Oggi è mercoledì, un mercoledì di 24 anni fa.
Un mercoledì che un ragazzino di 13 anni aspetta da quando, 2 anni prima la sua squadra del cuore aveva perso la finale di coppa dei campioni ad atene contro l’amburgo.
Il papà del ragazzino sa che per suo figlio questa è una giornata speciale, gli ha regalato un pallone, su cui lui ha subito scritto la data: 29 maggio 1985.
Quel ragazzino, ovvio, sono io, che all’epoca vivevo di calcio, mangiavo calcio, studiavo calcio, sognavo calcio.
E sto mercoledì la juve può prendersi la rivincita per la beffa di atene, quando perse contro l’amburgo che fece mezzo tiro in porta, da 560 metri .
Aspetto sta partita con l’ansia tipica di chi ha una sola unica grande passione: la Juventus.
Mio papà arriva alla solita ora, come da tradizione ha preso il giorno dopo come giorno libero, sia per menarla nel caso andasse bene, sia per evitare di farsela menare nel caso andasse male.
E non è che mio padre sia meno teso di me, ad atene stava per andare, poi non erano saltati fuori i biglietti.
Questa volta i biglietti c’erano, lui li aveva bloccati.
Poi aveva cambiato idea, perché la finale sarebbe stata contro una squadra inglese.
Siamo a tavola presto quando inizia il tg delle 19.30.
Ma per me è ancora presto per capire.
Al tg parlano della partita, ovvio cosa c’è di più importante nel mondo oggi?, anzi no, parlano di incidenti, parlano di gente che si è fatta male.
Parlano che forse la partita non si giocherà.
No no, dai, voglio dire si saranno pestati, come al solito, gli inglesi è un periodo che vanno fuori e fan del casino.
Ma la partita SI DEVE GIOCARE. Non scherziamo.
Guardo mio padre, lui forse ha capito che per parlarne in tv e dire che la partita è in forse, c’è qualcosa di più che la solita scazzottata. E forse ha già capito che per lui da quel giorno il calcio non sarà più la stessa cosa.
Fatto sta che ci mettiamo lì davanti alla tv, ora che sono adulto certi momenti mi ricordano le dirette tv delle stragi, dell’11 settembre, con rispetto parlando e fatti i debiti paragoni.
Sei lì, sai che è scoppiata una merda, ma grossa, ma non riesci o non vuoi capire fino in fondo, però non riesci a staccare gli occhi dalla tv. E alla tv fanno vedere che c’è gente sul campo, cazzo fate lì spostatevi che devono giocare, c’è la juve in finale di coppa campioni, c’è platini, zoffgentilecabrini, c’è la cosa che all’epoca mio interessa di più al mondo, ANDATE VIA!
E poi arrivano i due momenti che più nitidamente mi ricordo non solo di quella maledettissima sera, ma di quegli anni lì.
La voce del telecronista che dice che negli incidenti sono morte 39 persone.
Il telefono di casa che squilla e mio zio che chiede se poi alla fine mio padre era andato a bruxelles, che si ricordava che aveva trovato un biglietto. Per il settore Z.
E lì, anche se forse me ne accorgerò molto più tardi, perdo la mia innocenza di bambino e mi scontro con tutta la merda che c’è nel mondo.
Perché qualcuno mi deve spiegare ancora ora che cazzo c’entra la morte col calcio, con la coppa campioni, con platinì, con zoffgentilecabrini.
Perché la telefonata mi fa capire di botto che MIO PADRE POTEVA ESSERE LI’.
Non ho pianto quella sera, ma mi ricordo benissimo di come dentro di me ci fosse una parte che voleva far finta di niente, voleva la sua serata, voleva la finale di coppa campioni, ed una parte che invece capiva che niente sarebbe stato più come prima.
Ho visto penso 100mila servizi su quel giorno, letto migliaia di giornali, guardato centinaia di foto.
Il numero del guerin sportivo uscito dopo la strage aveva una foto dove si vedeva il mio professore di educazione tecnica che teneva tra le braccia una persona. Non ho mai avuto il coraggio di chiedergli se fosse svenuta o morta. La settimana dopo è tornato a scuola e in classe non volava una mosca.
Ancora oggi non riesco a capire, ancora oggi l’argomento mi disturba e molto.
Ancora oggi ho negli occhi quelle immagini e nel cuore le emozioni di un ragazzino di 13 anni a cui quel maledettissimo giorno hanno portato via un pezzo della sua innocenza.
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