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mercoledì 2 maggio 2018

Ciao, buona domenica, ci vediamo sabato prossimo


vent'anni fa oggi, mentre ero a portare i miei ragazzi degli scout in route, ricevemmo la telefonata che non avremmo mai voluto ricevere, ma che sapevamo stesse per arrivare.

Vent'anni fa se ne andò il mio amico Pippo.
Pippo, non "il padre del capitano", non solo.

Perchè se nella nostra compagnia siamo in tanti, troppi, ad aver perso il papà per motivi fottutamente simili tra loro, Pippo era per me qualcosa di più.

Pippo magari non era un amico in senso stretto, ma l'affetto ed il bene che gli volevo andava ben oltre l'essere papà di un mio amico.
Pippo, capitano dei gialli ed organizzatore ufficiale della partita del sabato e delle settimane bianche.
Pippo, juventino, scherzoso, casinista, una persona di una bontà e di una simpatia rare, sempre pronto a dare una mano a noi ragazzi scout.

Pippo che quando a 17 anni andammo tutti a vedere un concerto a Genova doveva venirci a prendere e dopo 1 ora ancora non si vedeva, così il capitano chiamò casa e gli rispose lui, oh belin! Si era rotta la macchina e stava arrivando sua moglie.

Pippo che riuscì nell'impresa di convincere mio papà a farmi andare allo stadio a vedere la juventus, la mia prima partita della juventus!!! Aprile 1990, stadio comunale, curva maratona, juve - colonia 3-2.

Pippo che viene a prendere suo figlio, il Conte e me all'aeroporto dopo la vacanza a Londra e riceve in regalo una cornamusa; Pippo che prova a suonarla con sua figlia di pochi mesi che dorme e quando la cornamusa inizia a suonare impazzita non riesce a fermarla tra le nostre risate e la disperazione di sua moglie. 

Pippo, soprattutto calciatore infaticabile per i gialli, i nostri rivali, nostri di noi dei rossi eh, quelli del mio libro Scusa, Ameri che proprio a lui è dedicato e proprio con il titolo di questo post inizia.

Sono passati 20 anni Pippo, da quando te ne sei andato, da quando tuo figlio ci chiese di non interrompere la nostra route, da quella corsa il giorno dopo per venirti a salutare, da quella notte passata a vegliare di fianco a te ed al tuo cane che stava lì fermo, distrutto dal dolore come tutta la tua famiglia.
Sono passati 20 anni da quel funerale così partecipato, da quell'omelia scritta da tuo figlio, da quelle lacrime che non volevano smettere di scendere.

Siamo cresciuti Pippo, siamo uomini, padri, madri, zii, abbiamo pianto altre perdite e festeggiato matrimoni e nascite, chissà quanto saresti stato contento nelle giornate di festa, insieme ai tuoi amici del MASCI,

Ma oggi, come 20 anni fa, ricordo con precisione il momento in cui mi vennero a chiamare perchè mia madre mi cercava al telefono e sapevo che c'era solo un motivo perchè mi chiamasse durante una attività scout.

Ricordo tutte le tue prese in giro negli spogliatoi, tutte le volte che facevo una bella parata e per te era sempre "che culo!", tranne quella volta che giocammo assieme, forse l'unica e allora mi facesti un sacco di complimenti.

La bella persona che eri è dentro i tuoi figli, che ti assomigliano non solo nei lineamenti.

Chissà se hai visto mio papà lassù, magari vi siete fatti anche un giro a cavallo, come ai tempi della Camargue.
Magari siete tutti assieme, voi che ci mancate così tanto, Antonio, Ermanno, Walter.
Tutti a guardare sti figli maschi casinari e incerti che qualcosa di buono stanno facendo.

Ed allora stappo una bottiglia di vino, come fosse una del tuo, Pippo e brindo a te ed ai 20 anni che hai passato ad accompagnare da là i tuoi cari.

E come ci dicevi sempre dopo la partita, uscendo dallo spogliatoio, ti saluto così:
Ciao, buona domenica, ci vediamo sabato prossimo.

venerdì 13 aprile 2018

Lettera Aperta a Gigi Buffon



Ciao Capitano,

chi ti scrive tifa per la Juve "da prima che tu nascessi" (che impressione scrivere sta frase!). 
Si, perché visto che sei coetaneo di mia sorella, ricordo bene che il calcio era già una passione, embrionale ed infantile, da quando dovevo ancora compiere sei anni. Nel corso degli anni il calcio è stato importante, molto importante, importantissimo. Poi sono cresciuto ed invecchiato e la passione un po' è scemata, anche se "la partita della juve" è sempre rimasta un appuntamento imperdibile.

Ho visto l'epoca del Trap, ho amato Platini come forse nessun altro giocatore mai, ho vissuto in diretta l'Heysel (quello che ancora giovedì ho sentito citare a sproposito), poi gli anni tristi, poi Lippi, poi siete arrivati tu, Pavel, Lilian e Fabio, giusto nel momento in cui io mi fidanzavo e mi sposavo, dopo l'addio di Zidane, i cui soldi sono stati investiti nei vostri acquisti.

E poi calciopoli e quella promessa di fedeltà che da te sinceramente non osavo sperare. Forse da Alex si, ma tu, il portiere più forte del mondo, che avevi vinto a 28 anni un mondiale, era logico che andassi a monetizzare altrove.

Invece sei rimasto e per me questo è stato il fatto che ti ha reso diverso dagli altri giocatori, dai campioni che comunque ho visto passare nella Juventus.
Restando in B ti sei guadagnato, quantomeno, la mia imperitura stima, nonostante, dai, di politica te ne capisca un po' poco eh.

La foto di te ed Alex negli spogliatoi di Trieste dopo il primo scudetto con Conte è meravigliosa, c'è dentro tutto, da calciopoli a quella sera, passando per i settimi posti e i pareggi in casa con il Siena.



Mercoledì sera ero convinto che avremmo perso ancora, speravo in modo dignitoso, invece non ero ancora arrivato a casa che già eravamo uno a zero, poi mentre cenavo ecco il secondo, poi il terzo, incredibile!

Vicino a me a seguire la partita, la mia primogenita, 13 anni da compiere, tifosissima juventina, innamorata della Juve dall'aprile scorso, quando vedemmo assieme Juve - Barcellona ed io non riuscii a trattenermi ai gol ed alla tua paratissima su Iniesta. Che occhi avevi quella sera Gigi, che occhi! 

Gli stessi di Berlino 2006, gli stessi di quando toglievi dalla porta il colpo di testa di Zidane!

Eravamo imbattibili in quel periodo e ce la meritavamo quella coppa, ma tant'è, la sera di Atene tu avevi 5 anni, io 11 e magari tu dormivi, ma io ricordo tutto e quindi ormai ho ben chiaro cosa significhi perdere una finale di coppa Campioni.

Mercoledì sera non tanto al momento del rigore, ma al momento della tua espulsione, mia figlia si è messa a piangere Gigi, perchè no, va bene il rigore al 93°, va bene anche essere eliminati, ma il Capitano espulso no, non lo ha sopportato. Quella espulsione ingiusta, cattiva, così stonata in quella serata eroica non te la meritavi.

Perchè la figura del Capitano è importante e tu quella fascia la porti con merito, fosse solo per l'anno di serie B.

Cosa sia successo nella tua testa dopo il rigore non lo so e non ho la presunzione di volerlo sapere, ma so che il rosso ha fatto male a mia figlia, che vede te come una specie di "eroe", senza isterismi, ma con una ammirazione gigantesca (la mia secondogenita ha proprio una cotta per te, tipica delle bambine di nemmeno 10 anni, sai come vanno ste cose).

Però Gigi, perdonami l'ardire, ma le dichiarazioni dopo la partita non mi sono piaciute, per niente. A caldo capisco la rabbia, anche se il rigore c'era, fosse solo per il gesto scomposto di Benatia. 
Capisco che essere arrivati ad un passo dalla vetta di una montagna altissima da scalare e vedersene respinti faccia male, malissimo, ma una volta dopo la doccia, speravo di ascoltare il Capitano parlare.

E lascia stare il gol di Muntari (cosa avresti dovuto dire, che era giusto così perché 7 anni prima eravamo stati favoriti da un episodio arbitrale in un'altra competizione?), lascia stare tutte le cose che puntualmente ti rinfacciano dopo ogni tua dichiarazione, però no Gigi, avrei voluto che ai microfoni parlasse il Capitano, esprimesse rabbia certo, amarezza come no, ma che si ricordasse di essere il Capitano, il Capitano della Juve e fino a poco fa della Nazionale.

Ma non per me, perché io non vedo le interviste post partita da quando ascoltai Platini rispondere fumandosi una sigaretta che lui tanto non doveva correre, perché lo faceva Furino per lui.

Speravo di ascoltare il Capitano per le mie figlie e tutte quelle come loro, che in voi calciatori vedono qualcosa di più (e di troppo) che semplici sportivi.

Per tutti i bambini che giocano in porta grazie a te.
Per tutti quelli che sognano di alzare la Coppa del Mondo come avete fatto 12 anni fa.
Per tutti quelli, in Italia ce n'è un bisogno ENORME e non solo nel calcio, che devono imparare il valore della sconfitta, ai quarti di Coppa come a scuola, sul lavoro o in una relazione sentimentale.

E voi potete trasmettergliela, voi calciatori, non Agnelli, che purtroppo ha solo il cognome elegante, ma voi che indossate la divisa della loro squadra del cuore e gli sembrate cavalieri del bene, voi che oltre ai tantissimi benefici di questa vita, avete anche il piccolo dovere di essere, ogni tanto, un po' educatori.

C'è tempo capitano, evidentemente la doccia quella sera non è bastata, ma puoi ancora svolgere questo ruolo, ti aspetto davanti ai microfoni, a spiegare che quella sera maledetta, l'uomo ha preso il sopravvento sul Capitano.
Spiegalo a mia figlia, perplessa dalle tue parole rabbiose.
Spiegalo a chi ha permesso che tu fossi visto come esempio da milioni di persone.

Mentre perdevamo a Cardiff, a Torino purtroppo una ragazza moriva schiacciata da una folla spaventata di nostri tifosi.
Speravo di non vivere più momenti del genere, speravo che nessuno dovesse più morire per una finale di Coppa.
Da quel giorno, a differenza di prima, sono io ad essere tifoso più per riflesso rispetto a mia figlia che viceversa, quindi a me interessa relativamente poco che questa storia abbia una svolta positiva.

Ma le mie figlie ed i loro amici si meritano che il Capitano parli da Capitano.
Se lo meritano e ne hanno bisogno.

Sarebbe una parata meravigliosa, come quella su Zidane o quella su Inzaghi a Manchester. O come il rigore parato a quell'altro portoghese del Real, che porca miseria, magari succedeva ancora.





Dai Capitano, metti i guantoni e fai questo ultimo salvataggio.

giovedì 5 aprile 2018

Di gol in rovesciata e standing ovation



4 agosto 1991, domenica, stadio di highbury, quello dell'arsenal, quello dove nick hornby ambienta buona parte di febbre a 90.

La makita cup, l'equivalente calcistico di un gigantesco ESTICAZZI.

Ai botteghini di highbury, 3 diciannovenni freschi di maturità, Cala, il Capitano ed il Conte.
Sbarcati a londra il giorno prima, dopo aver festeggiato la nascita della sorella del capitano nata da pochissimi giorni, due juventini ed un doriano, che però esige la presenza alla esticazzi cup. Ma del resto, vuoi non andare ad highbury?

Nel corso di quella vacanza andremo anche a wembley, a vedere la supercoppa inglese, uno squallido zero a zero tra arsenal e boh. ma chi se ne frega, eravamo a wembley.
(Io a wembley rischiai di restarci, visto che mi persi come un cretino, ma lasciamo perdere)
(andammo anche alla wembley arena a vedere i simple minds, che posto fantastico!)

Ci sistemiamo in gradinata e assistiamo a sto partitone, specialmente io ed il Capitano, concentrandoci soprattutto sulla scelta del pub post partita.

Primo tempo 1-0 arsenal.
Al 20° della ripresa vialli si inventa un golasso in mezza rovesciata volante che holly e benji scostatevi.

Highbury applaude all'unisono, tranne due dei 3 diciannovenni freschi di maturità, un po' perchè sono concentrati sulla scelta del pub post partita, un po' perchè, diciamocela tutta, essere juventini, in liguria, a 19 anni, nel 1991 era una terribile rottura di coglioni, con il doria che vinceva coppe e scudetti, il genoa che ci sbatteva fuori pure dalle pizzate delle medie e tutte le ragazze che sbavavano per vialli e mancio.
Eccheccazzo.

Passano 2, massimo 3 secondi, durante il quale highbury applaude compatto ed il terzo diciannovenne fresco di maturità, si gira verso gli altri due ed urla: APPLAUDITE BASTARDI!

Lo abbiamo percosso con alcune delle svariate pinte post partita.

Perchè io il fair play ce l'ho nel dna, ce l'ho.

venerdì 12 gennaio 2018

Due eroi in panchina - Roberto Quartarone




Due eroi in panchina di Roberto Quartarone (Edizioni inContropiede) racconta la vita di Géza Kertész e István Tóth-Potya, due allenatori ungheresi che vennero in italia ad insegnare calcio a ridosso della seconda guerra mondiale, lasciarono ottimi ricordi e molto affetto, prima di tornare in patria ed essere coinvolti nella follia nazista.

È un libro che parla di sport e vita, un libro dove il calcio è una metafora dell'esistenza, un rifugio di bellezza davanti all'orrore, uno strumento per andare avanti.

In un dialogo nemmeno troppo inventato, i due protagonisti ripercorrono le loro carriere a poche ore dalla fucilazione.

La panchina non è solo il loro "posto di lavoro" che hanno frequentato con passione per anni, ma anche una zona isolata e lontana dai riflettori dove la loro storia è stata per troppo tempo riposta con colpevole facilità.

Insegnare i valori in campo e fuori, questo fecero questi due allenatori, per i quali fu naturale traslare questa modalità di lavoro anche nei confronti della folle realtà che si trovarono ad affrontare nell'ungheria invasa dai tedeschi.

Lo sport è passione per la vita, organizzazione, lavoro di squadra, quanto di più lontano dalla follia tedesca che li travolse.

Inevitabile, per due uomini di sport, scegliere di sacrificare le loro carriere e finanche le loro vite per opporsi a tutto questo.

Non a caso per tenersi vivi in mezzo a quell'oceano di morte, i due protagonisti parlano di calcio, ricordano luoghi, momenti, episodi, aneddoti che possano sollevarli da quello sprofondo in cui sono precipitati.

La morte non è il triplice fischio finale, perché mossi dalla stessa passione per lo sport e per la loro città, 3 ragazzi catanesi hanno ricostruito queste vicende ed hanno fatto in modo che a venissero tributati i giusti onori.

Curioso leggere che tra i parenti che hanno contribuito a tale opera di giustizia, ci fossero anche persone che abitavano a Savona.

Come in una avvincente sfida, leggendo il libro si spera fino all'ultimo che la "nostra" squadra segni il gol vincente, ma è comunque importante che anche se ampiamente dopo il novantesimo, a Geza e Istvan sia stato riconosciuto un ruolo importante nel tabellino di quella pagina orrenda.

Un libro da far leggere ai corsi per allenatori.

martedì 30 maggio 2017

Totti, il Re di Roma e la Favola.



Domenica pomeriggio quindi, come è noto a chiunque non sia stato rapito dagli alieni (ma forse anche a loro), Francesco Totti ha giocato l'ultima partita con la Roma.

Dal 28 marzo 1993 al 28 maggio 2017.

Totti, er pupone, tottigo, er re de roma, la maggggica.
Ci sono quintali di retorica sul calcio e Totti ne attira altrettanti.
Totti e la Roma, Totti e Roma.

Per capire quanto sia stato viscerale, intenso, sopra le righe, ROMANO, l'amore tra Totti e la sua città, basterebbe lo striscione che recitava SPERAVO DE MORÌ PRIMA

Però anche se io non sono certo romanista e Totti di conseguenza è il simbolo riconosciuto ed universale di una rivale storica, non posso nascondere di essermi emozionato, nel vedere quel lungo, infinito abbraccio, quelle lacrime, quelle parole veramente umane, l'ammissione della paura, gli occhi smarriti.

Quanta differenza con lo sguardo freddo del rigore all'australia, quello beffardo con le dita ad indicare i 4 gol rifilati proprio alla juve, quello spavaldo dello scudetto.

L'amore tra Totti e la sua gente ha a mio avviso un valore che va ben oltre il tifo e le rivalità.

Quello che è andato in scena domenica all'Olimpico è il finale bellissimo ed emozionante di un film meraviglioso, che il calcio è ancora in grado di sceneggiare.

Perchè lo sport, tutti gli sport, ogni tanto svestono gli abiti fatti di soldi, sponsor, trucchi, inganni e tornano ad essere quella cosa fantastica che sono, ossia un collegamento diretto con il mondo delle favole.

Anche il calcio, così bistrattato, insultato, deriso, osteggiato, sa regalare questo.

Anzi, soprattutto il calcio, non per chissà che meriti, ma per il semplice fatto che è tutt'oggi lo sport più praticato.

Lo sport più praticato dai bambini.

E le favole sono per i bambini, quelli piccoli che sognano davanti ad un campo, quelli più grandi che combattono per i propri sogni, quelli adulti, a cui i sogni rimangono nonostante la pancetta, gli acciacchi, le ginocchia doloranti.

La favola che parte dai pulcini che corrono in 20 dietro ad una palla ed una parte di loro, del loro cuore, io voglio sperare una bella parte del loro cuore in quel momento non pensa ai soldi, alle macchine, alle ricchezze, ma pensa al sogno, al raggiungere un traguardo.

Dybala dopo la partita col Barcellona disse che era da quando era bambino che sognava una serata del genere.

Questo è quello che regala lo sport, il calcio, questo è il sogno.

L'urlo dei tifosi, l'applauso, l'adrenalina.

Totti ha rappresentato questo ed in più lo ha rappresentato per 25 anni nella sua città, lui che è così romano, pregi e difetti.

Chi non vive questa passione, farà sicuramente fatica a capire, ma non è importante.

Ognuno di noi ha un bambino dentro di sè che vive un sogno, che aspetta la favola, con un pallone, uno strumento, una tuta spaziale.

Questo è il senso della serata di Totti all'Olimpico.

Ho vissuto la favola, l'ho fatta vivere per anni alla mia gente.

Ho iniziato bambino, sono entrato nella squadra della mia città, ne sono diventato il capitano, il simbolo, il giocatore più importante della sua storia.

Lasciate che i tifosi provino queste emozioni, le lacrime, le urla di gioia, lasciate che restino dentro alla favola.

Non criticate quello che non provate, chi si identifica con i colori di una squadra di calcio ha spesso diverse occasioni per esagerare e trasformare questo senso di appartenenza in qualcosa di sbagliato, cattivo, violento; ieri era il 29 maggio, 32 anni dall'heysel ed ho detto tutto.

Ma Totti domenica stava raccontando l'ultimo capitolo della sua favola.

Lasciate da parte per un attimo i contratti milionari, gli sponsor, i procuratori, le mille cazzate che solitamente un calciatore fa, esiste ancora uno spazio, un momento, una serie di istanti dove il calcio vive nella sua purezza originaria, quella di uno sport che fa sognare.

Momenti dove il bambino indossa le sue scarpette per la prima volta
Momenti dove il bambino entra allo stadio per la prima volta. 
(Il mio amico Fausto, romano e romanista, ha filmato la faccia di suo figlio mentre entrava per la prima volta all'Olimpico e davvero, non so spiegare la sua espressione)
Momenti dove un ragazzino segna il suo primo gol importante e magari si immagina di essere Baggio o Del Piero o Totti, ma in quei momenti non pensa ai soldi, pensa alla gioia che prova e la moltiplica per un evento come la finale dei Mondiali o di Champions

Non pensiamo alla beneficenza fatta o non fatta, lasciamo perdere il benaltrismo del "con tutti i problemi che ci sono".
Lo sport serve anche ad uscire per un attimo da tutto questo e vivere nella favola, fossero solo 90 minuti.
Chi se ne frega dei migranti o dei VERI problemi dell'italia lo fa anche dopo il triplice fischio finale, chi invece a certe cose un occhio ce lo butta, per 90 minuti ogni tanto esce dalla realtà, non colpevolizziamoci anche per questo.

Totti non è un eroe, Totti è Peter Pan, che viene di notte e ti porta via con lui per qualche minuto; sta a noi, una volta tornati "a casa" capire la differenza con l'isola che non c'è.

Ero allo stadio il giorno in cui Del Piero giocò l'ultima partita di campionato con la Juventus, ricordo quei brividi, quel magone, la voce che se ne va per cantare ancora una volta il suo nome.

Ho ridimensionato da tempo l'importanza del calcio nella mia vita, ma momenti come questi non sono solo giusti, sono doverosi per chi ancora nella mezza età, è capace di entrare nella favola.

Chi non li vive, per una volta, provi a fare un passo indietro e a non incattivirsi, state tranquilli, passerà, magari non prestissimo, magari non velocemente come vorreste, ma passerà.

Torneremo alle nostre vite, ma con quel pizzico di magia che giornate come quella di domenica regalano a chi ha una passione.

Totti è stato un rivale, un "nemico", qualcuno la cui soddisfazione significava la mia delusione.

Però di lui ricordo due momenti, ovviamente in nazionale, che mi hanno regalato emozioni intense.

Il cucchiaio all'Olanda nel 2000, quel mezzo secondo in cui alla tv non si capiva dove fosse il pallone, prima di realizzare cosa aveva fatto ed esplodere.


Il momento che diede il via al secondo gol contro la Germania nel 2006, quello spingere via CCCCCCCCCannavaro, dopo l'ennesimo intervento perfetto, e lanciare Gilardino, quasi a dire "faccio io, questa è roba mia".


Che importa qui discuterne il valore, quello che conta è che ha rappresentato LA FAVOLA e come tale, dopo i fischi e gli sfottò (vedi rigore parato da Buffon nel 2011) merita un enorme grazie anche da me, che a 44 anni, da dentro quella favola faccio fatica ad uscirne




venerdì 5 maggio 2017

5 maggio 2002 - 15 anni fa



QUINDICI ANNI FA
il 5 maggio 2002 me lo ricordo, me lo ricordo bene.
partii di buon mattino, destinazione voghera, per un pranzo con quelli che allora consideravo amici; anzi fratelli, parola che all'epoca usavamo senza lesinarci sopra, del resto Lui ci aveva scritto una canzone, noi eravamo suoi fans pazi molto pazi, QUINDI eravamo fratelli (almeno due delle persone presenti al pranzo adesso non mi ritengono nemmeno degno di un contatto su facebook ma vabè)
Ero ben contento di andarmi a chiudere in un ristorante, tra amici, musica e parole, perchè ad albenga ci sarebbe stata la festa lungamente attesa per lo scudetto dell'inter, vinto proprio davanti alla juve.
che fosse una giornata strana lo capii svalicando a masone, dove il 5 maggio trovai una nevicata che courmayeur levati guarda, che sembri una steppa
fatto sta che ad inizio partite eravamo ancora lì, tra un dolce ed un digestivo; però niente, fu più forte di me, manco prendeva il cellulare in quel posto, così telefonai a casa, per sapere se STAVANO TUTTI BENE
ahahahahahahah a 30 anni si telefona a casa alle 3 di pomeriggio se ti hanno sequestrato e devi chiedere il riscatto o se ti hanno arrestato.
Mio padre nemmeno rispose alla domanda, mi disse solo "vincono 2 a 1".
Ok, la juve era avanti ed il secondo posto era garantito, facciamocene una ragione
Poi un bambino della tavolata volle accendere la radio
Poi come andò a finire quella giornata di campionato lo sapete eh.
ma visto che io sto ansioso, a tipo 30 secondi dal termine mica stavo esultando eh, anzi, l'armando clacsonava felice ed io mi strizzavo i coglioni, altroche.
al triplice fischio finale ad udine MA SOPRATTUTTO A ROMA tirai un urlo che il bambino se lo ricorda ancora adesso, povero.
Alla sera concerto di graziano romani in un locale chiamato THUNDER ROAD che voglio dire, ci siamo capiti
arrivai a casa alle 4 ed il mattino dopo mi svegliai alle 7
entrai in cucina senza la minima coscienza di me stesso, figurarsi di una qualsivoglia coordinata spazio temporale, trovai mia nonna, l'Amabile, interista feroce, seduta al tavolo, la cattiveria del suo sguardo mi ricordò che cosa era successo il giorno prima, ma prima ancora di riuscire ad emettere un seppur gutturale suono di saluto e sfottò, lei mi accolse come ogni nonna accoglie un nipote:
MALEDETTI BASTARDI

lunedì 5 settembre 2016

I Fratelli Piastrella (ossia il mio modo di dire FORZA MARIO!)



Il mondo del calcio ha spesso raccontato storie di fratelli compagni di squadra e perfino rivali
I fratelli Baresi, chiaramente, milan ed inter, con franco, uno dei migliori difensori della storia del calcio, scartato dall'inter a differenza del fratello beppe.

I gemelli filippini, icone degli springsteeniani da quando uno dei due dopo un goal segnato con la maglia del parma esultò simulando un assolo di chitarra uguale uguale al nostro boss, ma uguale eh?

I fratelli boateng, addirittura convocati in due nazionali diverse

nella mia carrierahahahahahahahaha (scusate, mi è scappato) di calciatorahahahahahahahaha (ok, la smetto) anche io ho incrociato storie familiari

I gemelli bestemmia sono tra i protagonisti di Scusa, Ameri, ma mi mette male accomunarli alla banda di peones che eravamo al campetto, loro che a calcio in maniera seria ci hanno giocato eccome

all'alba della storia dei rossi e dei gialli le famiglie si mischiavano spesso

non fratelli, bensì padre e figlio, alla base di tutta l'epopea delle partitelle del sabato, c'erano pippo (a cui scusa, ameri è dedicato) e suo figlio, il capitano, incaricato dal padre di fare la “squadra dei giovani” per sfidare i vecchi; una bella storia, non fosse che pippo aveva istituito la regola secondo la quale i suoi falli al figlio non andassero mai fischiati; però ancora oggi a 25 anni di distanza, il suo “ciao buona domenica, ci vediamo sabato prossimo” è la frase che più mi ricorda quei pomeriggi che diventavano serate

il conte ad esempio aveva un fratello che chiameremo doc; nato terzino di spinta, il doc man mano che aumentava di peso si spostava verso l'area avversaria fino a diventare, con moto indipendente e non autorizzato, il nostro centravanti, spesso in coppia proprio col conte stesso, con cui condivide l'amore per il futbol e per la buona tavola; anche il conte infatti, magro e agile in giovine età, si era trasformato poi in centravanti, per così dire, di peso;

paolone, l'inventore della teoria del “siamo stonati ma non abbastanza da non poter cantare in un coro”, ha un fratello mio coetaneo ed amico carissimo dai tempi delle elementari; mentre paolone era il cardine difensivo dei vecchi, il plume ovviamente giocava con me ed il capitano ed il conte ed il doc; mentre uno era possente e francamente difficile da spostare e ardiva lanciarsi in sgroppate sulla fascia vanificate ahimè dal piede non propriamente poetico (alcuni maligni sostengono che venisse ferrato prima di ogni partita, ma io non credo a queste voci), l'altro, il giovane plume, aveva un piede fatato ed un grande senso della posizione nonostante fisicamente ricordasse il fratello maggiore; il plume, si badi bene, difensore centrale a cui veniva affidata la punta avversaria, usava tecniche diciamo innovative per intimorire l'avversario; egli infatti era solito appoggiarsi alle terga della punta, sottolineando con arroganza quello che era l'aspetto fisico in cui più eccelleva; vi basti sapere che tra quelli che avevano condiviso con lui almeno una volta il rito della doccia post-partita il nome in codice con cui lo identificavano era TAPPO

ma i protagonisti principali della mia storia sono altri.
I fratelli piastrella.

I fratelli piastrella da sempre conosciuti nei nostri giri parrocchiali, erano diversi in praticamente tutto.
Tranne una cosa.
Il farti girare i coglioni durante le partite di pallone.

Il vecchio piastrella però era buono a giocare a pallone, molto buono. Rapido, tatticamente duttile, molto intelligente e dotato di un tiro fulminante; il problema era che a giocarci assieme, se ce l'aveva storto, era una tortura che in confronto guantanamo è una cazzo di spa; il vecchio piastrella parlava, sempre; passa, dalla, scatta, torna, tira. Ininterrottamente. E con una tolleranza verso gli errori pari a quella di kim jong-un verso chi si addormenta durante i suoi discorsi (ma con meno armi). Quindi non solo parlava, ma se le cose si mettevano male, ti diceva pure di tutto.

Il giovane piastrella invece era meno serioso e ossessionato dalla performance; ma terribilmente rompicoglioni; e tremendamente più scarso del fratello. Nato decisamente anarchico si infilava in grovigli di gambe cercando dribbling impossibili che, ovviamente non gli riuscivano. Mai. 
In più teneva la posizione con la stessa costanza con cui mastella resta negli schieramenti politici.
Ovviamente, trattandosi di sfide giovani contro vecchi, a noi toccò lui, il fratello piastrella anarchico, perchè era del tutto improponibile una convivenza tra i due, pena il rischio di trovarsi in una scena stile caino ed abele

Tra portieri sovrappeso, anarchici, difensori che emigravano nelle aree altrui ed altri che difendevano col cazzo (nel vero senso della parola) capirete il perchè non mi sia mai addentrato nell'epica di certe partite.

Ricordo però con estrema lucidità le innumerevoli volte in cui il piastrella anarchico esigeva di ricevere palla al limite della nostra area, ignorava uno, due, tre compagni liberi e sceglieva sempre:
- il lancio lungo col braccio ad indicare la direzione della palla, con una percentuale di successo dello 0,1 %
- la sgroppata solitaria in coast to coast che andava sempre a buon fine, ma 99 volte su 100 senza palla, perchè quella gliela ciulavano tipo prima della metà campo (vi ricordo che sto parlando di partite 7 contro 7, in pratica gli ciulavano la palla dopo 4 metri scarsi)
la cosa fantastica era che comunque il fratello piastrella si ostinava non solo a prendersi la palla nonostante gli infausti risultati, ma a lamentarsi di come la colpa fosse dei suoi compagni di squadra, seminando astio e malumore

anni tristi, partite risolte spesso da episodi tipo il piastrella anarchico che perde palla e gli altri che ci fanno la pera.
Che poi dice che uno si butta sull'alcol, dopo le partite.

Vi basti sapere che il giovane fratello piastrella ha tutt'oggi due primati di tutto rispetto
1 – è la persona che durante le partite ho mandato a fare in culo più volte in assoluto
2 – è l'unico tra quelli che hanno giocato con me che tra polemiche e litigate ha fatto passar la voglia di venire a giocare a più persone di me

pochi giorni fa il giovane fratello piastrella si è avventurato di nuovo in un dribbling di troppo, ma non stava giocando a pallone e l'avversario che lo ha fermato era una macchina.

Non starò qui a dire che poteva andare peggio e che sei una roccia e che non era ancora il tuo momento, però a sto giro, nonostante tu abbia voluto infilarti ancora in quei tuoi cazzo di dribbling anarchici, sono molto, ma molto contento di averti rivisto sveglio
quindi sono altrettanto felice di poterti mandare ancora a fare in culo ed anche se adesso dovrai fare panchina per un po', sappi che ormai ci sono affezionato ad averti in squadra con me, qualunque sia lo sport di cui stiamo parlando

lunedì 6 giugno 2016

6 giugno 2015 - Finali di Champions ed effetto farfalla



Un anno esatto fa, la sera di un anno esatto fa all'Olympiastadion di Berlino si giocava la finale di Champions League tra Juventus e Barcellona.

Come sia andata lo sapete tutti.

Però vorrei ragionare con voi su un avvenimento importante che accadde quella sera e per farlo mi servirò della teoria dell'Effetto Farfalla.

L'effetto farfalla dice che una singola azione può determinare imprevedibilmente il futuro: nella metafora della farfalla si immagina che un semplice movimento di molecole d'aria generato dal battito d'ali dell'insetto possa causare una catena di movimenti di altre molecole fino a scatenare un uragano.

Facciamo un passo indietro.

La juve sappiamo benissimo che rapporto ha con la coppa dei campioni, giusto?
belgrado, atene, monaco di baviera, amsterdam, manchester.

Finali su finali perse, da sfavorita, da favorita, da favoritissima.
Non ce n'è, su sta coppa grava una maledizione evidente anche senza scomodare la finale che non ho nominato e dove sono successe cose ben più gravi del risultato finale di una partita.

Però, nell'edizione 2014-2015 sembrava tutto perfetto.
La Juve non era certo favorita, il calcio italiano non è più da anni la potenza che era quantomeno nelle coppe per club e la juventus per quanto campione d'italia in scioltezza (l'anno prima e pure quello che stava concludendosi) soffre ancora il gap tecnico ed economico con le potenze tedesche e spagnole.
Però.
Però i segnali c'erano tutti, diciamolo dai, ve ne eravate accorti tutti, soprattutto voi antijuventini di professione.
Borussia? Squadra ormai in calo rispetto all'anno prima
Monaco? Tignosa e rocciosa ma inconcludente
Real? beh tra real, bayern e barcellona anche in semifinale avevamo pescato la migliore.

Borussia demolito, Monaco con fatica, Real all'andata con grinta e poi in spagna il pareggio decisivo.

Finale, quindi, di nuovo.

Arriviamo alla partita ed alle farfalle

Il barca, dicevamo, è strafavorito, fortissimo in ogni reparto e con quei tre davanti che levati.

Fischio di inizio.

Dopo nemmeno un minuto tevez va a pressare il portiere del barca nella sua area e questo sbarella il rinvio.
Nemmeno il tempo di pensare "ma stai a vedere che" che il barca segna.
Il primo tempo rispecchia fedele la serie di segnali di cui sopra, il barca dovrebbe farne almeno 3, invece al 45° si è ancora 1-0, con buffon che si snoda come libellula che esce da foresta (più o meno come diceva boskov) e fa una parata inumana e loro che hanno tipo il 130% di possesso palla.

Ma nel secondo tempo ecco la farfalla.
Inizio meno timido, prendiamo coraggio ed iniziamo a salire.
L'azione che porta al gol di morata è esemplare, pressing alto, da una rimessa laterale per loro, palla buttata via, marchisio di tacco, lichsteiner, tevez tiro parata morata gol!!!!!

A questo punto per i 13 minuti che passano tra il gol di morata e il 2-1 di suarez passa la teoria dell'effetto farfalla.

Perchè il barcellona è sorpreso e colpito dal fatto di meritarsi di essere 3-0 e trovarsi 1-1, la juve ovviamente prende coraggio e soprattutto non ha nulla da perdere e soprattutto i segnali a sto punto sono evidentissimi, è l'anno buono dai.

Da sfavoriti, giocando peggio degli avversari, pareggiamo al secondo tiro e quindi tutto torna, è scritto da qualche parte che la coppa sia della juve.

L'effetto farfalla si materializza in un cross sul quale pogba viene anticipato. Non voglio fare polemiche, era rigore, non lo era, amen; è però l'episodio chiave, è il battito d'ali della farfalla.
Potrebbero succedere diverse cose, pogba potrebbe stopparla, girarsi e sbatterla in porta, potrebbe fare gol di tacco, passarla a tevez o morata.
Invece cade e perde palla, la riconquista fuori area, la riperde (fallo? non fallo? amen) il barca parte in contropiede e suarez fa il 2-1 per loro.

Qui si capiscono due cose: la coppa 2015 va al barca, la juve ha una maledizione, nonostante tutti i segnali fino a quel momento fossero positivi.

Perchè ovviamente, se in 10 minuti la juve fosse riuscita a ribaltare il risultato la partita a quel punto avrebbe preso una piega totalmente diversa ed i segnali c'erano, eccome se c'erano. Ma tant'è.

Non c'è verso.

A chi quest'anno se l'è presa con evra che non ha buttato via il pallone al 90°, consiglio di andarsi a vedere la partita col siviglia, quando morata sbaglia sullo 0-0 un gol da 4° categoria e al 90° la spara sul portiere da 1 metro.
La squadra che ha fatto 6 punti su 6 contro il manchester city passa come seconda e nel sorteggio pesca il bayern, altro che evra, la coppa l'abbiamo (per l'ennesima volta) persa quella sera in spagna.

Mettiamoci il cuore in pace, a maggio sono stati 20 anni dai rigori di roma, chissà se basterà aspettarne altrettanti.


sabato 2 agosto 2014

Scusa, Ameri - Fiori e calci nel culo

Tratto dalla bellissima serata "Buon compleanno Matisklo!" tenutasi a Mallare giovedì 31 luglio, ecco il video della presentazione del mio libro e la lettura di un paio di capitoli.
Buona visione!!!

mercoledì 16 luglio 2014

Scusa, Ameri - I diari del calcetto


 
Nell'elenco dei lavori che volevo fare da bambino, mi ricordo:
- il giornalista
- il calciatore

e pochi altri; 
crescendo, ho aggiunto anche il musicista.

Alle soglie dei 42 anni, inizio ad avere qualche dubbio sia sulla possibilità di giocare titolare una finale di Champions League che di esibirmi al Madison Square Garden.
Mi resta il giornalista o comunque qualcosa legato allo scrivere.
Perchè a me scrivere è sempre piaciuto, tanto.
Prima ancora di diventare logorroico, mi piaceva scrivere ed immaginarmi appunto giornalista sportivo, o musicale.
Oppure scrittore.

Negli ultimi anni sono successe un po' di cose alla mia vita, matrimonio, figli, traslochi, perdita di persone care, trasferimenti lavorativi.
Ma anche piccole cose che hanno dato un gusto diverso al mio tempo libero, a partire dall'aver aderito all'associazione Zoo di Albenga (QUELLI DI SU LA TESTA) per poi entrare a far parte del Mulino degli Artisti di Tovo San Giacomo (QUELLI DI PERCHE' BARDINO E' BARDINO).

In più avevo aperto sto blog (perchè? perchè no?) dove sfogavo alcune mie frustrazioni:
scrivevo di musica
scrivevo di calcio
soprattutto scrivevo come se fossi davanti ad un tavolo di un bar, con amici, a berci un paio di birre.
senza alcuna pretesa "letteraria".

Alla fine però, dai e dai, a forza di sentirmi dire che avrei dovuto scrivere un libro, ho preso un po' delle cose che avevo scritto qui e ho provato a farle diventare un libro davvero.

Ed ecco la notizia: ho trovato qualcuno che pensa che questo "libro" meriti di essere pubblicato.
GAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHH
(scusate)
(scusa, ameri)

La casa editrice digitale Matisklo (www.matiskloedizioni.com) ha quindi deciso che il mio "libro", intitolato come questo post, vedrà la luce, in formato digitale, a breve, forse brevissimo.

E questo è già, di per sè, un sogno che si realizza.
perchè mica penso di farci il grano con sto libro, no.
Ma sapere che qualcuno "del mestiere" valuta una cosa scritta da me meritevole di essere pubblicata, beh ragazzi, è proprio ma proprio bello sapete???

Bene, ecco qua, ci siamo, il Cala pubblica un libro (il primo? l'ultimo? boh) ed ovviamente sarebbe bello che qualcuno lo comprasse, il libro del Cala no?

Non intaserò le vostre caselle di posta - bacheche di facebook o G+ - timeline di Twitter con continue autopromozioni, davvero. (Lo farò solo un pochino dai, poco poco, il giusto)
Ma per rendere questo, che è già comunque un sogno che si realizza, ancora migliore, sarebbe bello che chi di voi ne avesse piacere facesse girare la voce che "oh, ho letto un libro sul calcetto, fa ridere (dai, spero che vi faccia ridere), ti giro il link dove puoi prenderlo e\o dove ne parlano".

Alla fine alcuni di voi magari si ricorderanno di queste "avventure sportive", alcuni di voi ci si riconosceranno tra i protagonisti, altri magari penseranno alle loro partite tra amici e chissà, ci si immedesimeranno in ste pagine.

Alla fine, quello che conta per me è aver realizzato sto piccolo obbiettivo che mi ero posto e condividerlo con più persone possibili.

Perchè, tutto sommato, io scrivo per supplire alla mancanza di occasioni dove vedere gli amici, quelli presenti in quelle pagine, quelli che non ci sono, ma ci sono lo stesso, quelli che non ci si vede mai, e mentre scrivo mi immagino di averli davanti, che mi ascoltano, che raccontano, che insomma si sta assieme.

Non sono uno scrittore, sono solo uno a cui piace l'aneddoto, lo stare al pub a dirci 4 belinate, l'essere al centro dell'attenzione per farsi del ridere.

Spero che tutto questo voi lo troviate, leggendo il libro, se avrete la voglia di leggerlo.

Tutto il resto che verrà sarà davvero un di più.

Grazie.

lunedì 29 luglio 2013

Rock'n'Goal - la passione per 7 note ed 11 uomini



Questo è un articolo che mi hanno pubblicato su ilsussidiario.net e parla di sto libro di antonio bacciocchi e alberto galletti.
In realtà io non parlo del libro, che alla fine mi ha lasciato un po' di amaro in bocca e la sensazione che io avrei potuto fare di meglio.
In realtà parlo di me stesso e delle due più grandi frustrazioni della mia vita: il non essere riuscito a diventare il centravanti della juventus in tempo utile per segnare il goal decisivo in una finale di champions e il rendermi conto che nonostante la mia ambizione difficilmente mi esibirò con la mia band al madison square garden.
In realtà ho parlato di come calcio e musica occupino da sempre uno spazio gigantesco ed eccessivo nella mia vita, forse proprio perchè sono negato a suonare, per tacere del canto e a calcio da sempre, non solo ora che sono pensionabile, sono stato una scarpa, di quelli che "se vuoi venire giochi in porta". Da qui secondo me deriva la mia ossessione per la musica, da una enorme, gigantesca frustrazione.

Anni fa una fidanzata mi disse della teoria tutta femminile secondo cui gli uomini parlano di 3 cose: calcio, figa ed uno a scelta. Il tuo a scelta è la musica, disse, indovinando facilmente. Oggi a 41 anni, con due figlie ed una moglie, l'argomento numero due mi interessa relativamente, quindi restano calcio e musica.
Poi, se avete voglia, leggetevi pure il libro.

Una sera di tanti anni fa, una sera di adolescenti stupidi e forse un po' ubriachi, io ed il mio amico il Conte ci trovammo a discutere di calcio e musica.
Ora, io sono uno a cui piace la polemica e calcio e musica sono i due argomenti nei quali la polemica mi piace fomentarla più che da qualsiasi altra parte.
In breve il motivo del contendere era decidere se, come passione, fosse meglio il calcio o la musica; il Conte diceva che l'adrenalina che ti dà un goal della tua squadra nessun concerto può regalartelo, io ribattevo, pur essendo sostanzialmente d'accordo, che da un concerto non esci mai scornato e deluso come da una sconfitta in casa all'ultimo minuto e che le emozioni che ti regalano due, tre ore con la tua musica preferita sono comunque impagabili.
Resta il fatto che calcio e musica sono cibo per occhi, mente, cuore e spesso purtroppo anche pancia.
Quindi ben vengano i libri come questo di antonio bacciocchi, che con fare didascalico ci raccontano il legame solido, solidissimo tra questi due centri di attrazione così forti.
Un legame che ha radici lontane, soprattutto tra il rock e il calcio, più che ogni altro tipo di musica; rock e varie derivazioni che nascono dalla strada, dai quartieri popolari dove forse mettere in musica il proprio disagio aiutava ed aiuta tuttora a sollevarsi da esso, a partire verso posti migliori, ad andare via da città di perdenti, per vincere.
Vincere, affermarsi, raggiungere dei traguardi; ecco quindi che anche la musica, anche l'arte, contiene in sé agonismo, competizione, desiderio di rivalsa verso avversari più o meno visibili e definiti.
Ed il calcio anch'esso arriva dalle stesse strade, da quartieri poveri dove una palla di stracci ed una striscia di asfalto erano sufficienti a sentirsi dei campioni, dove vincere la partitella con gli amici, di quelle che duravano 4 ore, altro che 90 minuti più recupero, ti portava per qualche minuto a wembley, a san siro, al maracanà.
L'esasperazione del business ha poi creato un effetto curioso che avvicina ancora i due mondi, pur in maniera distorta: i calciatori oggi sono delle vere star, sono le donna summer, le beyoncè, i michael jackson del momento; anni fa io ingenuo ragazzino di provincia avevo fatto le foto con Gaetano Scirea (capitano della juventus eh, non di qualche dopolavoro aziendale) in un campetto di tennis provinciale ed anonimo, ora i calciatori anche di medio livello frequentano (potendoselo permettere) posti super esclusivi ed irraggiungibili, creando barriere che in qualche modo le partitelle sull'asfalto, magari giocate dagli stessi super campioni di adesso, volevano abbattere.
Altra similitudine, che il libro sottolinea nei frequenti cambi di ruolo tra calciatori e cantanti, sta nel piacere adrenalinico ed egocentrico di essere su un piedistallo, che sia un campo verde od un palco.
Chi cattura gli occhi di novantamila persone prima di battere un rigore è probabilmente attratto dalla curiosità di capire se si prova la stessa sensazione avvicinandosi ad un microfono. Ed ovviamente viceversa.
Inoltre è molto curioso ed interessante leggere le passioni musicali dei nostri beniamini domenicali; mi ricordo che io, springsteeniano feroce, il nome di bruce l'ho notato non su una rivista specializzata, né su programmi musicali tipo mister fantasy, bensì su un giornale sportivo, che aveva fatto una specie di indagine sui calciatori, chiedendo loro chi fosse il cantante preferito.
Era il 1985, l'anno di Born in the USA, l'anno del primo san siro, e tutti i calciatori lo indicavano come il migliore, come potevo io, che mangiavo pane e calcio, non innamorarmene?
Anche io ho degli aneddoti sulla questione, prima di tutto mi piace ricordare i gemelli Filippini, che per anni hanno avuto una sorta di tifo trasversale a prescindere dalla squadra dove giocavano, per via della loro passione, appunto, per springsteen. Ricordo l'entusiasmo con cui venne accolta l'esultanza di emanuele dopo un goal nel parma, quando, a suo dire, mimò l'assolo di born to run!!! Certo, pensai, che è un bene che sto ragazzo sia fan di springsteen eh, che è uno che scrive canzoni dalla durata abbastanza standard; pensate fosse stato fan dei grateful dead, che tempo che esultava con l'assolo di dark star gli altri avrebbero giocato andata, ritorno ed eventuali spareggi!!!
Una volta capitai a milano alla vendita straordinaria di un disco sempre di springsteen, credo fosse magic ed in fila con noi si materializzò massimo ambrosini. Me lo ricordo appassionato sincero, che senza divismi di sorta parlò di musica e calcio (guarda tu) con noi in fila; ad un certo punto qualcuno gli chiese se al concerto di novembre di bruce ad assago sarebbe andato e lui, saputa la data fece una smorfia: era una sera di champions ed il milan giocava in portogallo!!! tranquilli, ci sarò, disse. Beh credeteci o no, ma stranamente “ambro” la partita precedente venne ammonito e saltò per squalifica la partita incriminata; alcuni raccontano che nel parterre di assago non sentisse nemmeno la radiocronaca.
E poi eddie vedder, che nel bel mezzo di uno straordinario concerto, sempre a milano, dedicò Given to fly alla nazionale italiana appena laureatasi campione del mondo (partì in automatico il pezzo dei white stripes, la canzone più conosciuta da chi non ne sa il titolo).
E materazzi e del piero sul palco degli stones pochi giorni dopo la finale di berlino? Insomma, la musica piace e molto anche ai calciatori e questo spesso crea intrecci imprevedibili.
Confesso infine che la mia forte, fortissima simpatia per il genoa ha una motivazione ben precisa: fabrizio de andrè.
Altri, alcuni davvero curiosi, sono gli aneddoti presenti sul libro, dello stesso tenore.
Le canzoni, la musica stessa, fanno parte della competizione calcistica in modo basilare, come ci ricordano tutti i titoli mitici citati da Bacciocchi, pezzi ormai legati a doppio filo con la tal squadra o il tal stadio.
La you'll never walk alone cantata all'unisono dal celtic park di glasgow ha fatto alzare diversi cm di pelle d'oca anche a chi non tifava celtic quella sera di champions e non a caso nella coreografia era presente una versione riveduta e corretta della copertina di un mitico disco dei clash.
Il legame, il senso di appartenenza, la fedeltà (spesso esacerbata) per i colori della tua squadra chiamano naturalmente una colonna sonora, un inno, una melodia da cantare tutti assieme per sentirsi davvero uniti e più forti di qualunque avversario.
La musica svolge quindi questo ruolo di collante, di rafforzativo di un legame, che trova quindi linfa ed enfasi nuova nelle sette note.
Antonio Bacciocchi riesce a rappresentare tutto questo, portando innumerevoli esempi e soprattutto elencando una serie impressionante di generi e stili che nel tempo hanno coinvolto i frequentatori abituali delle gradinate; non sempre in maniera diretta, ad esempio i mods britannici, ma comunque presentando il legame tra calcio e musica come qualcosa di molto concreto e solido.
Anni fa mi innamorai perdutamente di Nick Hornby solo leggendo la quarta di copertina di due suoi libri.
Nella prima si chiedeva se si potesse amare una donna e contemporaneamente andare pazzo per 11 uomini (febbre a 90).
Nella seconda la domanda era invece se fosse possibile amare qualcuno con una collezione di dischi incompatibile con la propria(alta fedeltà).
Io, che un paio di mesi fa ho festeggiato lo scudetto della mia squadra e poi sono partito per vedere southside johnny a milano, la risposta non l'ho ancora trovata, ma non credo sia così importante farlo.