Il mio disco dell'anno, indubbiamente è Sangue e Cenere dei Gang.
Un album meraviglioso, ricco, completo, nel quale i fratelli Severini ricordano a tutti perchè ancora oggi sono loro la voce più credibile di una sinistra che non vuole dimenticare e continua a combattere.
Ci sono stati tanti dischi quest'anno, davvero tanti.
Tanta musica, forse troppa, al punto che diversi album non sono riuscito ad approfondirli come meritavano e sicuramente li recupererò in futuro.
Alla fine, una volta deciso che i Gang avevano comunque vinto per distacco, gli altri li ho messi semplicemente in ordine alfabetico, scegliendone altri 15 tra quelli che mi sono piaciuti di più, senza voti o stelline.
In fondo trovate una playlist su youtube con un pezzo per ogni album.
Mi capita una cosa strana e purtroppo abbastanza triste quando giro per le strade della città dove abito o della città dove lavoro o della città in cui ho vissuto per 30 anni.
Sono 3 posti a cui in un modo o nell'altro sono molto legato e nei quali quando posso faccio volentieri due passi, senza impegni o senza la fretta di dover andare da qualche parte di preciso.
Ad Albenga ultimamente mi capita di tornare con una certa frequenza, per un lungo periodo non ci ero più stato, la mia famiglia se n'era andata, io non lavoravo più da quelle parti, con gli amici se ci si vedeva, ci si beccava a metà strada.
In quel periodo, le rare volte che mi capitava di andarci, pensavo fosse in qualche modo normale vedere nuovi negozi o non trovarne più di quelli vecchi che ricordavo.
Poi con Su La Testa ho ripreso a frequentarla e la cosa che mi colpiva sempre e che mi colpisce tutt'oggi, è la velocità con cui i negozi aprono e chiudono e la impressionante quantità di spazi vuoti, dove una volta c'erano le vetrine che portavano, se non cose che mi interessavano, almeno luce e vita alle strade albenganesi.
Pietra Ligure e Finale Ligure, i posti dove lavoro e vivo, mi fanno la stessa impressione, anzi, girandoci più spesso, se possibile, pur non essendoci un uguale investimento affettivo, mi colpiscono ancora di più.
Strade vuote, vetrine abbandonate, fogli di giornale appesi.
Malinconia, tristezza, considerazioni su un tempo e su delle vite andate perse e che non torneranno.
Soldi sprecati, lavori perduti, gente che cerca in qualche modo di “arrabbattarsi” come può.
Tutto questo ed una canzone, My Hometown di Bruce Springsteen.
Una sua strofa in particolare.
Now Main Street's whitewashed windows and vacant stores
Ora la via principale è solo finestre imbiancate e negozi vuoti.
Nell'album con la bandana, i muscoli e tutte le minchiate che furono dette e scritte su Born in The USA, questo pezzo era la chiusura, un addio alla città natale da parte del protagonista e della sua famiglia, un addio doloroso e straziante, dove il padre ricorda se stesso bambino che faceva le prime commissioni al papà, che lo portava fiero in macchina a conoscere la sua “Hometown” (termine bellissimo che in italiano non rende, città natale non basta, città vista come casa, culla, nido).
Il disco che si apriva con l'urlo del reduce respinto dal suo paese, finisce con un ennesimo rifiuto ed abbandono, “forse per dirigerci a sud”.
E questa strofa, spettrale, livida come una mattina invernale, ghiacciata come il cuore di chi va via.
Io non lo so se la crisi è passata, se l'italia alza o meno la testa, non so cosa rappresenti il PIL nella vita di certe persone. Vedo determinate cose, dal punto di vista privilegiato del mio lavoro, cose non belle, sensazioni non piacevoli, prospettive preoccupanti. E non mi interessa discutere ora se il politico di turno sia sincero o meno, perchè alla fine, la strada principale, le tante strade principali di posti dove vivo, lavoro e dove cerco di far crescere le mie figlie hanno le finestre imbiancate ed un sacco, davvero un sacco di negozi vuoti.
C'è in generale un senso molto forte di dismissione, di abbandono, da un punto di vista economico ma anche, cosa ben più triste, morale e affettivo verso i posti e le persone che dovrebbero essere le componenti principali del nostro vivere, non solo del nostro sopravvivere.
Quelle vetrine vuote, magari una volta piene di oggetti vacui e futili, ora mi rappresentano invece un inverno che non sembra avere fine.
Tendo sia per carattere che come attitudine professionale a spronare alla speranza piuttosto che al lamento, quindi sogno che certe vetrine si riempano ancora, ma credetemi, certe “Main Steets” a volte fa proprio male attraversarle.