giovedì 31 agosto 2017

L'odore della pasta quando cuoce



il mucchio di lenzuola
dentro il quale ti avvolgi di notte
quando ti giri su un fianco
diventa promessa 

certo è solo un mucchio di lenzuola
ed è pure buio
però dentro ci sei tu
ed allora è promessa di buono
e se mi avvicino e ti tocco
e tu lasci andare le mie mani
ecco che quel mucchio di lenzuola
diventa come l'odore della pasta che cuoce

mi spiego meglio

la pasta che cuoce mica ha chissà che buon odore
però se la pasta cuoce
tu sai che ci sarà il sugo
ed allora quell'odore forse insignificante
diventa promessa di una bella pasta al sugo
e tu senti l'odore della pasta che cuoce
e ti senti felice
perchè stai per mangiare la pasta al sugo

ecco, quel mucchio di lenzuola
è solo un mucchio di lenzuola
ed è pure buio
ma io so che tirando un po' via le lenzuola
le mie mani troveranno te
girata su un fianco
e tu lascerai andare le mie mani
ed io mi avvicinerò ancora un pò
e mi sentirò felice

come quando sento l'odore della pasta che cuoce
e sono felice
perchè sto per mangiare la pasta al sugo

domenica 13 agosto 2017

Per M, che riparte da lontano




Chissà se stanotte, sotto un cielo diverso
capirai il percorso o quantomeno il senso
il senso di questo cambiamento, ancora
un senso a quel che vuoi sia la tua vita

Chissà se sotto quel ciuffo adulto
dove nascondi i tuoi occhi bambini
ti sarà chiaro il male che hai vissuto
ti verrà incontro il bene che ti è dovuto

Chissà se un giorno, ormai cresciuto
ripenserai ai protagonisti di certe canzoni
"stupide ed ubriachi a cui urlavi i tuoi perchè
mentre tutti aspettavano che tu parlassi a scuola"*

Chissà se avrai il tempo ed il modo
di ricordare un giorno come questo
di riguardare tutto il tuo cammino
di sentirti finalmente felice e soddisfatto

[il mio lavoro è così]

* mi riferisco a due canzoni dei Pearl Jam ed una dei Counting Crows:

https://www.youtube.com/watch?v=WfrJCbol7ZU
https://www.youtube.com/watch?v=MS91knuzoOA
https://www.youtube.com/watch?v=ZAAzMeKVErw

mercoledì 9 agosto 2017

Tra Pavese ed il blues. I Gang a Roddino.



(Foto di Marcello Marengo)

"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".

Non fosse che i ragazzi di Roddino l'hanno usata come slogan per la Pro Loco, sarebbe da prendere questa celebre frase di Cesare Pavese e dedicargliela, ai ragazzi di Roddino.

Arrampicato sulla Langa, vicino al glamour trendy di Barolo, Roddino non è solo un piccolo paese, ma un'idea, un ideale, una promessa mantenuta.

Roddino è una comunità.

Una comunità che nella condivisione tira avanti, lavora, fatica, impreca, ma alla fine, come ogni comunità rurale, contadina, raccoglie.

E quando raccoglie fa festa, fa "le cose pazze".

Benvenuti alla Mataria d'Langa, la festa della comunità di Roddino.

Ci siamo tornati, in un caldo weekend di fine luglio, per sentircene parte, per viverne l'entusiasmo e la bellezza.

Mataria d'Langa dura qualche giorno, ma l'evento che più la rappresenta a mio avviso è l'immancabile concerto dei Gang.

Evento che unisce memoria e condivisione, lotta ed ideali, amicizia e bellezza.
Un concerto che da sempre porta avanti concetti ben chiari, battaglie da combattere e soprattutto il peso enorme della volontà, volontà di tramandare una tradizione, conservare un sentimento.

La serata dei Gang, aperta non a caso da un giovane gruppo della zona, i Ginostra, melodici e appassionati, fotografa l'intesa tra questi due mondi, dalla Langa alle campagne marchigiane.

Se la musica dei fratelli Severini da sempre conserva la memoria e la tradizione, sentirla qui, sulla scalinata che porta alla Chiesa, tra una grigliata ed un rosso, tra i tajarin di Gemma e l'odore di brace, te la fa apprezzare ancora di più, facendotela vivere in un contesto così vivo, vero, che in quelle canzoni ti sembra di starci dentro.

Una comunità che crea un mondo migliore di quello che ci aspetta qualche km più in basso, un mondo migliore dove si respira forte l'aria di condivisione, dove il regista di tutta la storia, Marco, ti viene incontro a stringerti la mano anche se vi siete visti solo due volte, dove non c'è differenza tra il dividere la tavolata con perfetti sconosciuti e l'alzare il pugno in ricordo dei fratelli Cervi.

Roddino è un posto dove avrebbero potuto nascerci e viverci, Marino e Sandro, non fossero nati e vissuti a Filottrano, tanta è la vicinanza tra molte loro canzoni e quest'aria speciale che si respira; quel comunismo che prima di essere partito o idea politica è interesse verso l'altro, senso di appartenenza; quella vita contadina che ti fa spezzare il pane e versare il vino come una eucarestia laica, ma non meno sincera; quell'idea, congenita, che il "di tutti" venga prima del "mio".

Sabato 22 luglio, la serata è stata se possibile più speciale del solito, perchè insieme ai Gang, con i Gang, ha suonato Paolo Bonfanti.

Ora io del Bonfa potrei parlare per ore, del suo tocco sulla chitarra, della sua bravura come musicista e come autore, della bella, bellissima persona che è.

Ma voglio sottolineare specialmente come il Bonfa sia un bluesman, dentro, nell'animo, e di conseguenza come tutto questo insieme di idee, valori, sentimenti di cui ho scritto, trovino nella sua chitarra un suono perfetto, preciso, meravigliosamente descrittivo.

Non a caso, e grazie ad una amicizia di lunga data, il Bonfa entra nelle canzoni dei Gang come se ci fosse sempre stato, le colora con tinte nuove ed insieme a Sandro e Jacopo le arricchisce di assoli fantastici.

Indubbiamente è stato un concerto anomalo per i Gang, con Marino volutamente più silenzioso e la musica a farla completamente da padrone; la presenza in diversi brani di un sax ed una tromba, oltre a impreziosirli, ha definitivamente alzato a livelli di guardia la dimensione rock-blues del concerto.

L'innesto della nuova sezione ritmica, con Diego Sapignoli strepitoso alla batteria, ha chiuso il discorso e per tre ore la Mataria è stata sfrenata.

Oltre ai cavalli di battaglia immancabili, tra cui cito una gigantesca "Le radici e le ali", la parte dello show dedicata a Calibro 77 (nuovo disco dei Gang dedicato ai brani di 40 anni fa) è rientrata perfettamente nel discorso di tradizione e memoria di cui sopra. De Andrè e Gaber, De Gregori l'irriverente Della Mea, tutti scampoli di un passato da conservare e tramandare, tutti tasselli di quella memoria che ostinatamente (e sempre in meno persone) continuiamo a pensare debba essere il fondamento di una società migliore.

Conservazione della memoria ed assunzione di responsabilità; sono queste a mio avviso le due linee guida di Calibro 77 e dell'operazione che l'ha creato; un disco da approfondire, con cura, come uno scrigno ricco di tesori.
Mi piacerebbe scriverne.

Per ora però chiudo ricordando come la serata sia finita "in gloria" con un paio di blues dove il Bonfa ha preso in mano la situazione e ha "riportato tutto a casa".

Mi perdoni Pavese, ma "un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di serate come questa"

Torneremo.




(foto di Fabrizio Ambrosio)

lunedì 7 agosto 2017

Dal Premio Nobel agli emuli di Fedez, sull'importanza delle parole nella musica




Nel momento storico in cui, FINALMENTE, la musica d'autore viene riconosciuta come letteratura ed insignita del Premio Nobel grazie a Bob Dylan, se ci guardiamo attorno, nel nostro piccolo orticello italiano, rischiamo che la tristezza poi ci avvolga come miele, citando uno che in quanto a letteratura non scherza affatto.

Nel momento in cui si riconosce che la parola in musica possa anzi debba essere considerata letteratura, quindi nella sua forma più alta di espressione, io resto basito, tra le altre cose, anche per una tendenza che sta tragicamente prendendo piede.

Una volta, erano i testi delle canzoni a dettare il linguaggio dei giovani.
Giusto per non usare iperboli eccessive, lo stesso Premio Nobel Bob Dylan ha contribuito a rendere la lingua inglese-americana quella che conosciamo ora, oltre a modificare il movimento dell'asse terrestre, ma questa è un'altra storia.

Oggi invece accade il contrario, sono i modi di dire dei ragazzi a suggerire testi e titoli ai cantanti.
Oggi è il contrario, sono le parole di uso comune ad influenzare la musica e non la musica a creare un linguaggio di uso comune, nuovo e in certi sensi rivoluzionario.

La conseguenza diretta di tutto ciò è che se gli artisti influenzano i ragazzi, i ragazzi possono respirare arte e magari provare a farne, ma se i ragazzi ascoltano gli artisti dire quello che dicono loro e che vogliono sentirsi dire, per un infantile senso di appartenenza, privo di stimoli, ma semplicemente basato sulla pedissequa ripetizione, è l'arte a soffrirne di più.

Che stimoli artistici potranno mai avere quelli che ritrovano i loro stessi modi di dire nelle canzoni più in voga?

E lo so che questo scambio c'è sempre stato, ma permettetemi di differenziare il periodo in cui questo scambio avveniva con una tensione verso "il bello" e il periodo odierno, dove si cerca ovunque una risposta facile, scontata, banale e senza un briciolo di profondità.

Esempi: 
il primo, quello che mi ha colpito di più, perchè di più ammiro l'artista rispetto ad altri, è il nuovo disco di omar pedrini: COME SE NON CI FOSSE UN DOMANI.

Ma che titolo è?
Ma scrivi canzoni o post sui social network?

Scendendo di livello segnalo un gruppo dal nome CHIAMARSI BOMBER e la loro hit COME BOBO

Temo esista da qualche parte un brano o un gruppo chiamato Mai Una Gioia o, forse peggio ancora, TANTA ROBA, ma non me la sento di verificare

Per non parlare della feccia dell'hip hop tricolore (genere che meriterebbe ben altri paladini e ben altro rispetto) e del loro VORREI MA NON POSTO o della durissima satira politica di COMUNISTI COL ROLEX.

Ma per favore.

Senza scomodare Dylan, Cohen, Guccini, De Andrè, guardate Paolo Villaggio, appena mancato.

Provate a pensare a quanto il suo personaggio Fantozzi, abusato, rovinato dal suo stesso autore nella continua riproposizione di una maschera che alla fine era una triste macchietta, ma provate a pensare a quanto il Ragioniere abbia inciso nel vocabolario di certe situazioni, nella grammatica di certi ruoli, di certi discorsi, dalla declinazione della sfiga alla precisa analisi dei rapporti sociali e lavorativi tra impari.

Oggi invece i testi vanno a toccare corde ben precise, telecomandati da un'analisi preventiva che antepone la visibilità "emotiva" ad una profondità di messaggio, col risultato che appena pronta la prossima "dose", quella precedente venga sostituita e dimenticata.

Qualche giorno fa ho letto la tracklist della compilation "Festivalbar 1997", all'epoca considerata con lo stesso rispetto che un israeliano può nutrire verso il Mein Kampf o un parlamentare di Fratelli d'Italia.

Belin, brutte ed odiate che fossero, quelle canzoni, così volgarmente POP, me le ricordavo se non tutte almeno per il 75%, perchè anche in ambito POP allora c'era quel minimo di qualità e spessore. (e stiamo parlando di fine anni 90, non del 1968)

Quelle canzoni così brutte ed odiate, oggi mi sembrano scritte dal Dio del Rock, tanta è la distanza dal livello attuale.

Credo che si debba riscoprire ed in fretta, l'importanza e la bellezza della parola, della parola fatta musica, prima di finire, noi connazionali di Dante Alighieri, seppelliti vivi da un'orda di rapper stonati, con la zeppola ed il vocabolario esteso come l'elenco telefonico di mendatica.

E comunque, lui lo aveva detto anni fa:

adesso dovrei fare le canzoni
con i dosaggi esatti degli esperti
magari poi vestirmi come un fesso
per fare il deficiente nei concerti