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sabato 10 marzo 2018

Nascondere il pianto dietro al ghigno. La voglia di un'alternativa dei Londonpride



La storia che vi raccontiamo stasera ha origini molto lontane.

Parte dal febbraio del 1964, quindi mettetevi comodi, perchè la prenderò larga

siamo in un aeroporto, un aeroporto americano.

C'è un sacco di gente che aspetta un aereo, che sta atterrando, provenienza Londra

Dentro 4 ragazzi di Liverpool, che hanno appena, semplicemente, ribaltato il mondo

no, non solo il mondo della musica, ma il mondo, le sue regole, le sue convenzioni, il suo conformismo.

Lo sbarco dei Beatles in america è un evento con una portata, all'epoca, inimmaginabile.

Dylan che attacca la chitarra agli amplificatori, Elvis che dimena il bacino in tv, cose del genere

Ma anche il cervello di Kennedy sul vestito della moglie a Dallas o il sogno di Martin Luther King

Quando i Beatles sbarcano in america, il mondo si ferma per un attimo, poi riprende a girare, ma con una rotazione leggermente diversa

La british invasion crea, grazie ai Beatles e a tutti quelli che in quel buco spazio-temporale si infileranno trionfanti, un'idea nuova di musica, ma anche una consapevolezza nuova per i ragazzi, una nuova mentalità, un nuovo approccio alla vita stessa

Quello che succede tra quell'aeroporto e questo teatro di provincia è scritto sui libri, stampato sulle magliette, impresso a fuoco dentro le vite di milioni di persone, inciso su album che hanno fatto la storia della musica e della cultura moderna

Ma il tassello che questa sera aggiungiamo da questo palco che importanza potrà mai avere?

Enorme, una importanza enorme.

Enorme perchè quell'onda lunga del rock and roll continua a bagnare terre nuove, spiagge deserte, orecchie assetate di suoni 

enorme perchè quei suoni, quelle parole, quelle melodie volevano e vogliono ancora dire oggi semplicemente una cosa: VITA

e se diciamo vita dobbiamo dire anche LIBERTÀ

La musica è il principale veicolo di libertà mai inventato dall'uomo:

più forte di qualunque pensiero politico, che dalla musica ha sempre cercato di rubare idee e sentimenti non replicabili da nessuna altra parte
più forte di qualunque religione
più forte di qualunque meschinità di cui sappiamo bene sia capace l'umanità

il creare una melodia che armonizzi le voci, i suoni ed i messaggi, le emozioni è il miracolo migliore a cui possiate assistere

il fatto che al giorno d'oggi e a così tanta distanza non solo kilometrica da quei posti ci sia qualcuno che con quel linguaggio, quei suoni, quella grammatica di parole e sentimenti che chiamiamo rock and roll provi a mettersi in gioco, a raccontarsi, a regalare al pubblico una parte di loro stessi ci dice che quell'invasione, quei messaggi, quegli ideali di vita e di libertà sono ancora vivi, sono ancora reali, sono ancora presenti nei sogni, nelle teste e nei cuori di tante persone

la provincia, mio Dio, la provincia

i suoi luoghi abbandonati, il suo sentirsi sempre orfana di qualcosa o di qualcuno, quell'odore di fallimento che sembra pervadere l'aria ogni qualvolta alziamo la testa e proviamo a guardare lontano

la provincia ligure, belin, la provincia ligure

quel suo mugugno detto a mezza bocca, così assordante, così frustrante, così incarognito verso gli altri, verso i furesti

è da qui che nascono i Londonpride, che già dal nome fanno capire che guardano avanti, oltre, lontano, ma con orgoglio, senza rinnegare i posti da dove arrivano, bensì raccontandoli, magari con rancore e rabbia, ma tenendoli dentro di loro

perchè come dice Pavese, un paese ci vuole, anche solo per andarsene, ma ci vuole

un disco che nasce e inizia ovviamente a Londra ed ovviamente in un pub.

Un pub dove ci si guarda intorno, si fanno bilanci, progetti. Ecco da dove parte questo disco

Ambizione e dignità, le cose che troverete nelle canzoni di Grin n'grieve sono principalmente queste, la voglia di realizzarsi e di realizzare qualcosa di grande, di importante, di vero, ma anche la consapevolezza che certi valori non possono essere venduti o tanto meno svenduti. Dovrà impararlo Jenny, protagonista dell'omonimo pezzo, dovrà impararlo a sue spese, sperando che non si faccia troppo male

Il ghigno, come joker ed il pianto, perché dobbiamo avere una maschera con cui difenderci, quando gli occhi ci si riempiono di lacrime e non vogliamo che qualcuno le veda

i 4 pianeti appesi alle spalle dei musicisti simboleggiano loro, la loro voglia di restare unici e veri

il rock ci può portare altrove dicevamo, fuori da mondi precostituiti e preconfezionati, fuori da assurde recite e da copioni scritti da altri, come in Suitcase of a serious man dove l'incubo orwelliano dal 1984 è spostato ai giorni nostri e c'è sempre qualcuno che si guarda intorno spaventato, chiedendosi il significato di tale pantomima

il rock ci porta lontani, faraway, ma ci dà anche la forza di scrollarci di dosso le nostre paure, quelle che sembrano far parte di noi in maniera indelebile, ci rende forti, vivi, immortali, ci fa sentire il bisogno e l'urgenza di avere qualcuno al nostro fianco, per aiutarci a conoscerci meglio

la chiusura dell'album ci lascia un messaggio importantissimo

l'uomo della pioggia, rainman, che preferisce la sua pioggia sincera al sole di plastica venduto in saldo, che continua a costruire con tenacia, testardaggine ed un briciolo di ottusa idiozia il suo piccolo paradiso.

La strofa finale ci dice questo: il mio piccolo paradiso non ferirà il loro inferno.

Ma allora perchè continuare a costruirlo?

Perchè è mio!!
è nostro!!!

è un qualcosa dove la parte più vera di me è protagonista, non comparsa, è reale non maschera, è viva, non mummificata

è questo il motivo per cui siete qui stasera ed è questo il motivo per cui vi dovete portare a casa il loro album!

Perchè vi portate a casa un pezzo di loro che trasuda verità, sincerità e soprattutto bellezza!!

Perchè avere in casa un disco dei Londonpride o dei tanti gruppi che ancora credono nell'importanza della costruzione di un piccolo paradiso, è fondamentale anche per il NOSTRO piccolo paradiso ed è necessario se crediamo che sia giusto che i nostri piccoli paradisi un giorno andranno a bussare alle porte dell'inferno e prenderanno quelli che lo hanno costruito a calci nel culo.

La libertà che abbiamo stasera come ogni volta che capitiamo davanti ad un gruppo di ragazzi con gli strumenti in mano, è quella di scegliere se crearci una alternativa

per noi, prima ancora che per i musicisti

per noi qui nella provincia ligure, nel regno del eh belin non c'è mai un cazzo da fare

per noi che non vogliamo arrenderci al tritacarne dei sabato sera sotto vuoto, al fast food dell'arte, alla cultura servita come una cazzo di apericena

perchè se non comprendiamo l'importanza di crearci una alternativa, ci ritroveremo presto ad avere, come unica alternativa, i tasti del telecomando.

Allora lasciamo che questi ragazzi ci diano questa alternativa, questo sogno, questo piccolo paradiso, chiamiamoli sul palco e accogliamo loro e la loro musica con la gratitudine che meritano, signore e signori,

THE LONDONPRIDE!

martedì 6 marzo 2018

Viaggiare leggeri rende felici. Il bagaglio a mano di Andrea Amati





Spiazzante.

Il disco di Andrea Amati, pochi minuti dopo averlo messo in ascolto mi si è definito da solo, semplicemente così: spiazzante.

Perchè va bene conoscere poco l'autore e la sua carriera, ma io mi aspettavo qualcosa di più "classico", un "chitarra e voce" con attorno qualche bravo musicista, confidavo nel bravissimo Federico Mecozzi, giovane violinista apprezzato con i Miami & the Groovers, ero fiducioso sugli altri membri della band, mai sentiti ma che immaginavo, essendo parte di una bella scena come quella emiliano-romagnola, essere all'altezza di Mecozzi e dello stesso Andrea, di cui ricordavo belle versioni di qualche classico di De Andrè, primo fra tutti "Il gorilla".

Invece Bagaglio a mano parte con un brano mezzo parlato, con un sacco di elettronica e dei rimandi che di primo acchito mi fanno pensare più a Lo Stato Sociale che ai cantautori di una volta.

Mi sono perso è comunque un modo eccezionale per dare il via a questo album, così personale, ricca di ironia e di buoni propositi, con un testo che ben ascoltato punta più ai Cochi e Renato de La canzone intelligente che ai "regaz" tanto in voga oggi. Un teatro canzone di facile presa, ma che approfondito spiega dove ci vuole portare Andrea nelle dieci canzoni che compongono il suo disco.

Una direzione da trovare o il piacere di vagare senza meta con la curiosità di capire cosa il destino ci riserverà? Non sembra così triste di essersi perso, Andrea, anzi, l'essersi liberato di alcuni "vestiti scomodi" lo fa sentire leggero e pronto di cercare le cose davvero importanti, ricerca che è il liet motiv dell'opera.

Infatti la stessa Bagaglio a mano spiega molto bene lo spirito di Andrea e la sua voglia di essenzialità, il volersi lasciare alle spalle i piaceri effimeri e soprattutto poco duraturi, la voglia di apparire, lo sputtanarsi su un muro (candidarsi alle elezioni?) o l'accumulare false ricchezze. Certo, a lasciare indietro tutto ci vuole abilità, dice, ma dalla borsa sarà il caso che tutti controlliamo cosa si può eliminare, perchè la pesantezza di questi tempi sta anche nel bagaglio che ognuno di noi si porta appresso. 

La scelta della leggerezza quindi come ricerca di una felicità che duri più di due giorni scarsi e che ci faccia vedere le nostre paure non più come irrinunciabili eredità ma come vere e proprie zavorre da gettare via.

Sulla stessa linea di pensiero Cose fa il punto su quella che è una genuina definizione di Vita, scritto maiuscolo perchè degna di essere davvero vissuta e soprattutto vissuta fianco a fianco con chi ne condivide l'essenza, complici e migliori, meravigliosa definizione di coppia, due persone che possono aggrapparsi l'una all'altra, per combattere o per ammazzarsi di risate, per far vincere il pensiero, per sconfiggere il grande vuoto.

Abbiamo il bagaglio, abbiamo la compagnia, ma dove vogliamo andare? Altrove, semplicemente altrove. 

Il marinaio che hai il mio nome sono io, il me stesso che ha chiaro di dover andare via, lontano, magari nemmeno in senso geografico, ma mentale; atto di accusa durissimo verso chi doveva difendere le nostre emozioni, i nostri valori, le nostre conquiste, questo brano è un entusiastico calcio nel culo per far smuovere quella parte di noi incollata al passato ed al già visto, a quei mille e mille motivi per non cambiare, che altrove non esisteranno più. 

Allora ben venga il buio, se la luce che ci accoglierà sarà quella di un'alba nuova.

Se l'essenzialità è leggerezza non superficiale, Carmen racconta di una leggerezza vuota, anzi svuotata, di un'anima lasciata a galleggiare tra feste, alcool ed altre illusioni; su un ritmo quasi dance, Andrea disegna un ritratto caustico di una generazione trasversale ed in costante aumento, che vive dentro lo schermo di un telefono e che davanti allo specchio ci passa solo per prepararsi la quotidiana dose di tossico buonumore.

Si resta in tema di vacuo ed effimero, con la cover de La ballata della moda di Luigi Tenco, brano che con 40 anni di anticipo aveva già raccontato come si convince la massa e ci aveva spiegato che se ripeti una cosa con insistenza, alla fine tutti ti crederanno.

Fa venire i brividi leggerla in quest'ottica oggi, nell'epoca delle fake news, ma non si può fare diversamente e Andrea ne sottolinea l'assoluta attualità con una interpretazione molto sentita.

Salvo (2017) è invece un cazzotto nello stomaco a bruciapelo, ti arriva all'improvviso, ti lascia senza fiato; non è dato di sapere chi sia, Salvo, ma su di lui gravano le colpe di un mondo cattivo, di una esistenza sbagliata, come le scelte di chi doveva occuparsi di lui; non è chiaro se sia una storia vera o meno, però il brano è una riflessione sulla responsabilità condivisa a cui tutti dovremmo partecipare; ho immaginato Salvo come un giovane ragazzo, scappato da chissà dove e costretto dentro un sistema che non ha scelto, costretto a tenere dentro il suo bagaglio a mano accuse e pregiudizi, colori e ricordi. Mi ha colpito molto la parte dove dentro un supermercato lui vede la sua vita sprecata dentro una foto; non è un'immagine chiara e nasconde un significato che mi sfugge, ma la trovo fortemente evocativa.

Proteggere Salvo dal fumo e da quello che non c'è dovrebbe essere dovere di tutti.

Bacio botto lascia spazio alla nostalgia ed al ricordo, di qualcuno, di un tempo dove certi obbiettivi sembravano a portata di mano e nessuno pensava al loro costo, in termini soprattutto umani. Una storia logorata forse proprio dalla pesantezza di un bagaglio che non si sapeva selezionare con più cuore o forse proprio per l'opposto, perchè il cuore spesso ci appesantisce.
Che cosa rimane di noi? Una lezione dura e forse inutile, perchè lui non ha imparato a ritrovarla, la sua barca si allontana e quel maledetto traguardo sembra davvero un prezzo troppo alto.


Picco del disco, Il muro è un dialogo diretto e di una schiettezza affascinante. Incalzato da un ritmo ossessivo, Andrea ci coinvolge in un esame di coscienza durissimo, con domande pesanti come macigni ed una sincerità che non si può non ammirare. Si chiede nella copertina del disco se sia il caso mettere troppo di noi stessi nelle canzoni, ma a lui è venuto di fare così e chi ascolta dovrebbe solo ringraziarlo per tale onestà.

Hai mai pensato a migliorare, evolvere i tuoi limiti?
Come si può imparare a non affondare più?
Cosa possiamo dare, rimanendo sinceri?

Quesiti attorno ai quali nasce e si sviluppa la leggerezza che è la meta finale dell'album e di conseguenza della vita stessa di Andrea, capace di mettere in musica un processo di maturazione e crescita che sentiamo immediatamente vicino. Attraversato quel muro c'è un domani migliore, non c'è più il rimpianto, ma l'impresa che Andrea chiama Futuro.

Che senso ha, ci e si chiede restare fermi ad aspettare? Abbiamo ali, voliamo, abbiamo gambe, saltiamo, abbiamo un cuore, viviamo, ma viviamo davvero.

Chiude l'album l'evocativa, già dal titolo, Verrà il tempo.

La meta, il traguardo, la vita sognata, è qui a portata di mano, la possiamo vedere, annusare, sognare.

Non cercare più nient'altro, dice, è tutto qui, nel nostro bagaglio a mano abbiamo tutto ciò che ci serve per vivere come vogliamo.

Una lunga e struggente coda di pianoforte e chitarra saluta Andrea, quasi a farcelo accompagnare con lo sguardo, mentre si allontana.

La strada è segnata, ora sta a noi capire se nel nostro borsone ci sono solo le cose essenziali o forse possiamo lasciare a terra qualcosa e liberarcene per sempre.

Sarebbe il primo passo per seguire quella felicità che spesso scambiamo con volgari imitazioni.

Innamorarci di questo album ci aiuterebbe a tenere la rotta.

Essere felici veramente, cosa cerchi di diverso?





sabato 24 febbraio 2018

I demoni e le tentazioni di Carlo Ozzella



C'è un uomo solo, in una stanza anonima, in chiaroscuro, che non guarda fuori ma la sua stessa ombra.

Potrebbe essere ovunque, la giacca sul letto e gli anfibi di fianco lasciano immaginare sia una delle tante stanze anonime che l'uomo frequenta. Solo.

Già dalla copertina del terzo album di Carlo Ozzella, capiamo di trovarci di fronte ad un lavoro di riflessione ed analisi. Ad una sosta, ad un momento ritagliato per sé stesso, dentro una vita frenetica.

Affrontare i demoni per sconfiggerli, senza scappare davanti a loro; a testa alta, davanti alle proprie paure ed ai propri limiti.

Le 10 canzoni di questo disco trasudano onestà e coraggio.

Nulla di mefistofelico o satanico, sia chiaro; la bellezza delle canzoni di Carlo sta nella capacità di raccontare storie comuni a tutti noi, senza enfasi non richiesta, ma con quella dignità che meritano.

Non è un tributo ai Black Sabbath, sia detto subito.

Le Belle aurore, così come aprono il giorno, danno il via al disco e da subito si capisce che buona parte di questi demoni hanno movenze e forme tipicamente femminili. Storie perdute, legami interrotti e parecchi rimpianti.

Si parte su questi binari, lei se n'è andata e lui la ricorda, con affetto e passione, in memoria delle tante battaglie combattute tra le lenzuola.

Si parte sui binari di un classico rock and roll, che come vedremo attinge a piene mani dal New Jersey tanto quanto dall'Emilia Romagna.

Carlo è a suo agio con la lingua italiana e con le eterne difficoltà che la stessa comporta quando la si vuole infilare in discorsi musicali d'oltreoceano.

L'epopea della prima vera rock band del nostro Bel paese, i Rocking Chairs, rivive in Non sarai sola mai, con un intro degno di Freedom Rain ed un testo che parla di sincerità ed impegni da mantenere.

Ciò che vedi è ciò che avrai, what you see is what you get, vecchi inni anni 70, Ike e Tina in salsa tricolore e la voglia matta di dimostrare di meritare fiducia.

Volevo chiederti se come me sei ancora in viaggio.
Hai bisogno di buona compagnia, per questa parte del percorso, cantava il nostro amico americano.

Tutta la notte racconta di tentazioni ed amori estivi, vita da tour, conoscenze fugaci e tanta tanta passione. Si va via, ci si allontana, ma certi sapori restano addosso e quella notte avrebbe dovuto essere più lunga.

Una chitarra detta il ritmo con vigore, mentre Troppo tardi ormai si srotola davanti a noi come una autostrada deserta in piena notte. Una strada tra la Via Emilia ed il West, come direbbe il saggio modenese, perchè tra promesse come La strada è nostra e stimolanti consigli come Non perdere la forza fai solo ciò che vuoi le due corsie a nostra disposizione sono ben chiare, la poetica springsteeniana e quella di Graziano Romani, cioè la versione davvero rock di Ligabue.

Gabbie cambia decisamente la direzione dell'album, non sono più tentatori, i demoni che tormentano il protagonista, ma decisamente interiori, personali. Il demone del dubbio, della difficoltà a rendersi davvero conto se la nostra sia una vita degna di tale nome o se potremmo dare di più e pretendere altrettanto.

Ciò che conta è quasi niente, è la vita a sceglierti, si affaccia il demone del fatalismo, ma allo stesso momento ci si accorge di avere comunque una possibilità per essere felici e quindi le gabbie in cui crediamo di essere prigionieri forse sono aperte e aspettano che noi le abbandoniamo.

Clamoroso il finale: lo spazio che hai davanti è l'inizio di un nuovo racconto, se vuoi.

È la solita vecchia storia, certo, ma qui si sente la passione e, mi ripeto, la sincerità.

E quindi se davanti a noi abbiamo l'inizio di un nuovo racconto, non a caso arriva Pagine, con una chitarra folk-rock a darci il tempo ed un ricordo doloroso di chi se ne è andato.
Ma le pagine sono lì pronte per essere scritte, riempite, per prendere vita e darla ai nostri sogni.
Se passi di qua, fermati dai, per caso o destino, che per te uno spazio, qualche riga, un paragrafo ci sarà sempre.

Ballata malinconica, Non è mai finita resta sul tema del ricordo e del rimpianto; la fine di una storia, il senso di sconfitta, in una partita giocata contro il tempo o peggio il caso, che ci ha visto perdere senza aver mai davvero accettato l'esito finale. Resta l'idea che tormenta, come un demone, che sarebbe potuta andare diversamente e con questo demone ci si fa i conti sempre, ci si ritorna senza accorgersene, ci sorprende nei momenti più inattesi.

E nella stessa radio da cui forse Bobby Jean sentiva cantare di lei\lui, ecco che ti arriva il mio pensiero, no, non è mai finita.

Lo dico? si lo dico, L'ultima corsa è il brano che Ligabue cerca (o dovrebbe cercare) di scrivere dai tempi di Sopravvissuti e sopravviventi, da cui sembra provenire.

Non puoi capire chi sei finchè non resti da solo, verità tanto semplice quanto fondamentale, per crescere, per realizzarsi, per cacciare via i nostri demoni, dobbiamo affrontarli: l'uomo nella stanza d'albergo forse sta per fare questo, combattere con la solitudine e vincerla.

E se è vero che si sta meglio soli, che male accompagnati, Demoni ci racconta proprio il momento in cui chi combatte si mette talmente a nudo da non aver nemmeno più paura di essere abbandonato, perchè la sua rabbia a cui fatica a metter freno, è tale da essergli sufficiente. Brano che racchiude le tematiche dell'album a cui da il titolo, pezzo fantastico, rabbioso e sputato in faccia a chi ci aspettavamo, invano, di trovare al nostro fianco.
Se vuoi andare, vai. 

L'uomo nella stanza d'albergo ora è pronto ad affrontare i suoi demoni, a combatterli, a scacciarli, a resistergli. Ma il pensiero torna a lei, compagna di battaglie combattute all'ultimo respiro, compagna di sconfitte, lei amata ed odiata, lei rifiutata e che ci ha rifiutato.
No, non è mai finita, perchè alla fine, tutto il male, tutte le ferite che ci siamo fatti guariscono, il tempo ci guarisce e quello che conta è davvero l'andare avanti, lo scrivere un nuovo capitolo, il riempire nuove pagine.
E tutto questo è giusto, vero e soprattutto umano.

Umano ed onesto, come Carlo, la sua musica e questo bellissimo album.

Album che si chiude con una proposta: ti va di accompagnarmi?

I know it's late, but we can make it if we run

I demoni giacciono morti alle nostre spalle, l'uomo esce dalla camera d'albergo, sale in macchina e si allontana.

Non è più solo e sono sicuro che lo ritroveremo, presto.







sabato 17 febbraio 2018

Tra la torre pendente ed il Texas, le Figure senza età di Luca Rovini



È un mondo strano, quello che si trova nei dischi di Luca Rovini, un mondo popolato da eroi, pistoleros con la chitarra, sgualdrine dal cuore grande e saggi pronti a mostrarti la strada.

Già lo aveva raccontato nel suo primo disco La barca degli stolti, che conteneva quel Quartiere della follia a metà strada tra la Desolation Row e la Highway 61, ma ben condito in salsa italiana, con sarcasmo amaro e tagliente, degno della tradizione toscana.

Nella sua seconda prova sulla lunga durata, dopo i due ep Avanzi e guai e Fuckin' bloody folk, Luca mette a fuoco la sua scrittura e ci presenta uno scenario che attinge a piene mani dalla tradizione folk americana, quella dei balladeers, dei cantanti da balera, che trovavi nei locali lungo le strade impolverate, a cantare e suonare per pagarsi l'ennesima bottiglia di whisky.

Cantanti però che arrivavano al cuore delle cose, it's the heart that matters more, cantanti spietati nella loro sincerità, che in pochi minuti ti si piantano in testa e nel cuore come una pallottola del loro vecchio smith & wesson.

Nel primo disco, mi aveva colpito in particolare la voglia di Luca di dire cose, tante, di infilarle a forza nelle sue canzoni, spingendo le parole dentro le strofe con una frenesia ed un'urgenza comunicativa che non potevano lasciarmi indifferente e facevano facilmente perdonare le forzature e certi eccessi verbosi.

Con questo disco, uscito nel marzo scorso, Luca migliora anche il suo stile di scrittura, senza però snaturare il suo cantato anarchico e poco docile al sedersi placido dentro una melodia; spesso infatti Luca canta quasi "strappando" i confini della canzone, con uno stile che può richiamare certi aspetti meno esasperati di quello di Bob Dylan.

Figure senza età ha l'andamento di un vecchio film, inizia con un breve brano strumentale, dall'esemplificativo titolo Invito, dove i protagonisti sciorinano i loro strumenti, la chitarra slide detta il tempo e l'attenzione viene chiesta ed ottenuta.

Che piacere rivedersi, sulla strada e fra i bicchieri

Si parte, Corri uomo corri è una ballata che parla di speranza e lotta, ha echi dylaniani, specialmente nel testo (Sembra ieri che rideva Col culo asciutto ed al sicuro Mentre oggi sento urla vedo volti sotto al muro) e racconta di un cavaliere solitario, probabilmente Luca stesso, che cerca con forza di lasciare a tutti il suo messaggio a tutti gli abitanti di questo circo di attori soli.

Invito all'azione, soprattutto verso i reietti, gli ultimi, mignotte ed operai utopistici, uomini e donne, resistenza verso chi ci frega e lotta contro chi merita di tornare a testa in giù.

Bisogna correre, l'urgenza comunicativa diventa corsa, contro il tempo, perché sappiamo di averne poco e dobbiamo sfruttarlo, tutto.

Fermando la notte vede ancora il nostro cowboy protagonista, ce ne racconta la storia, che è quella di un outsider, di un "loser" come dicono in america, uno che nella vita ne ha azzeccate poche, se pregava sbagliava, se cantava stonava, ma nonostante questo è sulla strada ed intorno a lui, suoi compagni sono quelli che credono ai suoi stessi sogni, quelli che vogliono restituire alla propria patria la dignità che i loro nonni avevano conquistato combattendo. Non è un caso che nel finale del brano il protagonista incontri ed abbracci sua figlia, in un ideale passaggio di consegne e di testimone. 

Ti porto per mano è cantata in prima persona, ma appare chiaro che chi parla è lo stesso cowboy di prima, in una dichiarazione di amore e intenti commovente per onestà e chiarezza. Io che scalcio ed offendo il mondo rende meravigliosamente l'idea di chi sia Luca e come Luca i tanti che si sbattono per dare voce e note ad un sogno, ad un ideale, ad una coerenza in musica, ma non solo.
Sono questo, vieni con me, dammi la mano; il protagonista parla al suo amore e le offre quello ha, niente inganni o false promesse, ma un cuore sincero.

Boogie finchè mi va è un pezzo scatenato, che sbatte in faccia a tutti il fatto che per quanto colpito, ferito, accantonato ed ignorato, il nostre eroe vada avanti, con la sua chitarra (e la chitarra era una spada, diceva quello là) ed il suo boogie su cui ridere  in faccia agli stronzi. Un ritratto dell'attualità in salsa western che ci investe come un'onda, con quella voglia di comunicare di cui ho detto prima:

E l’attore ora è il mago
E il mago è il dottore
E il dottore vende vite
E le vite son sparite
E qualcuno spende i soldi
Nel paese dei balocchi
E chi ruba nei palazzi
E i palazzi son dei pazzi

Siamo in piena autostrada 61, affanculo i limiti di velocità, si procede a rotta di collo, con Steve Earle nelle orecchie e Cormac McCarthy in tasca.

Alla fine della corsa scende però la notte e Companeros ci inchioda al muro, col suo ritmo lento, ballata sontuosa, accompagnata dalla magica tromba di Mike Perillo, brano notturno ed evocativo, che ci trova attorno ad un falò, in una terra straniera ed inospitale, stretti tra noi, poeti e zingari. 

All'orizzonte nulla di buono, ma noi possiamo bastarci, per proseguire.

Il brano che dà il titolo al disco è un bel lentaccio country rock, con l'intervento apprezzatissimo del bravo Paolo Ercoli alla dobro.

Canzone che rende bene il disorientamento di questi tempi, dove tutto è relativo ed incerto, tutti sono alla ricerca di un qualcosa nemmeno così definito. 
Unica certezza, il nostro cowboy ha la chitarra con sé e nel bene e nel male, anche quando tutto sembra perduto, sarà quella che lo salverà. 
Citazione fantastica di Robert Johnson, a simboleggiare questo concetto, Ho venduto la mia fede, per un solo di chitarra.
Non è molto, ma ci basterà.

Sullo stesso sentiero è anche Tutto ciò che resta, si parla di incertezze, paure, il timore di non avere e di non lasciare nulla, dopo una folle corsa all'oro, quando forse l'oro nemmeno c'era.

Quindi è ai margini che si è costretti a vivere, in quella darkness on the edge of town di cui cantava Springsteen, vite di contrabbando, sul filo del rasoio, oltre il limite, ma guidati da un amore sincero

Ma se tocchi per un poco le mie labbra
La tua rabbia si trasforma in una notte
Con i suoni della vita nella testa
E le luci fanno il verso delle voci

In coda al disco, Luca spara le cartucce migliori.

La versione italiana del brano di Guy Clark Desperados waiting for a train, che diventa Disperati in cerca di una via, è un capolavoro di immagini ed un inno all'amicizia quella vera, che va oltre qualunque differenza e qualunque difficoltà.

Una dichiarazione di stima incondizionata, forse dedicata allo stesso Guy Clark o comunque ad una persona importante a cui si deve eterna riconoscenza

Mi prendeva e mi portava via con sé
In  un vecchio e scalcinato caffè
C'erano uomini con birre carte e storie
A mentire su  una vita che non va 
Ero solo un ragazzo, mi chiamavano fratello

Come in un flashback, il nostro cowboy ci racconta attraverso queste note, la sua storia e i suoi modelli.

La storia si chiude con una esortazione ed un arrivederci. La strada chiama e non ci si può fermare, the road goes on forever, c'è sempre un mattino da raggiungere, una notte da far passare, soffiando tutto il nostro dolore dentro un'armonica a bocca.
Stanotte stiamo assieme, è bello anche l'Arno, ma c'è un mattino in arrivo.


Miglior brano dell'album e classica canzone che vale una carriera, L'ultimo hobo chiude alla grande questo disco.
Carlo Carlini era un promoter, anzi di più, era uno che esaudiva desideri e realizzava sogni.

Tutte queste atmosfere texane, qui in Italia probabilmente senza di lui non sarebbero mai arrivate ed è bellissimo che Luca gli renda omaggio, anche se al tempo stesso è triste che sia il primo.

Ma grazie alle tante notti texane da lui organizzate dentro balere italiane oggi possiamo goderci questo disco e questo cantautore.

Splendido che Luca scelga di chiudere il pezzo (ed il disco) elencando diversi artisti che Carlini portò in Italia grazie alla sua rassegna Only a Hobo.

Ramblin’ Jack
Rick Danko
Joe Ely
Butch Hancock
Peter Case
Billy Joe Shaver
Tom Russell
John Prine
Townes Van Zandt

E lo videro fumare sotto un basco da pittore
E bere grappa e regalare un’emozione
E lo videro sorridere in una notte texana
Di una balera italiana
E lo videro volare
Con Elvis che cantava
L’ultimo hobo corre e va

La dimostrazione che la musica può ancora contenere parole vere, sincere, scritte da uomini dal cuore grande che non dimenticano.

sabato 10 febbraio 2018

Non siamo quello che abbiamo. La complessa semplicità di Edoardo Chiesa




Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore.

Non fosse che sta frase di Italo Calvino è diventata la solita cazzata da social network da abbinare a qualunque cosa, sarebbe perfetta per descrivere lo stile di Edoardo Chiesa.

Giunto al secondo disco, il cantautore varazzino conferma la sua dote principale, ossia la capacità di scrivere con, appunto, leggerezza, senza mai essere superficiale, anzi, lasciando messaggi e quesiti molto spessi, ma non risultando noioso o presuntuoso.

Così come nel disco d'esordio Canzoni sull'alternativa, Edoardo non dà mai risposte, ma ci fa un sacco di domande, ci suggerisce riflessioni, ci spinge a guardare le cose da un punto di vista diverso, mai scontato.

A questo si abbina una musica in bilico tra il cantautorato classico e nuove sonorità, ma comunque sempre in punta di chitarra.

Accompagnato dai fidi Damiano Ferrando al basso ed Andrea Carattino alla batteria, Edoardo ci regala 10 nuove canzoni dove si alternano esami di coscienza, riflessioni sul mondo e perfino qualche sfogo.

Ad aprire l'album l'intensa Occhi, che descrive l'impatto con il mondo esterno, la ricerca di un contatto con altri occhi, che spesso non vogliono incontrare i nostri. Già da questo brano emerge la capacità di Edoardo di restare sempre al di fuori da facili ricette e saggi consigli, ma di preferire un tocco ironico. Tutti diversi, tutti occupati, ma con la volontà di guardare avanti, gli uomini padroni di questi occhi ci assomigliano parecchio.

Dietro al tempo, primo singolo uscito qualche mese fa, mette sul tavolo domande spesse a cui cercare assieme risposte. Chi siamo noi? È questo il quesito, ma dentro al casino che ci ritroviamo come vita. Ancora il concetto della comunità, che tornerà ripetutamente. Siamo, siamo, siamo, siamo mille cose e nemmeno una, abbiamo sogni e ci chiediamo se ci basterà il tempo a disposizione per realizzarli. 


Con Domenica invece Edoardo ci scuote ed ironizza sulla nostra voglia di tranquillità, che se eccessiva ci nega il succo del vivere. Smettetela di stare alla finestra, smettetela di aver paura, smettetela di evitare la solitudine, con il suo stile che prende gli argomenti sempre da una angolazione inaspettata, Chiesa ci invita a dare colore alle nostre vite, cantando di fare il contrario, ricordandoci che le cose importanti (non) sono gli armadi ordinati e le strade illuminate.

Viviamo, che tanto anche se stiamo ad aspettare, le nuvole si spostano comunque, la vita va avanti, non ci aspetta, la vita è quella cosa che succede mentre siamo impegnati a fare altri progetti, come diceva John Lennon.
La domenica poi, quando tutto si ferma, restiamo davanti ai nostri limiti auto-imposti, con il paradosso di avere tutto a portata di mano, ma di non essere più capaci a rispondere a semplici conversazioni tra amici.
È un argomento a lui caro, quello dei rapporti umani, rapporti tra persone vere, minati dalle troppe sovrastrutture, anche mentali, che abbiamo costruito.

Ironica e divertente, Le porte racconta di quando proprio le cose non vanno per il verso giusto; ad un ascolto attento, Edoardo ci racconta che nel cammino della vita, di porte e spigoli ne incontreremo a mazzi, fa parte del gioco, prendiamone atto e anche se "non sarà serata e non si rasserenerà" (ritornello di una musicalità deliziosa) proviamo ad attraversarle, 'ste porte.

La chiave è un esperimento ambizioso e curioso, in pratica una sorta di canzone 2.0, dove all'interno si trovano i diversi spunti presenti nelle altre 9 del disco. mettendo assieme le varie idee, si raggiunge una specie di filo conduttore, che poi altro non è che la tavolozza con i colori che Edoardo ha usato per questo lavoro. Ritorna ovviamente il concetto del rapporto umano, della difficoltà a rispondere a voci e persone.

Anche Il filo è uscito come singolo, con annesso video girato a New York, in un modo che spiega anche visivamente l'argomento del brano. Fili, fili dappertutto, possibilità di fare ogni cosa, ci possiamo connettere ovunque fino a dovunque, ma alla fine, come in Domenica, ci mancano le capacità più basilari, semplici ed importanti. Tutti possono vederci bene, ma nessuno sa più dove guardare.

Ed il filo che ci lega diventa ostacolo e se non si condivide la direzione, si spezzerà.


Cattiva e velenosa, sempre grazie all'arma del sarcasmo, Se fossi in te è un capolavoro di invettiva contro chi ci si para davanti con arroganza e protervia. 

Facile abbinare il protagonista ad uno dei tanti politici odierni, ma la figura disgustosa che viene rappresentata, ahimè, è frutto della nostra società e si trova ovunque.

Scarpe lucide e suole consumate a forza di strisciare.
Se fossi in te mi assaggerei da solo, per poi sorprendermi di quanto sono buono.

Che spettacolo di canzone, una fucilata in pieno stomaco, ma col sorriso sulle labbra.

Radici ha il titolo di una canzone di Guccini ed inizia come una canzone di Guccini, ma alla fine è una bella riflessione sull'andare ed il restare, sul partire ed il volersi fermare. Testo che si presta a diverse interpretazioni, ma il punto è la scelta tra le nostre radici e le liane che ci possono far volare in alto.

Voci è forse il punto più alto del disco, un esame su ciò che è stato e che sarà; il timore del domani e la capacità di fare il punto della situazione su noi stessi per proseguire senza paure.

Lui è partito, lei è rimasta, ma entrambi si fermano a ragionare sulle proprie scelte, dedicano ad esse del tempo e si, è questo che ci fa uomini, adulti e non solo animali abituati a capirci solo se ci conviene

La paura scompare quando riesco a guardarmi bene dall'alto, a proposito di Calvino.

Sembra quasi che questa canzone risponda a Dietro al tempo, dicendo che dietro ad esso ci sta la nostra maturità, la nostra umanità, il nostro essere capaci di unire razionalità e cuore.

Il disco si chiude con una bellissima canzone d'amore che, come nello stile di Edoardo, non procede su percorsi abituali, ma avanza per sottrazione, per raccontare quanto è bella la vita con lei, lui sceglie di spiegare quanto strana sarebbe la vita SENZA di lei.

Un'altra vita racchiude in pochi minuti le caratteristiche migliori della scrittura di Chiesa, dipingere con colori inaspettati, scegliere la strada meno scontata, sotto un tappeto di chitarra pizzicata e lasciando a chi ascolta interrogativi e spunti.

Come si fa tra persone intelligenti.


domenica 4 febbraio 2018

Matite e malinconia, i tratti inconfondibili dei Dagma sogna.




Arrivati al secondo album, escluso il mini EP con cui iniziarono a farsi conoscere, i Dagma sogna possono dirsi soddisfatti di aver già tracciato i loro personali "Tratti di matita" ossia un suono ed uno stile che li rendono già ora riconoscibili e che denotano una personalità non scontata in un gruppo che non ha nemmeno 5 anni di vita.

Tratti di matita sottolinea quindi da un lato la maturità del gruppo savonese, ma anche la capacità e le potenzialità di un suono che seppur riconoscibile, dimostra di crescere e di potersi dipanare su sentieri ancora da battere.

Vale la pensa seguirli, per capire come potranno mettere a fuoco le varie direzioni possibili.

Il nuovo album, uscito da poche settimane, racconta con bozzetti in chiaroscuro le varie sfaccettature dei rapporti umani, tema da sempre caro ai Dagma sogna; ogni brano è un carboncino al cui interno si trovano persone, sentimenti, storie che ci entrano facilmente dentro, poiché facilmente ci possiamo immedesimare in loro.

I colori del silenzio apre il disco sottolineando subito il raggiungimento di un marchio di fabbrica su cui far spaziare il proprio talento.

Sopra un ritmo decisamente rock Alessandro racconta di relazioni da ricostruire e preservare, come disegni preziosi che il tempo intacca ma può anche rafforzare. Il legame tra i due protagonisti è da imprimere su carta e da tenere al riparo.

Fa capolino già dal primo brano un sentimento agrodolce e malinconico, che pervade anche la copertina, dove al gesto dell'offrire il proprio cuore è abbinato un percorso da compiere tra svolte e inversioni, per poi poter volare con la leggerezza di un aeroplanino di carta.

Primo singolo uscito, con video marinaresco, Come onda resta sul rapporto di coppia, ma con un senso di sconfitta da parte del protagonista, che si rende conto dei propri errori e capisce che d'ora in poi dovrà cambiare.
Sale e nostalgia, un gusto amaro da avere in bocca, in ricordo di chi abbiamo fatto scappare, confondendo amore con il possesso.


Si resta sulle difficoltà di coppia e per un confronto completo viene in aiuto la meravigliosa voce di Anna Napoli per La teoria del dirsi addio. Brano ambizioso per liriche e musica, con Anna che aggredisce la strofa in maniera spettacolare, mentre la coppia si pone con estrema sincerità davanti al fallimento del proprio progetto.
La sincerità è un marchio di fabbrica dei Dagma sogna, esattamente come l'aspetto musicale di cui parlavo sopra. Testi sinceri che non nascondono amarezze ed esami di coscienza, qui sublimate dall'ammissione della fine di un amore, affrontata con enorme rispetto reciproco, "perchè nella pratica del nostro dirci addio, c'è più amore di chi si chiama amore".

Non è possibile non citare a conclusione di tale momento carico di intensità, il solo di Daniele che rende in note le lacrime e l'insonnia che accompagnano certi periodi.

La Signora degli inganni di cui parla l'omonimo brano (appena uscito come singolo) è invece l'eterno rimpianto che deriva sempre dalla perdita di chi amiamo o dalla scoperta dei suoi trucchi. Un brano che si apre a diversi piani di lettura, attribuendo, almeno questo ho fatto io, il ruolo di "signora" non solo ad una persona ma anche ad esempio ad una dipendenza.

"Sembra impossibile volerti ancora qui
tracce di quel che sei, si fanno brividi
nell'inventare un mondo senza te"


La malinconia diventa dolore in Tu come me dove il protagonista si trova solo davanti ad un fallimento e non lo nasconde a chi credeva fosse la sua donna.

"Se vince il compromesso, si perde in due" 

Ammissione senza filtri, nudo davanti alla fine di un sogno, sembra quasi che il dolore sia cercato per poterlo superare, per farsi disinfettare l'anima.

Ballata classica e decisamente radiofonica, Nuotando in un mare di stelle riporta in vita la speranza, pur se avvolta da quei tratti malinconici immancabili; bello il cambio di direzione musicale verso la fine del pezzo, guidato dall'arpeggio di chitarra che detta il tempo a tutta la canzone.

Con Il cortile si alza l'asticella e si dimostrano da un lato le potenzialità su cui il gruppo può e deve investire il futuro e dall'altro l'altrettanto fondamentale ambizione.
Un cortometraggio in meno di 4 minuti, che ci porta davanti alla protagonista, la vita di una donna, diventata madre troppo presto e troppo sola, che in quel cortile scorre come foglie dai rami, portata via dal vento, mentre al suo fianco cresce il frutto di quell'amore troppo breve.

E poi cazzo, scusate, ma nella frase:

Non ha più tuo figlio quella splendida occasione
di parlare con suo padre della gioia di esser padre

io ci trovo quello che è il MIO rimpianto ed il MIO dolore, quello che mi porterò dentro per tutta la vita.

Pezzo gigantesco, a cui non nego mai qualche lacrima e un paio di centimetri di pelle d'oca.

Esplode forte l'anima rock del gruppo, composto da musicisti di estrazione innegabile, che ogni tanto esce fuori incontenibile. Pezzo trascinante dove emerge la solidità della sezione ritmica cioè Gabriele ed il nuovo arrivato Gianluigi. Fuori dalla realtà è una parentesi che fa respirare e ci ricorda che anche in momenti di forte introspezione come quelli presenti in gran numero in questo disco, è sempre necessario urlare al cielo e goderne le stelle, fosse solo un modo per spazzare via il quotidiano e tenerlo lontano pochi minuti.

Chissà se sono veri, i protagonisti di Ancora favole? Ci illudiamo di sì, vedendoli felici, ma ahimè, la grande casa bianca nasconde illusioni e strada rimasta da percorrere; mi colpisce molto però che il senso della canzone siano la ricerca ed il desiderio della felicità per i figli e non per se stessi, segno tangibile della maturità compositiva ed umana del gruppo, che capisce e canta dell'importanza del futuro.

Un sontuoso intro di piano da parte di Davide, mostruoso come al solito dietro ai tasti, ci porta ne Il viaggio, brano che conclude il disco, a parte la versione radiofonica di Come onda.
Ballata di alto livello, impreziosita dal violino di Fabio Biale, dal testo ampiamente simbolico, che ci dice, nemmeno tra le righe, che i Dagma sogna non si fermano qui, ma hanno capito che il senso di tutto stia nell'andare, avanti.

Per chi cerca un'altra pagina di se
e non si accetta stanco ed arrendevole

Nè stanchi, nè arresi, i Dagma sogna vogliono andare avanti ed il loro viaggio è appena all'inizio.