle mie passioni.
Un piccolo mattoncino per dare modo ad altri ragazzini di continuare a diventare adulti dentro le mura accoglienti del Sacro Cuore, a pochi, pochissimi passi da "casa mia", in quello che ancora oggi, anzi oggi più che mai, sento "il mio paese".
Sono stati 3 anni divertenti, mi sono sentito "protagonista" in un mondo che non è certo il mio, ma che mi ha regalato questa parentesi che ricorderò per sempre.
Scusa, Ameri mi ha portato in posti nuovi, circoli, sale affrescate, radio, locali.
Dal posto dove vivo, fino al posto in cui sono cresciuto.
In attesa di capire se riuscirò ad andare a Sori dove Valeria ci prova in tutti i modi ma contro il maltempo (e la sfiga) ragion non vale, qui ci si appresta a chiudere bottega.
Scusa, Ameri e I Diari della Varicella sono stati due traguardi che non avrei mai pensato di raggiungere ed è una sensazione bellissima esserci riuscito ed è questo che voglio portare con me.
Matisklo ha chiuso e la cosa non mi ha fatto certo piacere, ma Francesco e cesare saranno per me sempre "quelli grazie ai quali" ho coronato non un sogno, ma un sogno due volte.
Ora però è ora di guardare oltre, quindi vi dico che ho qui una trentina scarsa di copie di Scusa, Ameri ed una ventina di Diari della Varicella.
Il primo costa 10, il secondo 7, se li volete entrambi facciamo 15.
Se li volete con spedizione, vediamo assieme i costi.
Richieste via mail: albertocalandriello72@gmail.com
Non ci saranno altre ristampe, anche la miglior minestra, se riscaldata, dopo un po' non è più buona, quindi se volete prenotatemeli ora, così chiudo questa bellissima parentesi.
Grazie a chi ha sopportato e supportato questa mia "incursione" nel meraviglioso mondo della letteratura, chissà che non capiti una nuova occasione.
Dopo quintali e quintali di libri sul tema, non tutti (per usare un eufemismo) necessari, mister Springsteen decide finalmente di raccontare la sua versione dei fatti.
La vita di Bruce è ovviamente argomento di massimo interesse per chi come me dentro alla sua produzione musicale ci ha vissuto centinaia forse migliaia di vite diverse, di amori, avventure, successi, delusioni consolate e quant'altro sia possibile vivere dentro a delle canzoni talmente radicate nel tuo cuore da essere davvero parte di te stesso.
Bono Vox, quando nel 1999 introdusse Bruce nella Rock and Roll Hall of Fame, disse che non c'era bisogno di leggere nel gossip per avere informazioni piccanti su Springsteen, perchè la sua vita era dentro le sue canzoni; pur smentendo parzialmente questa affermazione, dicendo che la vita e l'arte sono due cose ben distinte, Bruce però dà ragione all'amico irlandese, in quanto in queste righe ci racconta molte cose che avevamo già intuito nei suoi album.
Il primo punto da affrontare, a mio avviso sta nella volontà dell'autore di smontare molta della epicità che i suoi brani, in special modo quelli più carichi di enfasi, trasmettono tuttora. Il racconto, soprattutto dei primi anni, ha la sua forza nella assoluta normalità, tendente alla sfiga, della vita degli Springsteen. Bruce è una persona che riconoscerà presto di avere un talento e saprà farlo fruttare, ma passando prima attraverso periodi di crescita, sofferenza e dolore che ne forgeranno il carattere e gli saranno di continua ispirazione per tutta la carriera.
Della giovinezza si capisce principalmente la convinzione e la passione con cui si ostinò a raggiungere quel traguardo, che forse inizialmente non aveva nemmeno ben chiaro, grazie alla sua creatività ed al suo talento. La fatica con cui la sua famiglia sbarcava il lunario segnò profondamente l'immaginario con il quale creare i personaggi che da subito popolavano le sue canzoni, personaggi veri, umani e soprattutto credibili; credibilità che affonda le sue radici, anche oggi dall'alto del suo conto in banca, dall'aver sentito davvero vicino quell'umanità disperata di cui canta da 40 anni. Basti pensare a Factory, la canzone perfetta per rappresentare la classe operaia, così piena della vita del padre.
Da un punto di vista "musicale", a prescindere dall'apprezzamento che si può avere verso la sua discografia, questo è un libro da leggere e memorizzare come si fa con i manuali di istruzioni, una sorta di tutorial dove Bruce, novello Aranzulla, raccontando la sua carriera spiega cosa voglia dire davvero combattere per raggiungere un traguardo, senza perderlo mai di vista.
Si dà molta importanza a questo aspetto nel libro, passando sopra spesso ai rapporti familiari, di cui Bruce racconterà molto, ma sempre con pudore e discrezione e soprattutto lasciando inevitabilmente trasparire la sofferenza provata a causa dei problemi del padre, la mancanza del suo amore e l'attaccamento fortissimo alla madre. Pudore e dignità, una grande signorilità che appare chiara in diversi passaggi del libro, soprattutto in quelli più delicati, come la causa con Appel ed il divorzio; nel primo caso Bruce non nega i torti subiti, ma riesce comunque a far emergere gli aspetti positivi del ruolo del suo primo manager, senza per questo nascondere il dolore che gli causò. Nei confronti di Julianne Philips invece colpisce la delicatezza con cui si addossa interamente le colpe del fallimento, ancora prima del tradimento, per via dei retaggi infantili che gli facevano, parole sue, aver paura di essere amato.
Viene da sé che dal libro emerga fortissima l'importanza nella sua vita della moglie Patti, persona presente da moltissimo tempo nella sua vita e che qui esce fuori come vera "padrona di casa", capace di accettare ed aiutare Bruce nelle sue versioni peggiori.
Trovo molto più interessante leggere del sostegno reciproco che i due si sono dati e si danno tuttora, piuttosto che ipotizzare nuove relazioni e scappatelle da tour.
Patti ha sempre dimostrato di meritarsi un posto su quel palco e in questo libro il merito ovviamente viene confermato ed aumentato.
Anche nel menàge familiare colpisce la capacità di Bruce di raccontare la sua vita in modo normale, senza falsa modestia, senza nascondere i privilegi di cui gode, ma senza che questi diventino argomenti eccessivamente interessanti.
La musica, la musica, ecco cosa interessa, la musica!! Il racconto della domenica sera in cui Elvis si esibì all'Ed Sullivan Show, intriso di quell'enfasi che altrove è smorzata, con quel senso di unicità che rende benissimo l'idea di cosa possa essere stato, per gli americani, quella prima volta.
Andatevelo a leggere, poi cercate la parte della biografia di Keith Richards in cui racconta della prima volta in cui ascoltò Heartbreak Hotel, poi ditemi se non vi viene voglia di metter su un disco a tutto volume o, ancora meglio, fondare una rock band.
Andare via dalla città dei perdenti per vincere! Anche se lo cantò solo al terzo disco, è chiaro che fosse questo l'obbiettivo di Bruce sin dal primo momento in cui iniziò ad interessarsi di musica! La vita da solo, i viaggi in California in cerca di successo, i tentativi, le delusioni, la determinazione. Tutto contribuì a chiarire in lui dove voler arrivare e come, trovando nella ESB il gruppo ideale.
Gruppo ideale che viene descritto con franchezza, giù dal palco non è il caso di offrire presentazioni pompose, di parlare di fantasmi, padrini, uomini mitici, perchè quello lo possiamo trovare dappertutto, nei loro live; la bellezza di queste pagine sta proprio nel non nascondere che dietro a THE E STREET BAAAAAAAAAAAAAAAAND ci sono persone che hanno litigato, si sono offese, hanno portato rancore, ma che nonostante questo, sopra un palco hanno scritto pagine indelebili del rock and roll.
Certo, la dolcezza con cui racconta dei casini che combinò Danny, dei suoi problemi con dipendenze varie, parla di un profondo affetto, quello che si riserva alle persone importanti nella propria vita.
Il racconto dell'ultima serata passata a suonare assieme, con Danny che chiede di imbracciare la fisarmonica ad Indianapolis e portare per l'ultima volta (e sapevano tutti che era l'ultima volta) tutti sulle spiagge di Asbury Park è un colpo duro e commuove; in questi frangenti, appare evidente la bravura di Bruce come narratore, perchè è incredibile il modo in cui riesca a farti sentire vicino a loro, sotto a quel palco.
La parte dedicata alla morte di Clarence, se possibile, è ancora più dura; mi sono ritrovato a singhiozzare mentre leggevo delle ultime ore di vita del Big Man, non tanto per via degli episodi, più o meno conosciuti, ma per quel senso di smarrimento che ancora oggi attanaglia Bruce nel non averlo più accanto. La nuotata nell'oceano che Bruce fa dopo la morte di C, per come la racconta, vale un paio di singoli da classifica.
Altrettanto si dica per il percorso che portò Jake ad entrare nella band; in quelle righe ritrovo la mia stessa sofferenza e successiva difficoltà nell'accettarlo, ricordo perfettamente cosa provai a san siro nel 2012 e di come solo pochi giorni dopo, a Firenze, capii qualcosa che ho poi ritrovato nelle pagine di questo libro.
La parte più dolorosa e spiazzante è ovviamente quella dedicata alla sua depressione, alla fatica di scendere dal palco e vivere normalmente, alla paura di essere amato e contemporaneamente a quella di non riuscire a contraccambiare. Colpisce il modo in cui senza timore Bruce smonti la sua immagine pubblica, non solo quella "con la bandana" ma anche quella più recente, per raccontarci un'altra verità, fatta di medici, medicine, silenzi, fughe, assenze. Emoziona anche il modo in cui ci spiega come sua moglie gli abbia insegnato a diventare un padre migliore e come contemporaneamente sia riuscito ad essere anche un figlio più completo.
La nascita dei figli, specialmente del primo è nuovamente un punto da brividi, grazie alla sua capacità di trasmetterti la più piccola scossa emotiva. Living Proof.
La scrittura, punto forte del suo successo, qui è molto intima ed accogliente, ci fa entrare dentro una casa della quale non ci mostra tutto, ma comunque molto, dove vengono visitate di sfuggita le sale dei trofei e ci si sofferma di più in quelle delle emozioni, del lavoro, dei sogni.
Una delle chiavi del successo di Springsteen, sta anche in quello che emerge, verso la fine, dal suo recente incontro con gli Stones. Il capitolo dedicato alle prove in una saletta scarna ed essenziale è il manifesto di un vero prigioniero del rock and roll, che ancora oggi, dopo una carriera simile, si emoziona per un duetto e, soprattutto, per quella alchimia magica che il rock riesce a creare in situazioni minime come appunto la saletta dove provò Tumbling dice.
Altrettanto emozionante è l'umiltà con cui si mette sempre un passo indietro rispetto ai suoi eroi, gli stones appunto, elvis, gli who, tutti i gruppi visti, ascoltati e sognati da ragazzo. Loro sono i geni, lui si definisce uno che lavora duro; ovviamente sono troppo partigiano per essere d'accordo con questa frase, ma credo che anche questo atteggiamento sia uno dei motivi che lo hanno portato dove è arrivato; serietà, caparbietà, tenacia, una capacità di scrittura che ha pochi eguali. Proprio lui disse che Elvis liberò il corpo e Bob Dylan la mente, proprio lui che al primo ascolto di Like a rolling stone sobbalzò come avesse già capito tutto, in un lampo, proprio lui, a mio avviso è uno dei pochi che, pur non avendo inventato nulla, è riuscito a creare una musica che liberasse SIA il corpo CHE la mente, contemporaneamente. Non so quanti capitoli restino da scrivere a questa storia, però un libro del genere, come ho detto all'inizio, andrebbe preso ad esempio per tutti quelli che oggi cercano di farsi strada nel mondo della musica; andrebbe studiato, bisognerebbe confrontarsi con questo percorso e verificare con queste righe dove si sta cercando di andare. Un romanzo americano, che grazie al filo conduttore del rock racconta una storia più grande, che ci coinvolge anche se siamo lontani, che parla di noi anche se non ci conosciamo, come capita spessissimo nelle sue canzoni. Un grande regalo, l'ennesimo, da parte di una figura unica e temo irripetibile. So Mary, climb in.
In un mondo perfetto probabilmente certe cose non succederebbero, MA, sappiamo tutti che il mondo fa schifo e soprattutto va alla rovescia, quindi ecco che ne arriva un'altra dimostrazione:
Domani, Lunedì 11 aprile, edito da Matisklo Edizioni esce il mio secondo libro, intitolato I DIARI DELLA VARICELLA.
Racconta dei giorni DRAMMATICI in cui la mia famiglia venne assalita dal temibile morbo.
La cosa ancora più assurda è che stavolta la casa editrice lo pubblicherà in ebook, ma ANCHE in cartaceo, quindi potrò tenere in mano e sfogliare un mio libro!!!!
Per chi volesse acquistarlo, ecco il link che conferma la tragica realtà
il primo romanzo di fossati contiene a mio avviso parecchi elementi se non autobiografici, comunque figli della sua carriera musicale
nella vita di vic vincent, che conosciamo ragazzino e salutiamo ultrasessantenne, passano affetti, avventure, dolori, esperienze, crescita e Storia, con la S maiuscola dei grandi fatti, tipo l'11 settembre.
Tutto però a ritmo di musica, la musica che cambia e si evolve come il protagonista.
Dalla balera alle feste per latinos, vic e la sua inseparabile 335, chitarra grazie alla quale lui trova un posto nel mondo, vivono più vite in una.
la passione per lo strumento passatagli da giulin, personaggio meraviglioso che forse meritava ulteriore spazio e che possiamo ritrovare in certe canzoni di van de sfroos; l'amore da andreina ad anette alla moglie natalie; gli amici toni e gaetano, le peripezie, le serate avvolte da sostanze più o meno lecite (più meno che più).
E le riflessioni dolci-amare sul tempo che passa e sulla vita, caratteristiche che seppur con termini e prospettive diverse fossati ha sempre inserito nei suoi dischi.
400 pagine abbondanti che si leggono piacevolmente e che lasciano alla fine la sensazione di aver conosciuto davvero un tipo come vic, chissà forse solo sfiorandolo oppure da sotto un palco o forse nei racconti mitici di qualche "zio d'america", se ancora esistono.
Impostato come una lettera al nipote, il libro lascia in eredità un graditissimo elenco (dubito che vic e fossati userebbero il termine playlist) di canzoni che raccontano la storia di questa "vita imperfetta".
Il libro di Giordano Sangiorgi e Daniele Paletta sul Meeting delle Etichette Indipendenti racconta (benissimo) una storia bellissima. Una storia fatta di ostinazione, tenacia, forza di volontà e soprattutto tanto amore per la musica. Una storia esemplare, che dimostra come la passione spesso possa condurci molto più lontano di quanto noi stessi immaginiamo.
La voglia di fare rete, il piacere di mettere insieme diversi pezzi di una stessa scena, il cercare un coordinamento che aumenti il valore del singolo sono tutti concetti ed idee che io adoro, con le quali mi confronto quotidianamente per lavoro ma che fanno ormai parte del mio modo di pensare anche per quello che riguarda hobby e passioni, tra l'altro del tutto identiche (musica e affini) a quelle degli autori di questo libro.
Faenza come centro del mondo, di un mondo, quello della musica indipendente, che da sempre si sbatte e combatte per emergere e che da Faenza ha iniziato a prendere coscienza di sè come realtà unitaria, come movimento e soprattutto come "forza" che poteva avere una voce importante nel capitolo del music business italiano.
MEI come punto di incontro e confronto che dalle pagine del libro emerge come un'oasi più unica che rara, un tavolo davvero aperto, dove non mancano litigi ed abbandoni (tra l'altro raccontati con estrema onestà), ma dove chiunque può sedersi a portare il proprio contributo.
Una lettura piacevolissima per chi come me non è mai andato al MEI ma che comunque adora situazioni come quella, un posto dove la musica la fa da padrona in ogni angolo ed in ogni istante.
Aneddoti, riflessioni, storie anche importanti come i confronti con le forze governative.
Pagine che mi sono goduto riga per riga, immaginandomi di essere presente.
L'unico, non piccolo, problema è che a spanne direi che i 3\4 della musica di cui si parla in questo libro, a me, fa davvero cagare.
Tutta sta scena indie, davvero, la detesto quasi in blocco.
E poi, parliamone, INDIPENDENTE è uno stato professionale (slegato dalle major, libero, autonomo ecc ecc) o uno stile musicale?
perchè la musica indipendente italiana sembra, alla fine, assomigliarsi un po' tutta, nomi finto-intellettuali, testi demenzial-criptici, atteggiamenti (a differenza di gente come sangiorgi) di chiusura snobistica ed autartica, poco, pochissimo senso melodico, che va bene schifare la hit radiofonica, ma cazzo dammi un gancio per ricordarmi il tuo pezzo no?
Tutti sti cazzo di intellettualoni finto hipsters col nasino all'insù, tutti sti vorrei ma non posso, tutti sti presuntuosetti figli di papà che giocano a fare gli alternativi, tutte ste cazzo di cover band dei sonic youth
Marta sui Tubi, Dente, il MANAGEMENT DEL DOLORE POST OPERATORIO (ma porcaputtana), LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA, tutta sta riga di cani in chiesa qui (ah, si IL SORPRENDENTE ALBUM D'ESORDIO DEI CANI, crisht...) non ne salvo uno guardate, giusto qualche canzone de Lo Stato Sociale (che ho ascoltato perchè dal nome pensavo parlassero del mio lavoro), i Ministri toh e poco poco altro.
Ah, i Baustelle credo di odiarli.
Perchè
la musica indipendente è comunque anche quella che partendo da radici
classiche e magari pure mainstream ha il coraggio di portare avanti un
discorso slegato da contratti o da obblighi o da percorsi già
tracciati. Una comunità di persone che si autoproduce, autopromuove, che suona in ogni angolo gli si dia spazio. Indipendente come sinonimo di libero.
Mancano
i richiami al rock classico ed al blues, che pure in Italia hanno una
scena "indie" abbastanza ricca, manca la scena heavy metal, che almeno
dalle mie parti resta sempre bella solida, manca il cantautorato
tradizionale che almeno nella mia liguria è sempre vivo e vegeto.
Vabbè ma a parte sta botta di intolleranza mista a saccenza, che mi ha creato qualche problema nella lettura del libro (e molti di più nella vita di tutti i giorni), la storia del MEI, critiche e problematiche connesse comprese, è importante, anzi fondamentale, per la musica italiana.
Una storia comunque che era doveroso raccontare e che è giusto ed importante leggere.
Come diceva Guccini? Ah si, Non starò qui a cercare parole che non trovo, giusto, bravo guccio.
Non starò qui a fingere di parlare di una cosa che mi piace, perchè in realtà non mi piace granchè e soprattutto sarei tutto meno che credibile come testimonial.
La montagna, le rocce, le catene innevate, il rumore dei passi, la vetta.
Niente, non mi hanno mai conquistato.
421232918 anni di scoutismo, gite, camminate, rifugi, ma nulla.
Io sono un tipo orizzontale, sia come andamento che come, spesso, posizione.
E quindi, come faccio a parlarvi bene di sto libro?
lo faccio perchè, fondamentalmente sono un debole e quindi da 7\8 anni le nostre vacanze estive le passiamo, tu pensa, in montagna.
Borghi sperduti, alloggi in borgate semideserte, rioni dimenticati da Dio.
La storia che bisogna far cambiare aria alle bambine funziona sempre e quindi alè, occitania, val maira, val gesso, una scappata un anno in valtellina.
Una settimana disintossicante che onestamente, a parte gli scherzi, serve eccome, un po' di quiete, aria buona, cibo genuino, niente traffico e tanta tanta pace.
Ma, temibile, all'interno di ogni settimana in montagna, ecco immancabile LA GITA.
Camminata per rifugi che capirete bene con due bambine di 6 e 9 anni mica può essere chissà che scarpinata, ma ahimè, sufficiente a spaccarmi in due come una statua antica di fronte ad un commando dell'isis.
La prima volta che la sperimentai vi dico solo che luvi aveva 3 anni ed io scappai per evitare di portarla sull'apposito zaino, lasciando l'incombenza a mia moglie.
Al sesto mese di gravidanza.
Ok, come premessa, per eliminare ogni possibilità che mi pensiate esperto di montagna direi che basta, no?
Lo scorso agosto, nella nostra settimana, abbiamo conosciuto Irene, che ci ha fatto da guida in una gita all'alpeggio, camminata di un'oretta, per raggiungere appunto una famiglia di pastori che d'estate salgono su col gregge per 2\3 mesi.
Le mie figlie si sono innamorate all'istante di Irene, specialmente Luvi che fresca di ingresso negli scout assorbiva ogni sua parola con espressione estasiata, tempestandola di domande ed in breve eleggendola a sua divinità delle vette.
Dopo 25 metri le aveva già entrambe per mano.
Io dopo 37 ho visto la madonna con delle piantine di genepi.
Ma sto libro, a parte tutto, è proprio bello, perchè il contesto non è certo il mio ideale, ma le storie che Irene e Giacomo raccontano vale la pena conoscerle; storie di donne che contro ogni logica hanno deciso di trasferirsi in montagna e trovare lì il modo per vivere, non limitandosi a sopravvivere.
Montagna che da tanto, ma che chiede altrettanto ed in anticipo, vita dura, sacrifici, rinunce, delusioni, tanto silenzio ma alla fine l'acquisizione di una forza imbattibile.
Si legge nelle pagine di Irene l'amore e l'ammirazione verso queste donne, dovuto soprattutto al fatto che lei stessa ne fa parte, giovane coraggiosa e determinata che parte dal mare e sale in alto, col sorriso bello e felice che le ho visto per tutta la giornata passata assieme, il sorriso di chi tra contratti a termine e mille lavoretti mai sicuri, è però nel proprio ambiente naturale di cui è innamorata.
Le pagine di Giacomo invece sono ricche di uno stupore inevitabile, per chi spesso non si aspetta di trovarsi di fronte a persone del genere.
Un libro che va via veloce come un cerbiatto su una scarpata (ommadonna), ma che ti conquista subito, perchè ti immerge in un mondo duro e quindi reale, ma te ne fa intuire la stupefacente bellezza.
Irene scrive meravigliosamente bene, con ironia e con la capacità di trasmettere le sue emozioni e le sue aspirazioni, i suoi scarponi la porteranno sicuramente in alto.
C'è qualcosa di tremendo e allo stesso tempo consolatorio nei versi di enzo.
Come se qualcuno ci avesse portato dentro un involucro sicuro ad assistere ad un cataclisma e noi vivessimo contemporaneamente il terrore e la consapevolezza della nostra fortuna, nell'essere al sicuro.
Consapevolezza però che non deve lasciarci dormire sui cosiddetti allori, perché la babilonia nella quale enzo si immagina, non è così lontana ed il nostro involucro, forse, non è così sicuro.
Durezza, una durezza che non fa sconti e che non sfiora mai il paraculismo, a babilonia non si fanno prigionieri e le rime sono affilate, velenose, spigolose, feriscono e colpiscono duro; ma esiste, forse una via d'uscita.
Leggo, nelle poesie di enzo, la voglia di salvarsi, la voglia di portare in salvo da questo girone dantesco che ci ostiniamo a chiamare vita, gli affetti, gli sguardi, le persone care.
Per quanto abusato, il termine metropolitano calza a pennello ad enzo ed alla sua arte, così pregna di asfalto, segnacci di incidenti vecchi e nuovi, ma così desideroso di portarci altrove.
Anzi, più che altro, ho un problema con Jim Morrison.
Non che non mi piaccia la loro musica, non sono un fan accanito, ma "le basi" ce l'ho insomma.
Relativamente ai dischi dei Doors, anni fa, avevo provato a sviluppare una mia teoria, incompiuta ed abbastanza inconcludente, che in parole povere diceva:
la cosa che mi lascia perplesso dei Doors è la eccessiva differenza tra i loro "classici" e i restanti pezzi.
Nel senso che tra The end, When the Music's Over e via cantando e i brani meno noti c'è un abisso, mi mancano i pezzi che dentro un disco magari non spiccano, ma che danno continuità ed aggiungono valore.
Un buon centrocampo, di gente magari senza piedi eccelsi, ma che tira la carretta e porta acqua, in attesa del colpo da maestro dei fuoriclasse.
Si, lo so, non è chiarissima, come teoria.
Però di fondo resta il fatto che i brani dei Doors, per me se dividono in bellissimi ed insignificanti.
Jim Morrison, invece.
La fase Jim Morrison credo sia una tappa obbligata dell'adolescenza. Arrivi ad un punto in cui il suo alone di misticismo e maledizione ti attrae, ti coinvolge, fino a quando riesci a guardarlo con un po' più di distacco e ne prendi le distanze.
Il Mito Jim Morrison di solito è abbinato alle prime sbronze, alle prime esperienze con le droghe, ai primi sballi.
Una volta filtrato tutto questo, cosa resta di Mister Mojo Risin?
Un artista valido, validissimo, ma schiacciato dalla sua stessa sopravvalutazione e dal suo ego, dalla fragilità della sua psiche e dal "mostro" che aveva creato.
Un poeta? Si, sicuramente un uomo tormentato ed ossessionato dalla poesia, dalla morte e dal fascino perverso nel giocare con entrambe.
Oggi a 40 anni suonati e a + di 43 anni dalla sua scomparsa, è forse più semplice rivalutare l'opera dei Doors e di Morrison come poeta, senza l'alone di cui sopra, senza il contesto sixties, senza lo scandalo ed il punto di rottura che innegabilmente i doors rappresentarono per l'epoca.
Cazzi duri fasciati in pantaloni di pelle, padri da uccidere e madri da scopare, incitamento alla rivolta e "faro" per una generazione, una botta non indifferente per l'epoca, che questo libro non chiarisce se costruita ad arte o genuino prodotto della mente visionaria di un poeta
Libro che gioca su questa ambiguità, limitando molto gli aspetti puramente musicali del gruppo (ci sta, è un libro su Morrison non sui Doors), ma lasciando a mio avviso troppo spazio alle bizze "da artista maledetto" del cantante.
Un viaggio interessante nella parabola umana ed artistica di Morrison, un libro da cui si capisce la folle corsa all'autodistruzione di Morrison, ma che avrei apprezzato di più se avesse dato più visibilità al lato oscuro, alla depressione, alla tristezza che si nascondeva dieto quei capelli lunghi.
Invece a tratti sembra un elenco di alcolici, altre un elenco di donne da portarsi a letto, altre ancora un mercatino della droga.
Quando uscì il film di oliver stone, la visione mi colpì forte, del resto ero nell'adolescenza di cui dicevo prima, ma ricordo che ascoltai alcune critiche proprio sugli stessi argomenti, come se da un punto di vista commerciale, tirasse di più il Morrison tossico, ubriaco ed infedele che l'artista in senso stretto.
Sia lui che il gruppo, a mio avviso meritano ben altro.