mercoledì 21 marzo 2018

Championship Vinyl - Week in Rock 2.11



Ecco il podcast della puntata andata in onda domenica 18 marzo su BRG Radio:


Cronache dalla corsia - Quando sarai grande


Quando arrivo A e S si sono appena svegliati e non è stato un bel risveglio. Sono entrambi arrabbiati, arrabbiatissimi.

S è quello più arrabbiato, non riesce a stare fermo, è agitato, ha dormito poco e male, probabilmente è in astinenza.

A più che arrabbiato non sembra capire cosa stia succedendo e nemmeno aver tanta voglia di capirlo. Sfoga solo la sua rabbia, mettendo in difficoltà chi prova a calmarlo.

A vorrebbe andarsene, subito, quindi prende il suo berretto di lana e se lo infila con piglio deciso. Poi però vede una macchinina e forse inizia a calmarsi.
A ha poco più di due anni.

S, quello in astinenza, ha sette mesi. Sette mesi ed è in astinenza perchè è stato allattato da chi fa uso di droga, pesante.

Il mio ruolo galleggia tra il "Mi dica lei" ed il "Cosa crede che si possa fare?", mentre il mio stomaco si chiude e vorrei essere ovunque tranne che lì.

Alla fine, mi siedo di fianco ad A che guarda i cartoni animati, quelli degli scoiattoli che fanno i musicisti. Da una parte vorrebbe goderseli, dall'altra la sua testolina è piena di cose brutte viste, sentite e forse provate direttamente. La sua testa ricorda la sera precedente, le urla, i colpi e quelle persone estranee che l'hanno portato via con suo fratello su una macchina con le luci.

S si calma solo in braccio e c'è una parte di me che vorrebbe sostituirsi all'infermiera ed un'altra che mi dice che piangere come un vitellino non gli sarebbe di nessun aiuto.

Per fortuna ho gli occhiali da vista che un po' nascondono ed un fazzoletto per soffiarmi il naso, dannato raffreddore.

Mentre i cartoni iniziano a perdere di interesse, A accetta il the che gli abbiamo fatto portare, si bagna un po' il pigiama ed anche se con riluttanza si fa aiutare da me ad asciugarsi. Forse inizia a fidarsi di sti tizi che gli girano intorno, ma vuole comunque scendere. Gli metto le scarpine, gioco un po' col suo cappello e finalmente sorride, ma girando la testa, per non farsi vedere.

Sul tavolo in camera c'è un camion dei pompieri ed ehi, è BELLISSIMO!!!!
A inizia a giocarci ed ecco che gli equilibri tornano a posto: a due anni e mezzo il problema più grosso è capire come far salire la scala del camion giocattolo, nient'altro.

S mangia e si rilassa, ma cerca costantemente il contatto con l'infermiera.

Io e lei ci guardiamo, un'infermiera ed un assistente sociale, due bambini che Dio solo sa cosa han passato, i cartoni in tv. Sembra un telefilm.

Quando arriva l'ora di tornarmene in ufficio, che le procedure sono attivate e si sta lavorando per una sistemazione, vedo A mangiarsi di gusto pane e formaggino, giochiamo un po' per assaggiare i bastoncini di pesce, ma è meglio il panino ed allora l'astronave che faccio volare per poi imboccarlo torna al deposito e lui mi batte un cinque nemmeno convintissimo, ma insomma, per essere grosso e con la barba sto tizio sembra piacergli un po'.

Il mondo deve qualcosa a quei due bambini, vorrei avere la De Lorean per vederli tra 20 anni chessò, centravanti del Real Madrid o premio oscar come miglior attore protagonista

Torno in ufficio con la testa ed il cuore gonfi, dalla radio arriva una vecchia canzone di springsteen:
there's so much that you want
you deserve much more than this

Certo che A e S si meritano molto più di questo.
Ma moltissimo di più.

lunedì 12 marzo 2018

Cronache dalla corsia - Grandi Speranze



avete mai visto un volto andare a pezzi? letteralmente, smontarsi, cedere, crollare.

A me è successo, durante un colloquio con la moglie di un paziente, mentre le si spiegava la situazione e badate bene, gliela si spiegava con bei modi, in un linguaggio chiaro, semplice, senza essere troppo duro ma nemmeno dando illusioni.

Io guardavo la signora e ogni frase le arrivava in faccia come uno schiaffo.

È stato durissimo vedere andare a segno, non voluti, quei colpi, che in ogni modo si cercava di attutire.

Le speranze che crollano
(schiaffo)
i progetti irrealizzabili
(schiaffo)
spese
(schiaffo)
rinunce
(schiaffo)
vite capovolte
(schiaffo)

Le lacrime ricacciate indietro a forza, mentre gli occhi brillavano, persi in momenti irripetibili.
La forza di parlare che combatte con le labbra che si contorcono nella smorfia del pianto
Il viso che crolla e con esso crolla tutta quella impalcatura con la quale ci si finge forti

Le prospettive ed i progetti sono tra le cose che più fanno andare avanti le persone che incontro durante il mio lavoro, la prospettiva di uscire e stare di nuovo bene, anzi meglio, i progetti per recuperare il tempo bruciato qui dentro, il ritorno alla normalità

Sebbene sia convinto che le cose siano state dette nel modo migliore possibile e che prima di tutto ai nostri pazienti dobbiamo chiarezza ed onestà, cazzo mi è sembrato di far parte di un plotone di esecuzione

sabato 10 marzo 2018

Nascondere il pianto dietro al ghigno. La voglia di un'alternativa dei Londonpride



La storia che vi raccontiamo stasera ha origini molto lontane.

Parte dal febbraio del 1964, quindi mettetevi comodi, perchè la prenderò larga

siamo in un aeroporto, un aeroporto americano.

C'è un sacco di gente che aspetta un aereo, che sta atterrando, provenienza Londra

Dentro 4 ragazzi di Liverpool, che hanno appena, semplicemente, ribaltato il mondo

no, non solo il mondo della musica, ma il mondo, le sue regole, le sue convenzioni, il suo conformismo.

Lo sbarco dei Beatles in america è un evento con una portata, all'epoca, inimmaginabile.

Dylan che attacca la chitarra agli amplificatori, Elvis che dimena il bacino in tv, cose del genere

Ma anche il cervello di Kennedy sul vestito della moglie a Dallas o il sogno di Martin Luther King

Quando i Beatles sbarcano in america, il mondo si ferma per un attimo, poi riprende a girare, ma con una rotazione leggermente diversa

La british invasion crea, grazie ai Beatles e a tutti quelli che in quel buco spazio-temporale si infileranno trionfanti, un'idea nuova di musica, ma anche una consapevolezza nuova per i ragazzi, una nuova mentalità, un nuovo approccio alla vita stessa

Quello che succede tra quell'aeroporto e questo teatro di provincia è scritto sui libri, stampato sulle magliette, impresso a fuoco dentro le vite di milioni di persone, inciso su album che hanno fatto la storia della musica e della cultura moderna

Ma il tassello che questa sera aggiungiamo da questo palco che importanza potrà mai avere?

Enorme, una importanza enorme.

Enorme perchè quell'onda lunga del rock and roll continua a bagnare terre nuove, spiagge deserte, orecchie assetate di suoni 

enorme perchè quei suoni, quelle parole, quelle melodie volevano e vogliono ancora dire oggi semplicemente una cosa: VITA

e se diciamo vita dobbiamo dire anche LIBERTÀ

La musica è il principale veicolo di libertà mai inventato dall'uomo:

più forte di qualunque pensiero politico, che dalla musica ha sempre cercato di rubare idee e sentimenti non replicabili da nessuna altra parte
più forte di qualunque religione
più forte di qualunque meschinità di cui sappiamo bene sia capace l'umanità

il creare una melodia che armonizzi le voci, i suoni ed i messaggi, le emozioni è il miracolo migliore a cui possiate assistere

il fatto che al giorno d'oggi e a così tanta distanza non solo kilometrica da quei posti ci sia qualcuno che con quel linguaggio, quei suoni, quella grammatica di parole e sentimenti che chiamiamo rock and roll provi a mettersi in gioco, a raccontarsi, a regalare al pubblico una parte di loro stessi ci dice che quell'invasione, quei messaggi, quegli ideali di vita e di libertà sono ancora vivi, sono ancora reali, sono ancora presenti nei sogni, nelle teste e nei cuori di tante persone

la provincia, mio Dio, la provincia

i suoi luoghi abbandonati, il suo sentirsi sempre orfana di qualcosa o di qualcuno, quell'odore di fallimento che sembra pervadere l'aria ogni qualvolta alziamo la testa e proviamo a guardare lontano

la provincia ligure, belin, la provincia ligure

quel suo mugugno detto a mezza bocca, così assordante, così frustrante, così incarognito verso gli altri, verso i furesti

è da qui che nascono i Londonpride, che già dal nome fanno capire che guardano avanti, oltre, lontano, ma con orgoglio, senza rinnegare i posti da dove arrivano, bensì raccontandoli, magari con rancore e rabbia, ma tenendoli dentro di loro

perchè come dice Pavese, un paese ci vuole, anche solo per andarsene, ma ci vuole

un disco che nasce e inizia ovviamente a Londra ed ovviamente in un pub.

Un pub dove ci si guarda intorno, si fanno bilanci, progetti. Ecco da dove parte questo disco

Ambizione e dignità, le cose che troverete nelle canzoni di Grin n'grieve sono principalmente queste, la voglia di realizzarsi e di realizzare qualcosa di grande, di importante, di vero, ma anche la consapevolezza che certi valori non possono essere venduti o tanto meno svenduti. Dovrà impararlo Jenny, protagonista dell'omonimo pezzo, dovrà impararlo a sue spese, sperando che non si faccia troppo male

Il ghigno, come joker ed il pianto, perché dobbiamo avere una maschera con cui difenderci, quando gli occhi ci si riempiono di lacrime e non vogliamo che qualcuno le veda

i 4 pianeti appesi alle spalle dei musicisti simboleggiano loro, la loro voglia di restare unici e veri

il rock ci può portare altrove dicevamo, fuori da mondi precostituiti e preconfezionati, fuori da assurde recite e da copioni scritti da altri, come in Suitcase of a serious man dove l'incubo orwelliano dal 1984 è spostato ai giorni nostri e c'è sempre qualcuno che si guarda intorno spaventato, chiedendosi il significato di tale pantomima

il rock ci porta lontani, faraway, ma ci dà anche la forza di scrollarci di dosso le nostre paure, quelle che sembrano far parte di noi in maniera indelebile, ci rende forti, vivi, immortali, ci fa sentire il bisogno e l'urgenza di avere qualcuno al nostro fianco, per aiutarci a conoscerci meglio

la chiusura dell'album ci lascia un messaggio importantissimo

l'uomo della pioggia, rainman, che preferisce la sua pioggia sincera al sole di plastica venduto in saldo, che continua a costruire con tenacia, testardaggine ed un briciolo di ottusa idiozia il suo piccolo paradiso.

La strofa finale ci dice questo: il mio piccolo paradiso non ferirà il loro inferno.

Ma allora perchè continuare a costruirlo?

Perchè è mio!!
è nostro!!!

è un qualcosa dove la parte più vera di me è protagonista, non comparsa, è reale non maschera, è viva, non mummificata

è questo il motivo per cui siete qui stasera ed è questo il motivo per cui vi dovete portare a casa il loro album!

Perchè vi portate a casa un pezzo di loro che trasuda verità, sincerità e soprattutto bellezza!!

Perchè avere in casa un disco dei Londonpride o dei tanti gruppi che ancora credono nell'importanza della costruzione di un piccolo paradiso, è fondamentale anche per il NOSTRO piccolo paradiso ed è necessario se crediamo che sia giusto che i nostri piccoli paradisi un giorno andranno a bussare alle porte dell'inferno e prenderanno quelli che lo hanno costruito a calci nel culo.

La libertà che abbiamo stasera come ogni volta che capitiamo davanti ad un gruppo di ragazzi con gli strumenti in mano, è quella di scegliere se crearci una alternativa

per noi, prima ancora che per i musicisti

per noi qui nella provincia ligure, nel regno del eh belin non c'è mai un cazzo da fare

per noi che non vogliamo arrenderci al tritacarne dei sabato sera sotto vuoto, al fast food dell'arte, alla cultura servita come una cazzo di apericena

perchè se non comprendiamo l'importanza di crearci una alternativa, ci ritroveremo presto ad avere, come unica alternativa, i tasti del telecomando.

Allora lasciamo che questi ragazzi ci diano questa alternativa, questo sogno, questo piccolo paradiso, chiamiamoli sul palco e accogliamo loro e la loro musica con la gratitudine che meritano, signore e signori,

THE LONDONPRIDE!

martedì 6 marzo 2018

Viaggiare leggeri rende felici. Il bagaglio a mano di Andrea Amati





Spiazzante.

Il disco di Andrea Amati, pochi minuti dopo averlo messo in ascolto mi si è definito da solo, semplicemente così: spiazzante.

Perchè va bene conoscere poco l'autore e la sua carriera, ma io mi aspettavo qualcosa di più "classico", un "chitarra e voce" con attorno qualche bravo musicista, confidavo nel bravissimo Federico Mecozzi, giovane violinista apprezzato con i Miami & the Groovers, ero fiducioso sugli altri membri della band, mai sentiti ma che immaginavo, essendo parte di una bella scena come quella emiliano-romagnola, essere all'altezza di Mecozzi e dello stesso Andrea, di cui ricordavo belle versioni di qualche classico di De Andrè, primo fra tutti "Il gorilla".

Invece Bagaglio a mano parte con un brano mezzo parlato, con un sacco di elettronica e dei rimandi che di primo acchito mi fanno pensare più a Lo Stato Sociale che ai cantautori di una volta.

Mi sono perso è comunque un modo eccezionale per dare il via a questo album, così personale, ricca di ironia e di buoni propositi, con un testo che ben ascoltato punta più ai Cochi e Renato de La canzone intelligente che ai "regaz" tanto in voga oggi. Un teatro canzone di facile presa, ma che approfondito spiega dove ci vuole portare Andrea nelle dieci canzoni che compongono il suo disco.

Una direzione da trovare o il piacere di vagare senza meta con la curiosità di capire cosa il destino ci riserverà? Non sembra così triste di essersi perso, Andrea, anzi, l'essersi liberato di alcuni "vestiti scomodi" lo fa sentire leggero e pronto di cercare le cose davvero importanti, ricerca che è il liet motiv dell'opera.

Infatti la stessa Bagaglio a mano spiega molto bene lo spirito di Andrea e la sua voglia di essenzialità, il volersi lasciare alle spalle i piaceri effimeri e soprattutto poco duraturi, la voglia di apparire, lo sputtanarsi su un muro (candidarsi alle elezioni?) o l'accumulare false ricchezze. Certo, a lasciare indietro tutto ci vuole abilità, dice, ma dalla borsa sarà il caso che tutti controlliamo cosa si può eliminare, perchè la pesantezza di questi tempi sta anche nel bagaglio che ognuno di noi si porta appresso. 

La scelta della leggerezza quindi come ricerca di una felicità che duri più di due giorni scarsi e che ci faccia vedere le nostre paure non più come irrinunciabili eredità ma come vere e proprie zavorre da gettare via.

Sulla stessa linea di pensiero Cose fa il punto su quella che è una genuina definizione di Vita, scritto maiuscolo perchè degna di essere davvero vissuta e soprattutto vissuta fianco a fianco con chi ne condivide l'essenza, complici e migliori, meravigliosa definizione di coppia, due persone che possono aggrapparsi l'una all'altra, per combattere o per ammazzarsi di risate, per far vincere il pensiero, per sconfiggere il grande vuoto.

Abbiamo il bagaglio, abbiamo la compagnia, ma dove vogliamo andare? Altrove, semplicemente altrove. 

Il marinaio che hai il mio nome sono io, il me stesso che ha chiaro di dover andare via, lontano, magari nemmeno in senso geografico, ma mentale; atto di accusa durissimo verso chi doveva difendere le nostre emozioni, i nostri valori, le nostre conquiste, questo brano è un entusiastico calcio nel culo per far smuovere quella parte di noi incollata al passato ed al già visto, a quei mille e mille motivi per non cambiare, che altrove non esisteranno più. 

Allora ben venga il buio, se la luce che ci accoglierà sarà quella di un'alba nuova.

Se l'essenzialità è leggerezza non superficiale, Carmen racconta di una leggerezza vuota, anzi svuotata, di un'anima lasciata a galleggiare tra feste, alcool ed altre illusioni; su un ritmo quasi dance, Andrea disegna un ritratto caustico di una generazione trasversale ed in costante aumento, che vive dentro lo schermo di un telefono e che davanti allo specchio ci passa solo per prepararsi la quotidiana dose di tossico buonumore.

Si resta in tema di vacuo ed effimero, con la cover de La ballata della moda di Luigi Tenco, brano che con 40 anni di anticipo aveva già raccontato come si convince la massa e ci aveva spiegato che se ripeti una cosa con insistenza, alla fine tutti ti crederanno.

Fa venire i brividi leggerla in quest'ottica oggi, nell'epoca delle fake news, ma non si può fare diversamente e Andrea ne sottolinea l'assoluta attualità con una interpretazione molto sentita.

Salvo (2017) è invece un cazzotto nello stomaco a bruciapelo, ti arriva all'improvviso, ti lascia senza fiato; non è dato di sapere chi sia, Salvo, ma su di lui gravano le colpe di un mondo cattivo, di una esistenza sbagliata, come le scelte di chi doveva occuparsi di lui; non è chiaro se sia una storia vera o meno, però il brano è una riflessione sulla responsabilità condivisa a cui tutti dovremmo partecipare; ho immaginato Salvo come un giovane ragazzo, scappato da chissà dove e costretto dentro un sistema che non ha scelto, costretto a tenere dentro il suo bagaglio a mano accuse e pregiudizi, colori e ricordi. Mi ha colpito molto la parte dove dentro un supermercato lui vede la sua vita sprecata dentro una foto; non è un'immagine chiara e nasconde un significato che mi sfugge, ma la trovo fortemente evocativa.

Proteggere Salvo dal fumo e da quello che non c'è dovrebbe essere dovere di tutti.

Bacio botto lascia spazio alla nostalgia ed al ricordo, di qualcuno, di un tempo dove certi obbiettivi sembravano a portata di mano e nessuno pensava al loro costo, in termini soprattutto umani. Una storia logorata forse proprio dalla pesantezza di un bagaglio che non si sapeva selezionare con più cuore o forse proprio per l'opposto, perchè il cuore spesso ci appesantisce.
Che cosa rimane di noi? Una lezione dura e forse inutile, perchè lui non ha imparato a ritrovarla, la sua barca si allontana e quel maledetto traguardo sembra davvero un prezzo troppo alto.


Picco del disco, Il muro è un dialogo diretto e di una schiettezza affascinante. Incalzato da un ritmo ossessivo, Andrea ci coinvolge in un esame di coscienza durissimo, con domande pesanti come macigni ed una sincerità che non si può non ammirare. Si chiede nella copertina del disco se sia il caso mettere troppo di noi stessi nelle canzoni, ma a lui è venuto di fare così e chi ascolta dovrebbe solo ringraziarlo per tale onestà.

Hai mai pensato a migliorare, evolvere i tuoi limiti?
Come si può imparare a non affondare più?
Cosa possiamo dare, rimanendo sinceri?

Quesiti attorno ai quali nasce e si sviluppa la leggerezza che è la meta finale dell'album e di conseguenza della vita stessa di Andrea, capace di mettere in musica un processo di maturazione e crescita che sentiamo immediatamente vicino. Attraversato quel muro c'è un domani migliore, non c'è più il rimpianto, ma l'impresa che Andrea chiama Futuro.

Che senso ha, ci e si chiede restare fermi ad aspettare? Abbiamo ali, voliamo, abbiamo gambe, saltiamo, abbiamo un cuore, viviamo, ma viviamo davvero.

Chiude l'album l'evocativa, già dal titolo, Verrà il tempo.

La meta, il traguardo, la vita sognata, è qui a portata di mano, la possiamo vedere, annusare, sognare.

Non cercare più nient'altro, dice, è tutto qui, nel nostro bagaglio a mano abbiamo tutto ciò che ci serve per vivere come vogliamo.

Una lunga e struggente coda di pianoforte e chitarra saluta Andrea, quasi a farcelo accompagnare con lo sguardo, mentre si allontana.

La strada è segnata, ora sta a noi capire se nel nostro borsone ci sono solo le cose essenziali o forse possiamo lasciare a terra qualcosa e liberarcene per sempre.

Sarebbe il primo passo per seguire quella felicità che spesso scambiamo con volgari imitazioni.

Innamorarci di questo album ci aiuterebbe a tenere la rotta.

Essere felici veramente, cosa cerchi di diverso?





giovedì 1 marzo 2018

Elezioni, confusione e scelte






Quando avevo 19\20 anni, con gli scout facemmo un lavoro sulla nostra appartenenza all’Agesci e parlammo, tra le altre cose, anche della scelta Politica.

Mi ricordo che per riassumere le nostre riflessioni, sul documento che redigemmo a fine lavoro, utilizzammo una citazione di Paolo VI: La politica è la più alta forma di Carità, dove per carità si intendeva la virtù teologale di approcciarsi al nostro prossimo riconoscendolo figlio di Dio, piuttosto che la misericordia formale e spesso “pelosa” a cui quel termine è spesso associato.

Erano i primi anni 90 ed io iniziavo ad orientarmi non tanto nella scelta partitica, ma in quel delirio che furono i miei 20 anni, tra la maturità passata col minimo e l’inizio del cammino che mi ha fatto diventare assistente sociale, con l’intermezzo di un anno (ed una barcata di soldi dei miei) sprecati a Siena fingendomi portato a diventare grande economista.

Da allora, quindi, identifico la mia scelta Politica in senso scout e cristiano, con il mio percorso universitario e lavorativo.

Da allora, quindi, penso che la mia scelta Politica sia nata in quegli anni e si sia esplicata ed espletata principalmente nel mio percorso universitario prima e soprattutto lavorativo, fino a tutt’oggi.

L’aspetto partitico di tale scelta mi ha sempre interessato poco e principalmente non ho mai trovato nei partiti una risposta completa a quelle che erano le mie idee e le mie istanze in senso politico ed ovviamente sociale.

Avevo da subito inquadrato come fuorviante ed ipocrita tutto il carrozzone della democrazia cristiana e derivati vari; l’uso dell’aggettivo cristiana, che per uno scout era un riferimento ben chiaro, invece di avvicinarmi al partito me ne teneva sempre abbastanza lontano, per la palese mancanza di riscontro tra le parole (e la Parola) e i fatti.

Nel 92, oltre allo smascheramento dell’ipocrisia DC, fu anche il momento del crollo rovinoso di tutta una struttura di potere politico trasversale e ben incancrenito nella nostra società.

Questo fece crescere in me da un lato la confusione, dall’altro la convinzione che la vera scelta Politica di cui parlava il vecchio Papa dovevo metterla in pratica ovunque, ma ben distante dal parlamento, da Palazzo Chigi, dalle sedi dei partiti (da Piazza del Gesù a Botteghe Oscure).

Oltre 25 anni dopo, mi guardo indietro e vedo che con difficoltà, incoerenze, errori e strappi, la mia scelta Politica è comunque ancora ben chiara e nitida

Una scelta di Carità che ho cercato di attuare nei posti dove ho lavorato, nelle esperienze di servizio, di fronte alle persone che mi si paravano davanti in cerca di un aiuto.

L’ho fatta bene? Non sempre
Posso farla meglio? Sicuramente

Ma se da questo punto di vista capisco quale sia la direzione da tenere, con tutti i miei limiti, dall'altro mi sono sempre più allontanato dall'idea di politica partitica, dalle tessere, dalle adesioni incondizionate.

La fede cieca nei vostri leaders o in chiunque altro vi farà uccidere, diceva Springsteen nel 1985.

Quindi le mie idee politiche, applicate ai vari partiti, hanno sempre trovato diversi punti di contatto ed altrettanti di distanza incolmabile dagli schieramenti.

Ho ben chiaro però alcuni punti fermi, sui quali non transigo.

Mentre iniziavo a capire che la scelta della scuola per assistenti sociali era giusta per me, mentre determinati principi alla base del mio lavoro si sposavano con la mia fede e con le mie idee di tardo-adolescente in (lenta) crescita, intorno al 1994 venne fuori berlusconi.

E fu automatico, immediato e definitivo, identificare lui e la sua banda come l’esatto opposto delle mie, seppur acerbe, idee politiche, civiche e sociali.

In contemporanea emergeva la nuova idea politica (nuova?) della lega nord che non a caso si sposò perfettamente con forza italia, nonostante la palese contraddizione tra chi spaccava il paese tra bravi e cattivi e chi invece si nascondeva dietro slogan da stadio.

Dovessi scegliere, tra bossi e berlusconi, non so chi dei due abbia più spesso identificato come il perfetto opposto delle mie convinzioni; alleandosi, mi risolsero il problema.

La sinistra, ah, la sinistra, casa accogliente dove trovare idee condivisibili, valori condivisibili e, che non guasta mai, perfino buona musica.

È evidente che da quella parte trovai molti più punti di contatto, avendo ben chiaro come “la minaccia comunista” era uno spaventapasseri nemmeno ben fatto di chi voleva nascondercisi dietro per continuare a fare i comodi suoi.

Avendo ben chiaro tuttavia come il comunismo, come idea, ideologia e regime, avesse sempre negato alcuni dei miei punti cardinali quali la libertà di espressione e l’autodeterminazione del singolo.

Ma soprattutto, a 20\22 anni, mi fu chiaro che, da italiano, un valore assolutamente irrinunciabile doveva essere l’antifascismo.

Un valore da esprimere nei fatti quotidiani, nella negazione di qualunque idea segregante, nel rifiuto del razzismo e dell’egemonia del mercato sulla comunità e sui rapporti interpersonali.

Un valore di cui mi sento permeato, soprattutto da quando ho iniziato a capire come, in Italia, non solo il fascismo non è morto da 50 anni come dice che vuole sottovalutare il problema, ma non se ne è mai andato.

È rimasto, strisciante, viscido e subdolo, dentro i partiti della prima repubblica, in primis la dc, la quale agitando lo spettro dell’invasione russa ha tenuto i figli deviati del ventennio sotto la sua ala bianca e protettrice.

È rimasto, in primo luogo, come mentalità, come rimpianto, come opzione mai del tutto condannata.

Fino a quando, grazie tra gli altri anche all’esimio critico d’arte sgarbi, berlusconi lo sdoganò, utilizzando il figliastro di almirante come cavallo di troia dentro il quale nascondere tutti i nostalgici che non aspettavano altro.

E la situazione di oggi, dove il rigurgito è sotto gli occhi di chiunque sappia e voglia vedere davvero, non è frutto degli ultimi anni di disamore collettivo verso la politica, ma di un lavoro scientifico e studiato che dura almeno dagli anni 50.

Questo, tra le altre cose è uno dei primi motivi per cui mi sono allontanato da grillo; resta ben impresso nella mia mente il momento in cui a precisa domanda di un fascista di casapound, grillo definì l’antifascismo qualcosa che non competeva al m5s.

E se non ti compete un valore per me fondante di una società che voglia definirsi civile, per me conti zero.

E il centro sinistra? Ah che bella definizione, perfetta per noi cattocomunisti, gente come me che per i comunisti è sempre stata un culo da prete mentre per i cattolici è sempre stata comunista e senza dio.

Centro e sinistra, perfetto, la botte piena e la moglie ubriaca, due belle scarpe per lo stesso piede ed un elenco di fallimenti che parte da occhetto e d’alema ed arriva a renzi, passando per er cicoria rutelli e soprattutto bersani, colui che con berlusconi annientato da sentenze di ogni tipo, riuscì ad impostare la campagna elettorale con un profilo così basso da permettergli una rimonta che era valutata meno probabile della salvezza del benevento quest’anno.

Il PD, emblema di questo fantomatico centro sinistra, un partito nato morto, quando, appena dopo la vittoria risicata di prodi nel 2006 venne creato in fretta e furia, dando lo spunto perfetto al non a caso ex dc mastella per preparare il grande salto e definirlo già da subito come opzione per me non praticabile.

Il PD che diverse cose ha fatto, specialmente dal punto di vista sociale, a me caro.

Il PD di minniti, il politico più inquietante degli ultimi anni, quello che tende tutti i muscoli del collo dopo l’ennesima strage di mafia per dire che la risposta dello stato sarà DURISSIMA, DU RIS SI MA, (quando però ci sarà non è dato di sapere), minniti che scende a patti con la libia, minniti che difende i cortei di un partito anticostituzionale.

Perché ora che abbiamo detto tutti la nostra filippica contro la cattiva maestra che sclera davanti ai poliziotti in tenuta anti sommossa, magari ci pensiamo un secondo che quello è successo durante una sfilata di un movimento che cerca palesemente di ricostruire il partito fascista (la conquista di una parte della “libbbia” capite? Le corporazioni!) e che nonostante sia altrettanto palesemente anticostituzionale, viene protetto dai cordoni di polizia e non viene fatto sciogliere, come prevede la legge, perché lo stesso minniti dice che tanto farebbero ricorso al tar?

Che poi, renzi, davvero vorresti licenziarla per aver detto quelle cose, quando magari a dirigere le cariche proprio di quei giorni ci sono persone che dopo i fatti di bolzaneto  e della diaz non sono stati licenziati, ma addirittura promossi?

Il PD, ok.

Alla fine, il punto cruciale per me relativamente alle elezioni, resta il discorso migranti.

Alt, so bene che in italia ci sono problemi strutturali di una gravità inaudita e non sto dicendo che il discorso migranti sia più grave, ma del resto chi dice che ci sono problemi “ben più gravi” dei migranti di solito parla di "invasione" dei migranti stessi quindi boh, chiaritevi.

Il punto nodale è che di fronte ad una problematica come quella, come la disoccupazione, come la favoletta degli esodati, che ritengo un episodio (tra l’altro sparito dall’agenda politica di chiunque) di una gravità clamorosa, mi piacerebbe trovare nei politici e nel loro elettorato l’umanità.

Quella che dovrebbe vomitare davanti alle frontiere chiuse, ai poliziotti che manganellano genitori con i bambini in braccio, a sindaci che fanno chiudere l’acqua sotto i ponti per impedirgli di dissetarsi o ad altri che fanno ordinanze fotocopia delle leggi razziali per mandar via “i negri” che son tutti malati.

L’umanità, la Carità, santo Dio, la Carità. La forma più alta della Carità.
E non la trovo, mai.

La cerco, come cerco quelli che sono i pilastri della mia idea e della mia scelta Politica, la solidarietà, la condivisione, il senso di comunità, quel "comunismo contadino" che non pretende eterna fedeltà al partito, ma divide e condivide tra tutti, che non esilia al freddo i dissidenti, ma dove tutti hanno sempre un pezzo di pane ed un piatto di pasta, quell'idea che se qualcosa di mio può servire ad altri e per me non è indispensabile, posso rinunciarci serenamente.
Quell'idea che nessuno vince, se non vincono tutti.

Altro che "eh le coop rosse" o cose simili, perchè trovo gente che pensa davvero che "i negri" ci rubino il lavoro come facevano i terroni 30 anni fa, ci rubino le donne, ci vogliano invadere.

Trovo gente che giura sul vangelo dopo aver dato il via a riti celtici e dopo aver parlato di deportazioni.

Trovo gente che da 30 anni ha subdolamente creato una controcultura fatta di apparenza, superficialità e finto benessere.

Trovo gente che parla dei migranti come nemici dello sviluppo turistico.

Trovo ministri che fanno accordi con chi gestisce dei campi di concentramento e prova a scaricare le colpe sulle ONG

La Carità, Signore, dove è finita?

Ed in tutto questo, spuntano poi fuori le anime belle secondo le quali l’astensionismo è una colpa grave, perché votare è un dovere e bla bla bla.

La scelta Politica è un dovere, il voto, se tale scelta fosse consapevole e meditata, ne sarebbe una ovvia conseguenza, così come altrettanto ovvia sarebbe la qualità ben diversa e ben migliore dei candidati.

Perché se tu mi chiedi di scegliere tra mangiarmi una merda e prendermi un calcio nelle palle, non puoi lamentarti che io non scelga nessuna delle due possibilità e non puoi dirmi che è colpa mia se le alternative sono quelle.

Certo, i candidati sono uno specchio perfetto di questa nostra società, lo dicono tutti, bene.

Perché manca la scelta Politica, ma mica solo quella di chi si ispira a Papi o cardinali eh? Di chiunque, qualunque siano il percorso e i riferimenti utilizzati, purchè, appunto consapevole e meditata.

Non è importante che io dica se e per chi voto, né importante né giusto, non è questo lo scopo della mia riflessione.

Certo, ci sarebbe piaciuto approfittare della vacanza scolastica e fare un weekend a bologna, per il quale avevo già coniato uno slogan bellissimo “Più tortellini, meno Casini”, ma non ci siamo riusciti, pazienza.

Però domenica non è “il giorno in cui possiamo decidere”, no, perché la scelta Politica ci rende in grado, goccia dopo goccia, gutta cavat lapidem come dice il mio amico runner, di poter decidere tutti i giorni, anche senza la matita elettorale in mano.

E non è nemmeno vero che se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare, piantiamola.

Iniziamo a fare scelte consapevoli e a non farci trascinare dalle emozioni e dalle grida, allora anche la nostra matita elettorale conterà qualcosa.