lunedì 28 luglio 2014

Live in Albenga; L'Orage - Alle radici della vera musica popolare

















Mercoledì 30 luglio, ore 21.30 - Albenga, Piazza San Michele - INGRESSO GRATUITO

Violini, fisarmoniche, tamburi, organetti, ghironde, cornamuse e mandolini; con questi strumenti, L'Orage si presenta al pubblico con la sfacciataggine della giovane età dei loro componenti e con la voglia di stupire chi non crede che con questo pacifico arsenale si possa davvero combattere una guerra a colpi di folk, rock e canzone d'autore.
Una sfida vinta dai ragazzi del gruppo, grazie al carisma del cantante Alberto Visconti ed alla bravura dei fratelli Remy e Vincent Boniface, di Stefano Trieste, Florian Bua, Memo Crestani e Ricky Murray.
Ma anche e soprattutto dall'amalgama creatasi in 5 anni spesi su ogni tipo di palco, grande, piccolo, stadio o provincia, festival o happening che fosse.
Un viaggio lungo territori inesplorati, sconosciuti o spesso dimenticati, un percorso attraverso fate, leggende e favole, con un sottofondo musicale che spazia dal rock al blues, senza ovviamente tralasciare il folk.
Proprio il folk nell'accezione più vera del termine è la chiave di lettura con la quale approcciarsi alla musica de L'Orage. Una musica che sia festa e protesta, che sia tradizione ma che guardi al futuro, che porti con sé le credenze e i racconti degli anziani attorno al fuoco, proiettandoli nel terzo millennio.
Un approccio che li lega idealmente ai cantastorie provenzali, ai trovatori e chiaramente agli hobos americani, quelli come woody guthrie che uccidevano i fascisti con le loro chitarre o i bluesman maledetti come robert johnson, persi dopo un incontro diabolico a chissà quale incrocio.
Un loro concerto è tutto questo, con in più il loro tocco personale: è un momento di profonda emozione e divertimento, gioia e riflessione, un mix contrastante di sentimenti che appunto, solo la musica veramente popolare è capace di creare.
Ascoltando le loro canzoni ci si ritrova nell'arco della stessa sera ad un concerto rock, ad una sagra di paese dove dopo i balli di gruppo, i ragazzi cercano di trovare il coraggio per invitare a ballare le ragazze, attorno ad un caminetto mentre un saggio nonno ci incanta con racconti di guerra e campagna, ma anche ad una manifestazione di protesta che rivendichi diritti universali.
Non a caso di loro si sono innamorati artisticamente cantanti mai banali e sempre attenti a cosa sta loro intorno, come Carmen Consoli, Lou Dalfin, Goran Bregovic ed ovviamente il Principe De Gregori, con il quale hanno collaborato sia in studio che dal vivo, in una magnifica serata evento.
A dicembre le poltroncine del Teatro Ambra hanno faticato parecchio a contenere l'entusiasmo del pubblico durante la loro performance, quindi siamo certi che la splendida cornice di Piazza San Michele sarà perfetta per accogliere L'Orage e farsi travolgere dalla loro incendiaria proposta musicale!

sabato 26 luglio 2014

il pagellone - giugno

Jack White - Lazaretto: 7,5



Chris Cacavas & Edward Abbiati - Me and the Devil (deluxe edition): 8



Rival Sons - Great western valkyrie: 7



Tom Petty and the Heartbreakers - Live 2013: 8



California Breed - California Breed: 7



Rudy Rotta - Beatles vs Rolling Stones: 7,5



The Moon - Waiting for yourself: 6,5



lunedì 21 luglio 2014

Ho guardato negli occhi i ragazzi della Piaggio
























Ho guardato negli occhi i ragazzi della Piaggio di Finale Ligure
Li ho visti seduti al sole, sotto la pioggia, di giorno e di notte
Li ho guardati negli occhi, mentre difendevano una fabbrica, un lavoro, un'idea
Li ho visti che dimostravano il loro senso di appartenenza, forte, a quel luogo
Li ho guardati negli occhi, mentre ricevevano aiuto, appoggio e solidarietà, li ho visti ringraziare tutti, con una stretta di mano, un abbraccio
Li ho visto salutare chiunque suonasse il clacson, un piccolo segno di solidarietà, ma d'altronde.
Ma d'altronde viviamo tempi in cui si urla RIVOLUZIONE davanti ad un computer e con il culo ben piantato su una poltrona o sotto un ombrellone quindi perfino il suonare il clacson è fare di più.
Ma d'altronde.
Mi sono fermato un paio di volte, ho portato il modesto contributo della mia famiglia
E li ho guardati negli occhi
Nelle loro divise, portate con orgoglio, perché per loro è un orgoglio far parte di una azienda dal nome così prestigioso
Perché per loro è un orgoglio sapere di aver contribuito a rendere il nome della loro azienda così prestigioso
Li ho guardati negli occhi, ho visto le loro magliette sudate, le loro barbe sfatte.
Li ho guardati negli occhi, in quegli occhi pieni di sonno e stanchezza, ma così ricchi di forza e specchio di una volontà incrollabile
Li ho guardati negli occhi mentre mi dicevano "non si molla un belino"
Li ho guardati negli occhi mentre sembrava volessero abbracciare tutta quella grande cattedrale che è la Piaggio di Finale Ligure
Quella che è spesso la prima cosa che si vede, dopo la galleria
Li ho visti sempre attenti, custodi e guardiani di un posto che per molti di loro vuol dire vita
Li ho visti uscire dal turno e fermarsi al presidio
Li ho visti non tornare a casa per 24 ore filate, perché la loro casa e la loro famiglia tirano avanti grazie a quella fabbrica e quindi quello è il posto più importante dove stare
Ho ricevuto da queste persone una lezione ENORME su cosa voglia dire davvero combattere per i propri diritti, sull'impegno e la costanza, sul concetto stesso di LOTTA.
Ad ognuno di loro, chi non conosco, chi conosco di vista, agli amici, dico grazie per tutto questo.
Grazie per avermi guardato negli occhi.


mercoledì 16 luglio 2014

Scusa, Ameri - I diari del calcetto


 
Nell'elenco dei lavori che volevo fare da bambino, mi ricordo:
- il giornalista
- il calciatore

e pochi altri; 
crescendo, ho aggiunto anche il musicista.

Alle soglie dei 42 anni, inizio ad avere qualche dubbio sia sulla possibilità di giocare titolare una finale di Champions League che di esibirmi al Madison Square Garden.
Mi resta il giornalista o comunque qualcosa legato allo scrivere.
Perchè a me scrivere è sempre piaciuto, tanto.
Prima ancora di diventare logorroico, mi piaceva scrivere ed immaginarmi appunto giornalista sportivo, o musicale.
Oppure scrittore.

Negli ultimi anni sono successe un po' di cose alla mia vita, matrimonio, figli, traslochi, perdita di persone care, trasferimenti lavorativi.
Ma anche piccole cose che hanno dato un gusto diverso al mio tempo libero, a partire dall'aver aderito all'associazione Zoo di Albenga (QUELLI DI SU LA TESTA) per poi entrare a far parte del Mulino degli Artisti di Tovo San Giacomo (QUELLI DI PERCHE' BARDINO E' BARDINO).

In più avevo aperto sto blog (perchè? perchè no?) dove sfogavo alcune mie frustrazioni:
scrivevo di musica
scrivevo di calcio
soprattutto scrivevo come se fossi davanti ad un tavolo di un bar, con amici, a berci un paio di birre.
senza alcuna pretesa "letteraria".

Alla fine però, dai e dai, a forza di sentirmi dire che avrei dovuto scrivere un libro, ho preso un po' delle cose che avevo scritto qui e ho provato a farle diventare un libro davvero.

Ed ecco la notizia: ho trovato qualcuno che pensa che questo "libro" meriti di essere pubblicato.
GAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHH
(scusate)
(scusa, ameri)

La casa editrice digitale Matisklo (www.matiskloedizioni.com) ha quindi deciso che il mio "libro", intitolato come questo post, vedrà la luce, in formato digitale, a breve, forse brevissimo.

E questo è già, di per sè, un sogno che si realizza.
perchè mica penso di farci il grano con sto libro, no.
Ma sapere che qualcuno "del mestiere" valuta una cosa scritta da me meritevole di essere pubblicata, beh ragazzi, è proprio ma proprio bello sapete???

Bene, ecco qua, ci siamo, il Cala pubblica un libro (il primo? l'ultimo? boh) ed ovviamente sarebbe bello che qualcuno lo comprasse, il libro del Cala no?

Non intaserò le vostre caselle di posta - bacheche di facebook o G+ - timeline di Twitter con continue autopromozioni, davvero. (Lo farò solo un pochino dai, poco poco, il giusto)
Ma per rendere questo, che è già comunque un sogno che si realizza, ancora migliore, sarebbe bello che chi di voi ne avesse piacere facesse girare la voce che "oh, ho letto un libro sul calcetto, fa ridere (dai, spero che vi faccia ridere), ti giro il link dove puoi prenderlo e\o dove ne parlano".

Alla fine alcuni di voi magari si ricorderanno di queste "avventure sportive", alcuni di voi ci si riconosceranno tra i protagonisti, altri magari penseranno alle loro partite tra amici e chissà, ci si immedesimeranno in ste pagine.

Alla fine, quello che conta per me è aver realizzato sto piccolo obbiettivo che mi ero posto e condividerlo con più persone possibili.

Perchè, tutto sommato, io scrivo per supplire alla mancanza di occasioni dove vedere gli amici, quelli presenti in quelle pagine, quelli che non ci sono, ma ci sono lo stesso, quelli che non ci si vede mai, e mentre scrivo mi immagino di averli davanti, che mi ascoltano, che raccontano, che insomma si sta assieme.

Non sono uno scrittore, sono solo uno a cui piace l'aneddoto, lo stare al pub a dirci 4 belinate, l'essere al centro dell'attenzione per farsi del ridere.

Spero che tutto questo voi lo troviate, leggendo il libro, se avrete la voglia di leggerlo.

Tutto il resto che verrà sarà davvero un di più.

Grazie.

lunedì 14 luglio 2014

Live in Albenga: Garland Jeffreys, la storia del Rock, tra tolleranza e contaminazione




Martedì 15 Luglio - Piazza San Michele, Albenga (SV) INGRESSO GRATUITO


La bellezza della musica, sta anche (o soprattutto) nel prenderci per mano e portarci in posti nuovi, in mondi migliori, da dove guardare le cose con occhi e spirito diversi.
A Garland Jeffreys è toccato in compito accompagnare i suoi ascoltatori nella New York di metà anni 60, gli anni in cui lui ed alcuni suoi amici, tra cui John Cale e Lou Reed vivevano immersi nella creatività e nelle vibrazioni di quelle strade e di quei vicoli.
Partendo da Brooklin, la storia artistica ed umana di mister Jeffreys si è snodata secondo un filo conduttore ben preciso: contaminazione e tolleranza; con due parole chiave del genere, in un ambiente del genere, non potevano che nascere note ammalianti, che come detto all'inizio creassero dei ritratti precisi e colorati. 
I vicoli, quegli scorci in bianco e nero, quei tombini da cui usciva fumo e vapore, sono ricreati nelle tracce di molte canzoni di Garland Jeffreys, già dai primi dischi (l'esordio risale al 1973, con l'album omonimo, anche se nel 1970 era uscito un disco a nome Grinder's Witch, dove il portoricano era protagonista).
Ma New York non è solo una parte del mondo, NY è UN  mondo, un mondo a parte, un microcosmo, un crocevia, un incrocio di mille e più strade, colori, razze, culture.
Da questo mondo, Garland Jeffreys ha creato la sua musica, che non poteva che essere meticcia, contaminata, che non poteva che portare con sé sapori ed ingredienti diversi, ma amalgamati con gusto.
In una sua celebre hit, Jeffreys rende lode al rock and roll “nato dal soul e dal rhythm and blues” e ci fa capire la cifra stilistica della sua capacità compositiva e “gastronomica”.
Nei suoi album, ferma restando la forte impronta personale che il suo talento lascia tra i solchi, si sentono echi di rock, soul, blues, reggae (ottima la sua versione di No woman no cry di Marley in “One-eyed Jack” del 1978).
Sul palco di Piazza San Michele salirà un cantante che ha vissuto ed assorbito in prima persona la Storia della musica moderna, assaporandone con gusto alcuni dei momenti più importanti e avendo la fortuna di collaborare con personaggi dell'importanza dei già citati membri dei Velvet Underground, del cantautore James Taylor e di musicisti del calibro di Elliott Murphy, Vernon Reid, Sonny Rollins e Luther Vandross.
Pochi anni fa salì sul palco di Bruce Springsteen (un vecchio amico con cui ha duettato spesso) ed accompagnato dalla E Street Band incantò il pubblico del Festival olandese Pinkpop riproponendo con il Boss una versione di 96 Tears (vecchio successo del gruppo “Question Mark and the Mysterians” da lui incisa anni prima).
Il messaggio delle sue canzoni è, coerentemente ai luoghi dove è cresciuto, un messaggio di tolleranza ed integrazione, fortemente antirazzista; vengono affrontati senza timore temi caldi, che sono stati per lui continua fonte di ispirazione e che ha sempre trattato a viso aperto, come nella esplicita I was afraid of Malcolm che parla delle paure dei bianchi verso il leader nero Malcom X oppure in Don’t call me buckwheat dove ironizza sulla facilità con cui vengono affibbiati soprannomi umilianti senza pensare alle conseguenze e soprattutto ripercorre decenni di segregazione razziale.

In un luogo suggestivo e ricco di storia come la piazza principale del centro storico di Albenga, l'arrivo di Garland Jeffreys è un evento memorabile, che unisce cultura ed arte di epoche diverse, sotto l'unica bandiera della qualità e delle grandi emozioni.

mercoledì 9 luglio 2014

Ciao Paolo


 













se queste gambe avessero del tono
ed io potessi usarle per fuggire
probabilmente non andrei così lontano
ma resterei con voi, ancora qui a lottare

se queste mani si potessero agitare
se queste braccia lavorassero ancora
solleverei pesi e frustrazioni
per scagliarli via, senza esitazione

se la mia vita si potesse dire tale
se le mie ore non fossero infinite
allora avrebbe un senso il mio soffrire
allora avrebbe un senso il non morire

mi sento solo qui, sdraiato e muto
e sento freddo e sento solo il vuoto
e vedo sguardi, occhi, mani amiche
e provo rabbia, rabbia sorda, da impazzire

ed oggi che mi sento più leggero
so che salutarmi sarà dura
voi non pensate al mio corpo maltrattato
ma al mio sorriso ed a quel che sono stato

martedì 8 luglio 2014

Billy Joel Live at Madison Square Garden, NY - Dalla nostra inviata Anna staccato Maria





Non mi ricordo se ho avuto occasione di dirvi che recentemente sono stata a New York.

Sempre nella vita si ha bisogno di un viaggio a Ny. In alcuni momenti, però, se ne ha bisogno e lo si merita più che in altri. Questo era appunto uno di quei momenti. Per cui fuck it, let’s go to New York. 
Del viaggio non vi dirò, che potrei dire?
Invece, visto che da millenni non scrivo a proposito di un concerto, vi parlerò del concerto di Billy Joel. Perché mi va di scriverne e perché nessuno è obbligato a leggere, guarda un po’ che bella combinazione!
Dovete sapere che da anni andavo ripetendo “mi piacerebbe vedere Billy Joel in concerto”. Non che lo ripetessi sistematicamente come un mantra, certo: era più una frase sospirata con tono di malinconico desiderio che saltava fuori durante conversazioni di stampo musicale “……eh….uno che mi piacerebbe tanto vedere in concerto è Billy Joel….eh…”. 
E guarda un po’ il caso: ecco che Billy Joel suona a New York proprio quando io decido di andarci. Ah, fato sublime e misterioso che incastri a meraviglia i tasselli della nostra vita, creando un puzzle variopinto come un 2000 pezzi con il castello di Neuschwanstein! E’ un po’ come quella volta, e stiamo parlando di un importante somma di anni fa, quando la frase che ripetevo spesso in conversazioni come sopra era “eh…mi piacerebbe tanto incontrare Kevin Spacey..eh…”. E dillo una volta, e dillo un’altra volta, ecco che nella mia prima vacanza a New York scopro che Spacey recita a teatro proprio sotto il mio albergo. Tombola! Signor Fato, tu mi sai. Vedo Spacey, lo incontro fuori dal teatro, foto, autografo. Alè, andata. Locandina con tanto di autografo che va a fare bella mostra di sé sul muro di casa mia senza che, peraltro, in tutti questi anni a qualcuno sia mai venuto in mente di chiedere notizie quel quadro con uno scarabocchio sotto. Avvilente, non vi pare, esibire della memorabilia con così scarsi risultati? 
Quindi vorresti dire, cara Anna, che quell’incontro ti ha cambiato la vita? Ma manco per niente. Ho giusto un quadro su una parete e ho ‘sto aneddoto da tirare fuori quando voglio fare della filosofia spicciola e come prova dell’esistenza del Fato benevolo. A furia di dirle le cose accadono.
Per farle accadere, però, bisogna andare a New York. È là che succedono le cose. Ostinarsi per anni nella tratta Trofarello/Bricheraio (dico per dire) non è che apra ‘sto gran ventaglio di possibilità, mi spiace ammetterlo.
Ed ecco che in un niente la nostra eroina si trova seduta al Madison Square Garden. Ohibò! Quanta emozione. Al Madison mi ci aveva portato anni fa mia sorella a vedere i Pearl Jam. Mi ero molto divertita, gran carica quei giovanotti. Solo che, vedete, io i Pearl Jam li conosco poco. Non mi sono molto impegnata su questo fronte musicale, devo ammetterlo. Per cui quel concerto fu spettacolare e memorabile ma senza quegli effetti devastanti che sanno godersi solo fans vere come Stefania o Angela, per esempio. Diciamo che mancava l’aspetto emozionale. E nei concerti, come nella vita, è l’aspetto emozionale che fa la differenza. Adesso scusate un attimo che mi salvo questa frase negli appunti per poterla riciclare alla prima occasione in qualche dibattito sui luoghi comuni: direi che suona benino.
Dunque diciamo che con Billy Joel l’aspetto emozionale non deficitava. Io lo amo, fine.
Allora, ci arriviamo a ‘sto concerto?? Ma beata gioventù, che vi devo dire? Gran classe, gran gigioneria, gran divertimento. Ha giocato con il pubblico, con sé stesso e con i musicisti. Ha ruffianato, incantato, divertito, incatenato e fatto un sol boccone di tutto il Madison. E ha fatto della gran magia. New York City state of mind, e giù avanti pesante attraverso The enterteiner, Uptown girl avanti a valanga fino all’apoteosi di Piano man. Il Greatest Hits, per fortuna! Il Madison che sembrava Las Vegas, inondato da una pioggia di luci molto suggestiva, musicisti di gran classe (compresa la tipa che suona anche con Bruce, avrei dovuto essere più preparata…). Le mani che volano sul pianoforte, la voce che non è più quella del ragazzino imberbe e pertanto è ancora più affascinate. Pubblico fuori di melone, che non mi si venga a dire che gli americani non si divertono. Il tizio dietro di me in delirio per tutto il tempo con voce stridula (Billy, you are a geeeeeeeeeniiiiiiiiius!!): avrei voluto avere la borsetta di Julia, quella dei fumetti, una borsetta con dentro un posacenere di alabastro, per tirargliela sui denti. Però poi ho riflettuto sul fatto il tipo si divertiva, che tutti intorno a lui si divertivano, che io rischio di diventare brutalmente acida. E non voglio. E così mi sono rilassata e ho strillato anche io. E’ stato molto più divertente e apre prospettive meno tese per la futura menopausa. 
Poi io non è che sappia proprio bene tutte le canzoni, eh! Ho fatto quello che faccio ai concerti di Bruce: ho tenuto le vocali lunghe. Fa molta scena ed è meglio di la la la… E’ andata bene fino allo scorso anno, quando la Inner Sabri mi ha sgamata. “Ma come, non sai il testo di Spirit in the night??” “Eh,no…” “Ma sei hai cantato tutto il tempo?!!” “Non cantavo: tenevo le vocali lunghe…”
Che altro vi devo dire? E’ stato bello, tutto. Per cui non mi resta che dire grazie ai miei amici per il supporto.
Grazie al mio amico Bill de Blasio per essersi fatto fotografare durante il Gay Pride.
Grazie al mio amico Billy Joel perché è sempre un piano man di gran classe.
Grazie al mio amico Bill Starbucks per la massiccia fornitura di caffè.
Grazie al mio amico Billy Steve McCurry per i colori e sempre e comunque, a prescindere.
Grazie ai costumisti, ai truccatori, ai tecnici, ai taxisti, agli homeless, ai turisti, a chi mi ha chiesto ripetutamente informazioni, alla cameriera dell’albergo, a chi ha deciso che la cipolla cruda sta bene con tutto e se ci metti un mese a digerirla sono fatti tuoi, alle creme di Victoria e ai libri di Strand, ai marciapiedi belli larghi senza cacche di cane. Grazie alla mia famiglia, al mio cane e ai miei gatti.
God bless America. God bless you all. United we stand. Yes, we can. Oh, yeah!
E comunque, This is the time to remember.

mercoledì 2 luglio 2014

Solo per pochi giorni all'anno



ora possiamo tornare ad ignorarci
abbiamo concluso la nostra sceneggiata
possiamo smetterla di fingere
di simulare un benchè vago interesse
reciprocamente estranei
torniamo nei nostri antichi rifugi
ci conveniva fingerci amici
ci rilassava ostentare confidenze
ma adesso non ci sono più ragioni
per vomitarci addosso ipocriti sorrisi
siamo pance e sguardi
e piedi ed odori
siamo diversi e siamo lontani
e quel poco che ci accomunava
svanisce presto come schiuma
siamo carne, sangue e merda
siamo cani da riporto
siamo padri e zii e madri
siamo tanto
ma non insieme.