Un paio di mesi fa ho fatto un corso sulla conduzione dei gruppi, basato sull'intelligenza emotiva.
Sono stati 3 giorni molto interessanti, il metodo dell'intelligenza emotiva si basa, appunto, sulle emozioni e su come lavorare su di esse.
Io di solito non è che ai corsi di aggiornamento mi impegno tanto, ho un filo di pregiudizio (giusto un filo eh) verso ste cose gestite da miei colleghi, che troppo spesso finiscono per diventare pretesti per piagnistei di vario genere, ma sta volta devo dire di essere rimasto davvero soddisfatto.
Certo, lavorare sulle proprie emozioni non è facile anzi, da tutte le tre giornate sono uscito un pò stanchino (cit.), ma contento.
Nella seconda di queste giornate abbiamo fatto un'attività particolare, che consisteva nel rivolgere ad un utente (vero, reale, NON immaginario) una domanda che avremmo sempre voluto fargli, ma che per un sé o per un ma non gli abbiamo fatto.
Non necessariamente un utente, ha detto la conduttrice, ok.
Io mi metto lì e immediatamente mi viene in mente Ghighìn, il mio utente preferito, che viveva a Ceriale e che, per un ritardo mentale, anche se aveva 50 anni ne dimostrava 8 e come tale si comportava. Era quello che si chiama il matto del paese, ma che era amato da tutti, me compreso, che spesso, in quanto responsabile dei servizi sociali di Ceriale, gli ho fatto un po' da papà.
E quando Ghighìn è mancato, nel 2003, tutto, ma TUTTO il paese si è fermato per salutarlo.
Vabbè, ma non è di questo che voglio parlare.
Ero lì che avevo già pronta la mia domanda per lui, quando una collega mi spiazza e mi scompagina tutto.
E la domanda non mi viene più voglia di farla a lui, no.
La domanda, che da un po' sento il bisogno di fare, la penso rivolta a mio papà.
Perché è una cosa che sono ormai 4 anni che ciclicamente ritorna, ogni volta che determinate situazioni si ripresentano e la fanno uscire con forza.
La domanda è ovviamente il titolo di sto discorso, riferita al mio essere padre.
Perché delle tante, tantissime cose che mi mancano di lui, questa è la peggiore di tutte.
Chiedergli consigli, un giudizio, sapere come mi vede nel “suo” ruolo.
E manco a farlo apposta, ricordo benissimo che in quel periodo LA domanda era uscita spesso, qualche difficoltà con Luvi, la sensazione di inadeguatezza che si faceva più forte, il bisogno di confrontarmi con lui come raramente avevo fatto in passato.
Perché se so benissimo quanto fosse fiero del mio essermi costruito una famiglia, di essermi sistemato sul lavoro, di come in un modo o nell'altro riuscissi a tirare avanti con tranquillità, il non averlo a fianco, anche in silenzio, nel mio essere padre ecco questa è una cosa che mi mancherà, sempre. Sempre di più direi.
Perché me lo immagino che mentre mi incazzo con mia figlia ora e soprattutto in futuro, lui che se la ride sotto i baffi e mi dice “ah, adesso hai capito che non era così facile eh??”.
Il problema, grosso, è che io VORREI tanto che me lo dicesse e che mi prendesse per il culo, cazzo.
E così mi sono ritrovato a sto corso, davanti a 15 persone, che ho detto “non me la sento di parlare”. Io. Belìn.
No, non me la sentivo davvero, perché di sta cosa qui, che mi era scoppiata così all'improvviso, non ne volevo parlare in quel momento, ma ne volevo parlare PER PRIMA con mia moglie, perché lei è la prima con cui voglio tirare fuori certe cose.
E così ho fatto, lasciando che fosse lei e non dei colleghi, ad asciugarmi le inevitabili lacrime.
Sono passati due mesi da quel giorno, ma oggi sta domanda torna, forte come prima.
Oggi sono 5 anni che mio papà se ne è andato, 5 anni nei quali la mia famiglia ha fatto un bel po' di strada, è cresciuta, si è allargata.
Io però a sta cazzo di domanda continuo a desiderare una risposta, sempre.
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