Anna aveva conosciuto Carlo anni prima, sul lavoro; era un tipo simpatico, affabile, disponibile. Le faceva capire di essere uno che contava, ma sottilmente, senza esagerare. La faceva sentire importante, la aspettava al mattino per un saluto, le offriva il caffè a metà mattinata, era sempre nel posto giusto al momento giusto.
Lei all'inizio non ci fece caso, troppo presa dal nuovo lavoro, troppo in ansia per fare bella figura per accorgersi che Carlo era sempre presente proprio quando lei ne aveva bisogno e non certo per caso.
Il caso; per caso aveva la macchina dell'ufficio pronta se lei doveva andare chissà dove, per caso era in pausa se lei usciva per un caffè, per caso faceva la spesa nel suo stesso supermercato.
Quella volta forse le suonò un campanello di allarme, ma lo silenziò rapidamente.
Anna era sposata per inerzia, col marito si parlavano appena e lei viveva per sua figlia.
Carlo invece aveva una fidanzata, una reputazione, un ruolo.
Nessun problema, giusto?
Poi una volta non si ricordava bene perchè, lui la accompagnò a casa, non insistette per salire, però attese gentilmente che lei entrasse nel portone. Saperlo allora che aveva memorizzato perfettamente l'indirizzo, forse si sarebbe comportata diversamente.
Anna era sempre stata una ragazza forte, decisa, ma pian piano le piccole gentilezze di Carlo la avevano incuriosita, poi addolcita ed infine conquistata.
Erano finiti a letto assieme un pomeriggio estivo, dopo una mattinata particolarmente pesante al lavoro, quando, non per caso, lui era libero e la aveva accompagnata a casa. Una leggerezza, un momento di debolezza, così lui era salito a casa sua.
Nei primi tempi, quella relazione la incuriosiva, la stuzzicava, perchè era gratificante saperlo così attratto e sebbene non fosse molto corretto, doveva ammettere che avere un collega così disponibile, anzi servile, la faceva sentire importante.
Del resto il marito per inerzia chi soddisfa? Nessuna. Così iniziò a vedere Carlo come colui che avrebbe potuto in qualche modo salvarla da quella noia, da quei silenzi, da quell'indifferenza.
Senza nemmeno rendersene conto, Anna se ne invaghì e lasciò che pian piano lui la controllasse, la circuisse, la soggiogasse.
Il primo allarme era suonato appunto mentre faceva la spesa, trainando il carrello e la sua apatia, mentre suo marito le era da zavorra e la figlia giocava ignara; se lo vide spuntare davanti con un sorriso inquietante. Un saluto veloce e un brivido che faticava a mandare via.
Le cose lentamente cambiarono, lui diventò sempre più pressante, le gentilezze lasciarono il posto a risposte sgarbate e a commenti intrisi di cattiveria, però quando lei lo andava a trovare, fingendosi in ferie e negandosi al telefono, si sentiva viva, considerata, apprezzata; sotto quelle lenzuola a lei estranee stava tornando a sentirsi donna e tutto il resto contava poco, era un equivoco, era colpa della sua ansia e della sua paura di perdere anche quell'oasi nella quale era desiderata e non solo un'ospite in un letto matrimoniale.
Fu così che Anna divenne inappetente e sempre più apatica verso il mondo, vivendo solo per quei fugaci momenti nei pomeriggi dove gli orari combaciavano, per quel gioco di sguardi e mani nei corridoi degli uffici, per quei messaggi che a ripensarli ora la nauseavano, ma che allora le sembravano poesie.
Il giorno del coraggio fu un giovedì, un giovedì pomeriggio, passato da lui, tra il letto e consigli non richiesti sulla propria vita. Non ricordava bene la scintilla, ma Carlo all'improvviso le si rivelò per quello che era: un violento, arrogante, manipolatore, un frustrato che nel dominarla cercava riscatto per una vita di delusioni. La colpì durante una discussione, lei nemmeno vide arrivare il pugno, ma si ritrovò a terra, sanguinante con lui che dall'alto la guardava con disprezzo. Forse fu il gusto del suo stesso sangue, forse il dolore, forse quegli occhi che finalmente riusciva a vedere veramente e nei quali scorgeva solo odio. Anna si alzò, ignorando le patetiche scenette di Carlo, che senza nemmeno troppa convinzione le diceva di non sapere cosa gli fosse preso.
Uscì da quella casa e ricordò, ammettendolo finalmente a se stessa, gli altri episodi in cui lui l'aveva stretta un po' troppo, l'aveva obbligata, l'aveva derisa.
No, non sono questa, disse davanti ad uno specchio impietoso.
Iniziò così la sua lenta risalita da quell'inferno, grazie a qualche amica, tanta buona volontà e gli occhi di sua figlia, nei quali capiva lo smarrimento di chi percepisce l'odore di paura e disperazione ma non riesce a decifrarli.
Così Anna tornò alla vita, riuscì a tagliare i ponti con Carlo, certo non subito, ma ci riuscì. Lui si rivelò una persona meschina ed una volta accortosi che non poteva sfogare su di lei le sue frustrazioni la lasciò in pace. Anna riuscì perfino a telefonare a quell'avvocato che le avevano consigliato, un buon avvocato divorzista.
“Anna, siamo pronti”. La voce dell'infermiere la svegliò di soprassalto. Era sul lettino, la solita flebo, tutto intorno colore bianco ed odore di disinfettante. Anna aveva un tumore, glielo avevano diagnosticato un anno fa. Era uscita dallo studio medico con la testa che le ronzava e le gambe che le tremavano. Arrivata a casa aveva deciso che non le piaceva la parola tumore, né il termine malattia. Quindi da quel momento Anna aveva chiamato il suo male Carlo e la sua battaglia era stata contro un uomo cattivo e non contro un tumore. All'inizio non aveva creduto che Carlo le potesse fare del male, né che le cose rischiassero di precipitare davvero, quindi aveva reagito sottovalutando tutto; dopo la prima seduta però aveva capito che Carlo in realtà era pericoloso ed andava combattuto con le armi giuste. Quindi si fece forza e lo combattè con la sua grinta, la sua voglia di vivere, la sua ironia. Perdere i capelli non la spaventò affatto, la nausea dopo ogni ciclo di terapia era pesante, ma Anna trasformò questi momenti in occasioni per ridere, per ridere di Carlo e ridere in faccia a Carlo. Certo avere un male del genere a 15 anni non è roba da poco, ma Anna aveva una grande fantasia e le piaceva immaginarsi adulta, adulta e sposata, anche se con un matrimonio migliore di quello che aveva inventato. Un po' tremante, scese dal lettino e prese le sue cose, salutando gli infermieri, la dottoressa e tutto il personale che aveva combattuto al suo fianco e che oggi l'aveva accolta per l'ultimo ciclo di terapia. Era guarita, il tumore, anzi Carlo, era scomparso. Ci sarebbero stati esami e controlli e paura e notti insonni prima di esami e controlli, ma ora l'importante era che Carlo fosse uscito dalla sua vita e lei avrebbe fatto di tutto per non farlo tornare.
"Ciao mamma, ciao papà", disse allegra ai suoi genitori, innamorati ed entusiasti di una figlia così coraggiosa. Salì in macchina ed andò incontro nuovamente alla vita.