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mercoledì 8 marzo 2017

Siate felici per me



Camminava lungo una strada buia, era notte, forse, non ne era sicura, ormai non distingueva più le ore; dietro di sé, rimbalzavano le voci di chi la stava cercando:

torna qui, non so cosa mi sia preso
ho sbagliato, perdonami
non succederà mai più.

Nella sua testa rimbalzavano le voci di chi la stava cercando:

una come te la trovo dappertutto
che me ne faccio di te e di tua figlia
vuoi ancora dei soldi, non te ne ho prestati abbastanza?

Camminava a piedi scalzi, la guancia dolorante per l'ennesimo schiaffo, forse sangue dal naso, il gusto ormai le era familiare. Basta, questa volta basta, è finita, siate felici per me, è finita.
Certo, come le altre volte
quando non rispondevi al telefono, quando non ti facevi trovare, è come le altre volte vero?
No, no, davvero, stavolta ho detto basta.

Torna qui, non so cosa mi sia preso
ho sbagliato, perdonami
non succederà mai più.

Anche la prima volta le aveva detto così, prima di colpirla, all'improvviso: certo, può capitare e poi aveva avuto una giornata storta, tutti abbiamo le giornate storte dai, chi non ne ha?
Dovevo stare tranquilla e non esasperarlo; poi quella volta che non volevo fare l'amore, beh sì quella volta avevo proprio esagerato con i miei no; mi aveva sbattuto per terra, mi aveva strappato i pantaloni, ma si vedeva che non era cattiveria, era solo eccitazione, era solo un modo un po' irruento per dimostrarmi che mi desiderava. Certo

torna qui, non so cosa mi sia preso
ho sbagliato, perdonami
non succederà mai più.

Le amiche me lo dicevano, ma loro sono delle stronze, anzi, delle stronze gelose, perché lui è uno importante sai? Lo si vede sempre in prima fila nelle occasioni che contano, è uno che ha un sacco di responsabilità, uno importante sì, appare sempre nelle foto, cosa ne sanno quelle stronze?

Una come te la trovo dappertutto
che me ne faccio di te e di tua figlia
vuoi ancora dei soldi, non te ne ho prestati abbastanza?

Ccerto, meglio del mio ex marito, quello era una palla al piede, mica mi aveva mai mandato dei fiori, a letto era un disastro, mica era mai scappato dal lavoro per vedermi di nascosto
(sì, lui ha una fidanzata, ma ama me e sta per lasciarla, davvero eh, sì sì)

una come te la trovo dappertutto
che me ne faccio di te e di tua figlia
vuoi ancora dei soldi, non te ne ho prestati abbastanza?

torna qui, non so cosa mi sia preso
ho sbagliato, perdonami
non succederà mai più.

Di fianco a lei le macchine sembravano ignorarla, anche loro, non bastasse la sua famiglia,
anche loro la lasciavano al suo destino: ci fosse un cane che mi aiutasse, qualcuno con cui parlare, sfogarmi, farmi consolare, farmi dire che sto sbagliando

torna qui, non so cosa mi sia preso
ho sbagliato, perdonami
non succederà mai più.

Ma stavolta non torno indietro, no no davvero, stavolta non gli darò retta, l'ho già fatto troppe volte, stavolta sono libera, siate felici per me, domani chiamerò le mie amiche e dirò loro che è finita, è finito l'incubo, dirò loro di essere felici per me
si ferma una macchina:
oh finalmente, anzi no, conosco quella macchina, dannazione, la conosco eccome, è la sua, come ha fatto a trovarmi ancora, come fa a trovarmi sempre?

Sali dai, non so cosa mi sia preso
ho sbagliato, perdonami
non succederà mai più

(Grazie ad Alessandra Piccoli per il prezioso aiuto)

giovedì 7 luglio 2016

Anna e Carlo (Un racconto breve per le donne che combattono)



Anna aveva conosciuto Carlo anni prima, sul lavoro; era un tipo simpatico, affabile, disponibile. Le faceva capire di essere uno che contava, ma sottilmente, senza esagerare. La faceva sentire importante, la aspettava al mattino per un saluto, le offriva il caffè a metà mattinata, era sempre nel posto giusto al momento giusto.

Lei all'inizio non ci fece caso, troppo presa dal nuovo lavoro, troppo in ansia per fare bella figura per accorgersi che Carlo era sempre presente proprio quando lei ne aveva bisogno e non certo per caso.
Il caso; per caso aveva la macchina dell'ufficio pronta se lei doveva andare chissà dove, per caso era in pausa se lei usciva per un caffè, per caso faceva la spesa nel suo stesso supermercato.
Quella volta forse le suonò un campanello di allarme, ma lo silenziò rapidamente.

Anna era sposata per inerzia, col marito si parlavano appena e lei viveva per sua figlia.
Carlo invece aveva una fidanzata, una reputazione, un ruolo.
Nessun problema, giusto?

Poi una volta non si ricordava bene perchè, lui la accompagnò a casa, non insistette per salire, però attese gentilmente che lei entrasse nel portone. Saperlo allora che aveva memorizzato perfettamente l'indirizzo, forse si sarebbe comportata diversamente.
Anna era sempre stata una ragazza forte, decisa, ma pian piano le piccole gentilezze di Carlo la avevano incuriosita, poi addolcita ed infine conquistata.

Erano finiti a letto assieme un pomeriggio estivo, dopo una mattinata particolarmente pesante al lavoro, quando, non per caso, lui era libero e la aveva accompagnata a casa. Una leggerezza, un momento di debolezza, così lui era salito a casa sua.

Nei primi tempi, quella relazione la incuriosiva, la stuzzicava, perchè era gratificante saperlo così attratto e sebbene non fosse molto corretto, doveva ammettere che avere un collega così disponibile, anzi servile, la faceva sentire importante.
Del resto il marito per inerzia chi soddisfa? Nessuna. Così iniziò a vedere Carlo come colui che avrebbe potuto in qualche modo salvarla da quella noia, da quei silenzi, da quell'indifferenza.

Senza nemmeno rendersene conto, Anna se ne invaghì e lasciò che pian piano lui la controllasse, la circuisse, la soggiogasse.

Il primo allarme era suonato appunto mentre faceva la spesa, trainando il carrello e la sua apatia, mentre suo marito le era da zavorra e la figlia giocava ignara; se lo vide spuntare davanti con un sorriso inquietante. Un saluto veloce e un brivido che faticava a mandare via.
Le cose lentamente cambiarono, lui diventò sempre più pressante, le gentilezze lasciarono il posto a risposte sgarbate e a commenti intrisi di cattiveria, però quando lei lo andava a trovare, fingendosi in ferie e negandosi al telefono, si sentiva viva, considerata, apprezzata; sotto quelle lenzuola a lei estranee stava tornando a sentirsi donna e tutto il resto contava poco, era un equivoco, era colpa della sua ansia e della sua paura di perdere anche quell'oasi nella quale era desiderata e non solo un'ospite in un letto matrimoniale.

Fu così che Anna divenne inappetente e sempre più apatica verso il mondo, vivendo solo per quei fugaci momenti nei pomeriggi dove gli orari combaciavano, per quel gioco di sguardi e mani nei corridoi degli uffici, per quei messaggi che a ripensarli ora la nauseavano, ma che allora le sembravano poesie.

Il giorno del coraggio fu un giovedì, un giovedì pomeriggio, passato da lui, tra il letto e consigli non richiesti sulla propria vita. Non ricordava bene la scintilla, ma Carlo all'improvviso le si rivelò per quello che era: un violento, arrogante, manipolatore, un frustrato che nel dominarla cercava riscatto per una vita di delusioni. La colpì durante una discussione, lei nemmeno vide arrivare il pugno, ma si ritrovò a terra, sanguinante con lui che dall'alto la guardava con disprezzo. Forse fu il gusto del suo stesso sangue, forse il dolore, forse quegli occhi che finalmente riusciva a vedere veramente e nei quali scorgeva solo odio. Anna si alzò, ignorando le patetiche scenette di Carlo, che senza nemmeno troppa convinzione le diceva di non sapere cosa gli fosse preso.

Uscì da quella casa e ricordò, ammettendolo finalmente a se stessa, gli altri episodi in cui lui l'aveva stretta un po' troppo, l'aveva obbligata, l'aveva derisa.
No, non sono questa, disse davanti ad uno specchio impietoso.

Iniziò così la sua lenta risalita da quell'inferno, grazie a qualche amica, tanta buona volontà e gli occhi di sua figlia, nei quali capiva lo smarrimento di chi percepisce l'odore di paura e disperazione ma non riesce a decifrarli.

Così Anna tornò alla vita, riuscì a tagliare i ponti con Carlo, certo non subito, ma ci riuscì. Lui si rivelò una persona meschina ed una volta accortosi che non poteva sfogare su di lei le sue frustrazioni la lasciò in pace. Anna riuscì perfino a telefonare a quell'avvocato che le avevano consigliato, un buon avvocato divorzista.

“Anna, siamo pronti”. La voce dell'infermiere la svegliò di soprassalto. Era sul lettino, la solita flebo, tutto intorno colore bianco ed odore di disinfettante. Anna aveva un tumore, glielo avevano diagnosticato un anno fa. Era uscita dallo studio medico con la testa che le ronzava e le gambe che le tremavano. Arrivata a casa aveva deciso che non le piaceva la parola tumore, né il termine malattia. Quindi da quel momento Anna aveva chiamato il suo male Carlo e la sua battaglia era stata contro un uomo cattivo e non contro un tumore. All'inizio non aveva creduto che Carlo le potesse fare del male, né che le cose rischiassero di precipitare davvero, quindi aveva reagito sottovalutando tutto; dopo la prima seduta però aveva capito che Carlo in realtà era pericoloso ed andava combattuto con le armi giuste. Quindi si fece forza e lo combattè con la sua grinta, la sua voglia di vivere, la sua ironia. Perdere i capelli non la spaventò affatto, la nausea dopo ogni ciclo di terapia era pesante, ma Anna trasformò questi momenti in occasioni per ridere, per ridere di Carlo e ridere in faccia a Carlo. Certo avere un male del genere a 15 anni non è roba da poco, ma Anna aveva una grande fantasia e le piaceva immaginarsi adulta, adulta e sposata, anche se con un matrimonio migliore di quello che aveva inventato. Un po' tremante, scese dal lettino e prese le sue cose, salutando gli infermieri, la dottoressa e tutto il personale che aveva combattuto al suo fianco e che oggi l'aveva accolta per l'ultimo ciclo di terapia. Era guarita, il tumore, anzi Carlo, era scomparso. Ci sarebbero stati esami e controlli e paura e notti insonni prima di esami e controlli, ma ora l'importante era che Carlo fosse uscito dalla sua vita e lei avrebbe fatto di tutto per non farlo tornare. 

"Ciao mamma, ciao papà", disse allegra ai suoi genitori, innamorati ed entusiasti di una figlia così coraggiosa. Salì in macchina ed andò incontro nuovamente alla vita.

venerdì 20 settembre 2013

Le avventure di Al O'Pecia - cap.2



Era un bel mattino nella contea di Esperansa de Sonhar e tutti erano felici; il sole era caldo, il raccolto era soddisfacente, c'era nell'aria il tipico clima dei giorni di festa.
Ma lo sceriffo Al ed il suo aiutante El Pequegno non erano d'accordo con tutto questo buonumore; pareva loro che l'autorità non fosse rispettata nè tantomeno temuta.

Come possiamo fare per farci rispettare di più coach? chiese El Pequegno
Mahhhhhhhhhhhhhhhhhhh ehhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh stavo pensandoci anche io Peq, tutta questa gente deve capire che qui comando io, non possono mica pensare di vivere tranquilli senza che IO decida delle loro vite!!!!
Il pesce puzza sempre dalla testa!!!! disse Peq
Ehhhhhhhhhhhhhhhhh maaaahhhhhhhhhhhhh!!!!! Che c'entra Peq???
Non lo so coach, ma mi piace sta frase, mi fa sentire intelligente
Peq non farmi arrabbiare o vado via chiaro????

noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo lei non può andarseneeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee

 un urlo straziante squarciò il silenzio del mattino.
Era Marzia Pan, la vecchina del paese, che voleva bene a tutti.
Doveva aver sentito la frase di Al ed iniziò a piangere disperata invocando tutti i santi del paradiso perchè aiutassero la contea a tenersi stretto lo sceriffo, perchè tutti devono volere bene a tutti e tutti devono essere amici con tutti e tutti devono vabbè insomma avete capito.
Fu una scena straziante e anche Al fu mosso a compassione e la rincuorò eeeeeeeeeeeeehhhhhhhh maaaaaaaaaaaaaaaaaahhh non ho mai detto che me ne vado Marzia Pan stia calma!!!

come no? lo hai appena detto!! fece notare Pequegno
ho detto di no!!! non è vero non l'ho mai detto ed io ho sempre ragione!!!!! concluse Al

Era un suo vizio, quello di finire così tutte le discussioni.

lunedì 16 settembre 2013

Le avventure di Al O'Pecia - cap.1



Cari affezionati lettori,
seguitemi e vi porterò nel mondo del temibile Al O'Pecia.

Al O'Pecia era uno sceriffo, cattivo, molto cattivo.
Era lo sceriffo della contea di Esperansa de Sonhar, un luogo abbandonato ormai da diverso tempo, ma che per anni era stata un luogo ricco, felice e prospero, dove ci si voleva bene e ci si divertiva insieme.

Al O'Pecia aveva un vice, El Pequegno, anche lui feroce, di bassa statura ma atleticamente in gran forma, anche se non in forma come il suo capo Al.

Nella contea di Esperansa tutto procedeva per il meglio, la gente collaborava per il bene del paese, i raccolti erano ricchi, le messi abbondanti, alla festa della contea era sempre uno spasso, tutti ballavano, bevevano, cantavano assieme, sulle note delle canzoni del famoso cantante locale El Bovaro, grande performer, di cui tutte le donne erano innamorate, grande scrittore, che tutti gli uomini ammiravano.

Nulla sembrava poter turbare l'armonia di quel luogo, eppure, cari lettori, nel giro di pochi anni successe qualcosa che cambiò profondamente la situazione.

La storia è lunga, dolorosa, ma appassionante.

Volete viverla con me?