giovedì 28 dicembre 2017

Trasferimenti lavorativi e nuovi stimoli



Con la giornata di oggi, termino a tutti gli effetti di essere un dipendente comunale.

Dopo quasi 18 anni e due Comuni, da domani inizierò a lavorare per l'ASL 2, all'ospedale S.Corona di Pietra Ligure.

È strano vivere queste ore con l'impazienza di incominciare e l'ansia di non aver ben chiaro a cosa stia andando incontro.
Di certo so che la mia strada in Comune era conclusa e non parlo del comune specifico dove ho lavorato fino ad oggi, ma in senso più ampio.
Premesso che non mi considero un dipendente modello e quindi non starò a fare le morali su impegno e dedizione, lavorare in un comune per noi assistenti sociali sta diventando ogni giorno più difficile.
Il volontario e scientifico smantellamento dello stato sociale da parte di tutte le forze parlamentari, abbinato ad una costante costruzione di impalcature non visibili ma dannatamente concrete come l'abuso di burocrazia e di rimbalzi tra uffici, ha avuto nel corso degli anni il risultato di isolare gli uffici stessi, lasciandoli soli in una immaginaria trincea, riducendo però gradualmente ogni tipo di strumento e risposta a loro disposizione.
La crisi economica, la nascita di nuove fasce deboli ( i miei coetanei ad esempio, 40\50enni che escono dal mondo dl lavoro e non riescono più a rientrarvi, con la prospettiva di 20\25 anni di disoccupazione o lavoro nero prima di una nemmeno così probabile pensione) hanno scavato un solco profondo tra i cittadini e le istituzioni.
Cercano di resistere le amministrazioni comunali di piccole realtà, dove i sindaci e gli assessori non sono solo "un ruolo", ma sono persone radicate in quell'ambiente.
Massima considerazione quindi alle giunte comunali con cui ho lavorato, agli assessori che sebbene distanti anni luce dalle mie idee politiche non hanno mai mancato di rispetto nè a me, nè tantomeno al nostro ruolo. Rispetto che è sempre stato reciproco.

Però il nostro è un lavoro che si basa sugli stimoli molto, ma molto più che sulle gratificazioni, quindi esaurendosi i primi e mancando quasi totalmente le seconde, il rischio di spegnersi è forte.
Pur tenendo presente quanto detto prima sul mio non essere un dipendente modello, penso di poter dire che mai ho dimenticato, anche nei momenti di maggior demotivazione di avere davanti persone, famiglie, storie che non meritavano nulla di meno del mio 100% di impegno, qualunque fosse il risultato a cui potesse portare.
Quando poi mi sono accorto che non solo il mio 100% non era più così garantito, ma le risposte che le istituzioni offrivano ai cittadini attraverso la mia scrivania erano in ogni caso insufficienti, ecco che non ho potuto non guardarmi intorno e cercare una alternativa.
Nel momento in cui i nostri uffici, i distretti, gli ATS hanno incominciato a diventare dei "rispostifici" retorici e spesso inconcludenti, lo stato sociale era bello che morto, da tempo.
Morto lo stato sociale, il rischio è veder morire anche la nostra professione, ridotta a megafono perfino mezzo scarico di proclami buoni solo per la stampa e composti da facciate talmente sottili da essere ormai trasparenti.
È arrivata allora la possibilità di una esperienza nuova, che messa a confronto con la possibilità di vivacchiare nascondendomi dietro a chi "in alto" rende impossibile svolgere il nostro lavoro in modo soddisfacente, ha stravinto la sfida.
Mi era già successo 9 anni fa, il ritrovarmi a girare a vuoto, a concludere poco e niente, a vivere le ore lavorative col pilota automatico, e anche allora ebbi la fortuna di poter cambiare ufficio, di andare a lavorare in un comune più grande, con più colleghi con i quali confrontarmi ed ovviamente nuovi stimoli.
Certo, le prospettive allora erano tanto buone quanto, col senno di poi, poco concrete, ma ho la fortuna di avere un buon senso autocritico e ho perfettamente chiaro i miei sbagli e le mie mancanze, che hanno contribuito al non realizzarsi di quelle prospettive.
Da domani lavorerò in un ospedale, in un ambiente a stragrande maggioranza sanitario, con un ruolo non ancora definito e dalla grammatica ancora incerta.
Non sono così ingenuo da negare i problemi della sanità e di s.corona in particolare, ma credo che lavorare in settori "a rischio" sia una componente inevitabile della mia professione.
Un posto dove tra le tante cose, avrò spero la possibilità di concretizzare quel discorso di RETE SOCIALE che mi segue dal primo anno di università, svolgendo una funzione di raccordo tra l'ospedale ed il territorio, creando i presupposti per una dimissione protetta e "morbida", per una collaborazione tra servizi e cittadinanza di cui tanto si parla negli ambienti professionali.
Ovviamente ci saranno delusioni, magari ripensamenti, incazzature e ridimensionamenti delle aspettative, ma sono tutte cose che già ho provato e che avendo ben presenti posso quantomeno tentare di evitare o ridurre.
Tanti dubbi, ma la sottile eccitazione di avere davanti una pagina bianca, vuota, e la libertà di poterci scrivere una storia nuova.
La mia collega neo pensionata della quale prenderò il posto, mi ha detto, estremizzando, che in 30 anni non le è mai capitato di passare un giorno senza fare qualcosa che non aveva mai fatto prima.
Ecco gli stimoli!

Con incoscienza e voglia di cambiare, prendo la rincorsa e mi butto, sono abituato agli atterraggi difficoltosi, magari prima o poi andrà bene.

sabato 23 dicembre 2017

Trovare un senso nell'alzare la testa (Festival, varie ed eventuali)



In questa foto, fatta nei camerini del Teatro Ambra la seconda sera di Su La testa 2017, sta per me molto se non tutto del senso del festival stesso.

L'uomo con la maglietta dei Gang e l'importante accoppiata pantaloni - camicia è Jono Manson ed insomma, se vi interessa un certo tipo di musica lo conoscete per forza, bluesman, rocker, produttore (anche di artisti italiani come Edoardo Bennato e gli stessi Gang), uomo di una umiltà di una simpatia e di una disponibilità più uniche che rare.

Il ragazzo piegato sulla chitarra invece si chiama Francesco De Maria, non ha ancora 20 anni e suona nei Seawards insieme a Giulia Benvenuto, nemmeno lei ventenne.

Nella foto sta suonando la chitarra di Jono, dopo che Jono ci ha raccontato la storia di quella chitarra, l'età di quella chitarra ed indirettamente il valore di quella chitarra; poi lo ha guardato e gli ha detto di provarla.

Su La testa è quella cosa che provoca scene del genere, tra musicisti che non si conoscevano fino a pochi minuti prima, tra amanti della musica, della cultura e del bello, per le quali è del tutto normale, come è giusto che sia, condividere emozioni, impressioni, strumenti musicali.

Su La testa è quella cosa che ad una trentina di persone inizia a ronzare in testa dai primi di settembre; riaprono le scuole, finisce l'estate, si inizia a pensare al festival, ormai le stagioni sono cadenzate così e l'autunno vuol dire questo, vuol dire riunioni, pizze, scazzi, polemiche, malumori, entusiasmo che cresce, legami.

Poi all'avvicinarsi dell'inverno, ecco che per tre giorni quelle 30 persone diventano una squadra, ognuna con il suo ruolo e la magia si ripete.

E la magia contagia anche chi al festival viene a suonare, se è vero come è vero che in 5 anni che ne faccio parte, momenti come quello di jono e francesco ne ho visti accadere parecchi.

Su La Testa è una dichiarazione d'amore, che dura 3 giorni ma che viene studiata almeno 4 mesi.

Una dichiarazione d'amore ad Albenga, da dove più o meno veniamo tutti.
Una dichiarazione d'amore ed una sfida, il portare qualcosa di bello e profondo nella distratta provincia.

Una sfida che ancora non siamo riusciti a vincere, ma che nel nostro ostinarci a combatterla ci vede comunque vincitori, nonostante le difficoltà e i posti vuoti in teatro.

Amore & sfida, queste due caratteristiche mai come quest'anno mi sono sembrate evidenti.

La voglia e la testardaggine con cui continuiamo a proporre musica magari non semplice ma di sicuro valore è appunto la sfida che pensiamo sia giusto affrontare, affrontarla per amore, come ho detto, perchè ad un posto che si ama si cerca di portare qualcosa di bello, di grande, di meglio.

Tre giorni pieni, iniziati con il pop intelligente di Hugolini a cui ha fatto da contraltare l'incrocio tra folk irlandese e napoletanità verace dei Blindur, proseguita con l'eleganza di L'Aura e con la grinta dei Perturbazione.

Ma Su La Testa non è solo 3 sere di musica, ma anche dei pomeriggi in cui ascoltare. E guardare. E venerdì abbiamo guardato, con gli occhi di Valentina Tamborra, fotoreporter che ha documentato la situazione al confine di Ventimiglia come di Como o di Bardonecchia, che ha raccontato le storie dietro a quegli occhi, a quelle tende, a quei piedi scalzi. Insieme a lei 3 ragazzi che quelle storie le hanno vissute hanno ammutolito un salone pieno di gente, mentre chi traduceva le loro parole faticava a renderne per intero la drammaticità e la veridicità. 

Mi emoziono sempre al festival, vuoi per una canzone in un momento particolare, vuoi per qualcuno che sale sul palco ed incanta; ma quest'anno mentre la stessa Valentina si doveva interrompere per calmare il pianto, i miei occhi si sono riempiti di lacrime per i racconti di padri e figlie che combattono fianco a fianco.

Da lì in poi è stato più facile vincere l'ansia da presentatore, avendo toccato con mano quelli che sono i veri ostacoli e le vere difficoltà di vite che per quanto provino a tenerci lontane, sono a pochi passi da noi.

È stata poi la volta dei Gnu Quartet e della loro maestria, la bellezza di 4 persone che rispondono SI all'invito fatto in extremis e salgono su un palco dove non erano stati annunciati, in un festival che non ha fatto loro la minima pubblicità senza battere ciglio, con la loro simpatia ed enorme generosità, offrendo una ennesima dimostrazione del loro grandissimo talento.

Spazio poi a Jono Manson e ai suoi 3 amici (Jaime Michaels, Radoslav Lorkovic e Paolo Ercoli) che si sono messi in cerchio come davanti ad un falò e ci hanno raccontato storie e suoni di tempi passati.

È stata la volta dei Seawards, di Giulia & Francesco, che in due hanno meno della mia età, ma le idee ce le hanno ben chiare e solo con la chitarra e la (bellissima) voce sembravano due veterani. Ero dietro le quinte durante il loro set e guardavo Giulia, concentrata, tesa, ma totalmente DENTRO le sue canzoni, la guardavo muoversi per il palco quasi affrontando un nemico, scacciare i timori gesticolando nervosamente, avvicinarsi a Francesco quasi a dare ed offrire protezione, per uscire poi dal palco con lui completamente da vincitori.

Capisco che l'elettronica sia uno strumento a cui oggi è difficile dire di no, ma le già interessanti canzoni del loro EP 85bpm, nella veste acustica mi entusiasmano molto di più, anche se buona parte del motivo sta nel fatto che, come ho detto, loro due insieme hanno meno dei miei anni.

Ginevra Di Marco insieme a Jono era l'ospite che aspettavo di più e la mezz'ora passata con lei nei camerini, il trovarla così disponibile, mi ha fatto apprezzare ancora di più la sua trascinante esibizione.

Ginevra per me è l'emblema femminile degli anni 90, la sua voce al servizio dei CSI e poi quella ricerca di radici e qualità che l'ha portata ad omaggiare con una credibilità sorprendente una gigantessa come Mercedes Sosa

Ma soprattutto è il ricordo della prima volta che andai a Su la testa da spettatore e lei fece un set bellissimo, concluso da una trascinante versione di Malarazza di Modugno.

Le chiedono il bis e lei ci (mi) regala di nuovo Malarazza, facendo alzare in piedi il pubblico.

L'ultima serata poi è stata all'insegna della dolcezza, da quella di Giua  a quella di Federica e Marilena, anche loro napoletane doc, in arte Fede'n'Marlen.

Di loro avevo ascoltato l'album Mandorle, napoletano nel midollo ma senza diventare neomelodico; ritmo, fascino e due bellissime voci.

Poi arrivano, ed oltre al duo che conquisterà il pubblico di Su la testa scopro tante altre cose belle di Federica e Marilena, che sono quasi timide, che è la prima volta che vengono in Liguria e che soprattutto hanno quella cadenza, quel dialetto, quelle espressioni che mi riscaldano il cuore ed il sangue, proprio nel giorno in cui ricordo l'anniversario della scomparsa del mio beneventanissimo papà.

Sul palco poi sono formidabili, seducono l'ambra in pochi istanti, con le loro canzoni ma anche portandosi sul palco con sincerità, simpatia e perchè no, un filo di cazzimma che male non fa.

Hanno pure il coraggio di cantare un pezzo del Principe De Curtis, alternando dialetto e spagnolo.

Prima di loro Giua, una tempesta di capelli biondi sopra un bellissimo viso sempre sorridente e disponibile.

Una voce particolare ed un senso dell'umorismo sottile ed irresistibile.

Apre l'ultima serata di Su la testa insieme a Stefano Cabrera incantandoci con la sua ironia dopo aver scherzato nel backstage come fossimo vecchi amici.

A lei è legato uno dei ricordi più belli delle edizioni del festival a cui ho partecipato, quando prima del suo concerto con il maestro Armando Corsi, nel 2012, feci 4 chiacchiere con loro su punti di contatto e differenze tra i due centri storici più belli d'Italia, Genova ed Albenga.

Un capitolo a parte meriterebbe Paolo Benvegnù.
Da quando ho iniziato a far parte dello Zoo ho sempre osservato la distanza tra la persona e l'artista e di fronte a delusioni abbastanza cocenti, molte volte sono rimasto stupito della semplicità di cantanti e musicisti talentuosi.

Benvegnù forse va oltre.

La sua non è solo educazione, disponibilità, simpatia.

Quando leggemmo le note di presentazione del suo ufficio stampa, noi presentatori iniziammo a vedere la figura di Paolo Benvegnù come un mistico eremita che camminasse avvolto da una scia di vapore che lo potesse isolare dal mondo terreno e volgare.

La complessità dei suoi testi, la presunzione (ben riposta) di avere qualcosa da dire che meritasse una attenzione maggiore della media, l'arroganza sfrontata con cui si ostinava a volerlo dire nonostante, beh nonostante tutto dai, ci fece temere di trovarci di fronte alla quintessenza dello snobismo.

Nulla di più sbagliato.

Già dal pomeriggio, durante il soundcheck, ha iniziato a comportarsi con l'umiltà del debuttante, con la gentilezza dell'ospite, con una educazione quasi imbarazzante.

Nei camerini poi poco mancava che si scusasse per il rischio di rovinare la serata con la sua musica, mentre non si risparmiava in complimenti per chi si era appena esibito (cosa più unica che rara, specie se fatta con tale trasporto, da parte di un musicista verso dei colleghi)

Un uomo meraviglioso, che ha steso la platea investendola con le sue liriche importanti avvolte in un pathos creato ad arte dai suoi bravissimi musicisti.

Seduto, quasi a non disturbare con la sua fisicità l'importanza delle parole.

Conclusione danzereccia con gli Statuto che hanno trasformato l'Ambra in una bella pista da ballo, con la gente che pian piano è arrivata a ballare sotto il palco durante la conclusiva "One step beyond".

Loro restano fedeli alla filosofia mod, si muovono come fossero una banda, li immagino che avrebbero voluto parcheggiare le Lambretta fuori dal teatro e poi una volta dentro non fanno prigionieri.

Alla fine, mentre osservavo i volti delle persone al dopofestival, trovavo in molti il piacere di sentirsi parte di una comunità, unita dalla voglia di passare una serata diversa, dalla voglia di divertirsi senza replicare i soliti schemi da sabato sera.

Ed ecco che il senso di tutto questo l'ho ritrovato nel gesto semplice ma intenso di un chitarrista che porge il suo strumento ad un giovanissimo collega, nelle persone che dal nulla si inventano cassieri, presentatori, baristi, cuochi, accompagnatori, nel desiderio di lasciare un segno tangibile della propria esistenza a chi ci esiste di fianco e magari non ci conosce.

Ed ecco che Su La Testa non è solo uno slogan, una citazione, un invito, ma diventa la sfida di cui parlavo prima: diventa l'importanza di dimostrare a tutti di essere vivi e di dimostrarlo rendendo la propria città migliore e di conseguenza più viva.

Allora i rancori, i malumori, gli scazzi che inevitabilmente ci portiamo dietro non devono più esserci di ostacolo, ma fanno parte anch'essi di questa sfida.

Una sfida che vinciamo tutti assieme e che continueremo a combattere insistendo affinchè sempre più persone si uniscano a noi.