venerdì 1 luglio 2022

RE, MUSICASSETTE E COMPITI DI INGLESE

 


Quando ero bambino, il mio primo ricordo di Elvis sono un paio di cassette dei miei, di cui una si intitola GI Blues, che mia mamma ascoltava ogni tanto, con entusiasmo e facendomi capire che il cantante fosse uno bravo davvero.

Quando Ludovica era in seconda media, un pomeriggio mentre faceva i compiti di inglese mi portò il libro tutta contenta perchè "papà parlano di musica!" e mi fece vedere la pagina dove una foto di Elvis in tenuta e posa da jailhouse rock era corredata dalla didascalia "Elvis: a king of rock and roll!". Come "A king" esclamai, Elvis è THE KING!!

Tra un aneddoto e l'altro io sono cresciuto, invecchiato e diventato straordinariamente insofferente e polemico, ma soprattutto ho ascoltato quintali di musica e quella di Elvis, da GI Blues in poi, c'è sempre stata.

Come molti fans di Elvis quindi, l'annuncio del film di Baz Luhrmann mi aveva più preoccupato che incuriosito, temendo l'ennesimo scempio, memore delle versioni dance e di un tot di altre cose.

Nemmeno la presenza di Tom Hanks mi aveva tranquillizzato più di tanto, però ahimè, son cose che succedono, pazienza.

L'uscita del primo trailer invece mi colpì in positivo: la scena della funzione religiosa dove Elvis bambino viene rapito dal gospel era proprio forte ed ehi! ehi! ehi! il momento in cui attacca a cantare davanti ad una platea muta che lo fissa come un alieno mi piaceva ancora di più! 

Ma non tanto per l'attore e le sue mosse, ma perché era fatta in modo da amplificare le reazioni del pubblico, in special modo femminile. Mi venne subito in mente il libro di Guralnick "L'ultimo treno per Memphis", che racconta quel momento in un modo talmente realistico che leggendo ti sembra di essere lì sotto a quel tendone, assordato dalle urla isteriche di ragazzine che stavano provando qualcosa mai provato prima, che intuivano non essere da ragazze per bene, ma che trovavano irresistibile. 

Leggendo quelle righe potevi sentire le mutandine di quelle spettatrici bagnarsi, ecco, l'ho detto, modo migliore non l'ho trovato.

Niente, sto film iniziava ad interessarmi, Tom Hanks era finalmente un valore aggiunto, l'attesa cresceva.

Non ultimo, il fatto che la storia fosse narrata dal punto di vista del Colonnello Parker era ulteriore benzina sul fuoco.

Sono andato a vederlo con mia figlia Ludovica, che ricorda benissimo quel libro di inglese così "sbagliato" e ne siamo usciti entusiasti.

La prima parte della carriera, fino al servizio militare, mantiene le promesse del trailer, è rumorosa, enfatica, esagerata come del resto è stata la vita di Elvis, poi si trasforma quasi in un blues, come quello che Elvis stesso suona alla chitarra mentre tutta la famiglia è davanti al caminetto nei giorni precedenti alla partenza per la Germania.

L'idea di dare a Parker il compito di narratore è felice e paracula il giusto, perché consente salti, tagli e giravolte temporali che in questo modo non mi hanno infastidito, ma hanno assunto significati precisi, come del resto il modo sottile in cui al "narratore" Parker pian piano vengono attribuite molte se non tutte le colpe del finale della storia, a partire dalla stessa chiamata alle armi, che sembra quasi una punizione per avergli disobbedito.

Dalla morte della madre poi appare chiaro come più che narratore, Parker sia il burattinaio che convince tutti, a partire da Elvis e Vernon (odiosissima la scena post-funerale dove in pratica si fa chiedere di occuparsi di tutto) di fare come dice lui e basta.

La fobia della sicurezza diventa la scusa per evitare quel tour all'estero che lo avrebbe allontanato da Las Vegas quando invece lo aveva già venduto e che portò Elvis ad esasperazioni folli e così via fino al discorso finale in cui Parker dà la colpa della morte del Re al "troppo amore per il pubblico" e nessuno può credergli, né tantomeno assolverlo.

Due momenti a mio avviso superlativi sono le esibizioni live da Las Vegas (il debutto all'International Hotel) e Indianapolis 77.

Nella scena di Las Vegas Butler si supera, ricreando con espressioni e mosse una situazione assolutamente realistica e trasmettendo in modo chiaro quella che era l'emozione e la voglia di Elvis in quella che pensava fosse un'anteprima della tournée in Europa e Giappone; allo stesso modo l'episodio della (presunta?) aggressione sempre all'Hotel è molto molto veritiera.

Non ho potuto non fare il paragone con un altro film a tema musicale dove l'attore protagonista ha vinto (a mio avviso immeritatamente) l'Oscar: Bohemian Rhapsody.

Lasciamo stare i due personaggi, pensiamo agli attori: Butler entra dentro ad Elvis, gli sguardi, la grinta, l'entusiasmo durante le prove sono tangibili, i video d'epoca ci rimandano un Elvis molto simile a quello di Butler e alla fine della lunga sequenza ci sembra di essere stati davvero ad un suo concerto.

Rami Malek fa salire Freddie Mercury sul palco del Live Aid con gli occhi spalancati e la bocca semi aperta, ma chiunque abbia visto qualche spezzone live dei Queen (in special modo di quel concerto) sa bene che Freddie saliva sul palco con una sfrontatezza devastante e guardava il pubblico con la presunzione di averlo in pugno ed una espressione che significava "adesso vi spacco in due!", Malek nel film dedicato più ai denti di Freddie che alla sua carriera, mi rimanda l'immagine di un adolescente cresciuto negli anni 80 a cui viene mostrato per la prima volta YouPorn (può contenere tracce autobiografiche): più che sfrontatezza è un costante "Oddioddioddiodioddio" che a me sembra decisamente stonato, parlando di chi teneva stadi interi per i coglioni e faceva cantare gorgheggi senza senso a 60\70mila persone.

Indianapolis 77 poi.

Giuro che se mi avessero chiesto come avrei fatto finire un film del genere, avrei scelto quella scena: Unchained melody, 26 giugno 77, ultimo concerto.

Elvis è grasso, sfatto e fatto, sudato, arranca e ansima, lo staff attorno a lui è pronto ad intervenire e la gente in sala forse è lì per vedere il Re che muore sul palco.

Ma lui nonostante tutto, a sprazzi, ma riesce ad entrare nella canzone a suo modo e quando lo fa è lui il primo a gioirne e guarda il tizio che gli regge il microfono con l'espressione che vuol dire "cazzo, ce la faccio ancora, sono ancora il Re!"

C'è tutta la seconda parte della sua carriera in quei momenti, il suo enorme talento, che emerge nonostante da anni fosse sepolto da droghe, abusi, allucinazioni e fissazioni assurde (che il film suggerisce essere state "indotte") e l'emozione, vera, fortissima, di chi per pochi secondi riesce a sentirsi nuovamente quello di un tempo.

Momenti gloriosi e drammatici, estremi, perché estremo è stato lui per primo; Elvis, l'alfa e l'omega dello show business, il Re, colui che ha preso una musica da "peccatori" e l'ha regalata al mondo intero, lui che cantava con estasi divina e erotismo a bomba, contemporaneamente, lui che come dice Springsteen "fece capire all'America che esistesse vita, dal bacino in giù".

Seduto al pianoforte, fasciato in un vestito ogni sera più stretto, il Re prova a non abdicare, almeno per la durata di un singolo pezzo.

"Aspettami, aspettami, tornerò a casa, aspettami" canta mentre Capitan Marvel corre alternandosi tra una messa gospel ed un buco dove si balla avvinghiati, alternandosi tra il sacro e il profano, essendo lui stesso un continuo alternarsi di sacro e profano.

Ho pianto durante questa scena, prima ancora che le immagini si fondessero con i filmati dell'epoca, riportandoci alla dura realtà che si, il nostro supereroe se ne fosse andato.

Ho amato questo film, molto, spero di rivederlo e accorgermi di cose che potrebbero essermi sfuggite.

C'è una frase di John Lennon che cito spesso: "Prima di Elvis non c'era nulla"; ecco, io con tutto il rispetto per Lennon, sta frase la capovolgerei: "Dopo Elvis non c'è stato più nulla", perché nel bene e nel male poco se non nulla è stato inventato dopo di lui, poco se non nulla è stato fatto senza che lui lo facesse per primo.

Ultima cosa: se andate a vedere il film per sentire i Maneskin dovrete aspettare tutti, ma proprio tutti i titoli di coda, se non andate a vedere il film per non sentire i Maneskin, peggio per voi.

Tornando a casa mia figlia mi ha detto che se fosse nata a quei tempi sarebbe stata sicuramente una sua grande fan e soprattutto ha detto una cosa che combacia perfettamente col mio pensiero di poche righe fa: sti ragazzetti di oggi che si toccano il pacco non sanno mica come si balla in modo provocante.

Peccato solo non avere più quel libro di inglese.

2 commenti:

giusi ha detto...

Sono felice di aver letto questa recensione del film. Per tutti i motivi scritti, il film sui Queen e Mercury, non lo ho mai visto, non credo di riuscirci ancora. Invece, anche per come lo hai descritto, non vedo l'ora di vedere questo. Mi hai convinto;). The king is still the king.
Grazie Cala!

Franco Zaio ha detto...

Ciao Cala,
bellissima appassionata "recensione" di un film che ho visto ieri sera. Anche io come te temevo la baracconata e invece mi è piaciuto molto.
Grazie