martedì 27 agosto 2019

In equilibrio tra epico e falsità, le due facce di Bohemian Rhapsody




(Cara amica, caro amico, se non ti piacciono i Queen questo post probabilmente non sarà di nessun interesse per te, scusami)

Iniziamo dalla fine: mia figlia Ludovica, motivo per il quale ad agosto inoltrato sono andato al cinema, vista la sua passione per la canzone che dà il titolo al film, il giorno dopo averlo visto si è messa a smanettare sul telefono per ascoltare le canzoni del gruppo inglese e ci siamo anche ascoltati A Night at the Opera in macchina.

Messa così, la questione potrebbe anche dirsi chiusa, a me faceva piacere che lei approfondisse la storia di "quelli di Bohemian Rhapsody", lei era uscita contenta dal cinema, tutto è bene ciò che finisce bene.

Ma visto che, come ha fatto sagacemente notare qualcuno, vedere un film del genere con me di fianco rischia di essere un'esperienza segnante per una adolescente, mentre a dispetto dei rischi non ho proferito parola, ecco che scrivo un paio di cose.

Primo, a me il film sostanzialmente è piaciuto, pur nella assoluta consapevolezza dei suoi difetti; c'è da dire che io non sono un fan sfegatato dei Queen, che conosco abbastanza bene e di cui apprezzo alcune cose rispetto ad altre, quindi capisco il malumore di diversi amici che invece ne sono fans duri e puri. 

Sono convinto che nonostante i limiti, sia un film da vedere, epico quanto basta per stuzzicare la curiosità dei neofiti, anche se fa incazzare i più esperti.

La parte più inspiegabile, a me, resta ovviamente lo spostamento temporale della scoperta della malattia di Freddie; questo permette al film di chiudersi sulle note di We are the Champions al Live Aid dando a questa canzone una valenza molto forte, se si pensa che "in teoria" la stava cantando un uomo consapevole di avere poco da vivere. 
Questo rende un bel servizio alla canzone, che magari verrà usata meno per finali di chissà che sport e di cui verrà finalmente capito il senso di rivalsa e affermazione di cui è pregna, ma resta comunque una forzatura; il tour dell'anno successivo, in seguito all'album A kind of magic dimostra che la situazione non stava ancora precipitando, il Freddie del Live at (aridaje) Wembley lo dimostra chiaramente, anche se purtroppo fu l'ultima tournée. 

Mi sono anche detto che alla fine Freddie per primo era un tipo che amava fare della sua vita uno show, quindi la cosa potrebbe essere anche meno grave del previsto.

Per il resto, i soliti difetti (o mie fisime) sui film musicali, ossia la brevità e la conseguente superficialità con cui si racconta la storia di un gruppo con il quale, volenti o nolenti, tutti gli appassionati di musica devono fare i conti.

Sono però consapevole che un film di 12 ore forse non sarebbe stato realizzabile; ok, però sembra che passino dal primo concerto "col paki nuovo cantante" a riempire i palazzetti nel giro di pochi giorni; ok, però sembra che il rapporto col manager "cattivo" ruoti attorno solo alla pubblicazione di Bohemian Rhapsody come singolo, mentre con diversi manager, primo fra tutti Norman Sheffield ci fu quasi una guerra. (A Sheffield i Queen dedicarono un brano più che esplicito.)



Il punto dolente a mio avviso resta l'attore che interpreta Freddie, soprattutto alla luce del fatto che abbia vinto l'Oscar come miglior attore protagonista. Mio Dio.

Freddie era, come dichiarò lui stesso e come (spostando il contesto da intervista uno a uno a conferenza stampa astiosa) si sente nel film "una puttana della musica" ed è sul palco che lo si deve vedere e sentire per apprezzarne la grandezza. In questo senso Malek mi è apparso inguardabile, a partire da quegli occhi sempre sgranati. Freddie saliva sul palco con una sfrontatezza unica ed un carisma altrettanto impareggiabile, nessuna di queste due caratteristiche così forti in lui mi sono arrivate da Malek.





Pur comprendendo l'estrema difficoltà nel rendere giustizia ad un performer come Mercury (non a caso uno degli ostacoli peggiori per la realizzazione del film fu trovare l'attore adatto) la sua interpretazione mi ha ricordato quei tristi programmi della RAI dove vips in decadenza imitano altri vips sperando di brillare ancora un po', anche se di luce riflessa e poi alla fine vince Marco Carta.

Non basta riempirsi la bocca di denti a mettersi dei baffi finti ed una canottiera bianca per entrare in questo personaggio. Molto ma molto meglio l'attore che fa Brian May e perfino John Deacon, non certo uno che amasse mettersi in mostra, ne esce meglio che Mercury a mio avviso.

La somiglianza fisica non deve diventare un'ossessione, altrimenti si trasforma appunto in caricatura. Joaquin Phoenix in I walk the line ricorda fisicamente Cash, ma non cerca di esserne il sosia e la partita se la gioca sul piano dell'intensità dell'interpretazione.




Speravo meglio anche per i dialoghi, molto molto lineari e semplicistici, con una buona dose di responsabilità da parte del doppiaggio, visto che, ad esempio, nella scena dove Freddie va a sentire suonare gli Smile, al bancone chiede "una birra media" invece dell'inglesissima PINT.

Banalotta la scena della riappacificazione, dove gli attori sembra quasi che stiano improvvisando, male.

Bisogna vedere questo film per conoscere i Queen, ma se volete capire meglio perchè Freddie sia stato un personaggio imprescindibile della musica del secolo scorso, guardatevi il Live Aid originale e ascoltatevi Live Killers.




3 commenti:

giusi ha detto...

Una recensione obiettiva e lucida. Chiaro che i fans integralisti ti avranno urlato contro. Personalmente non ho visto il film e la recensione non mi spinge a farlo. Ecco preferisco a questo punto guardarmi i live, ascoltare interviste e cercar di capire. Guardare sullo schermo un attore che si sforza di interpretare un uomo unico che lo è stato Mercury, mi farebbe andare in depressione. Grazie!
Giusi

giusi ha detto...

"Come lo è stato". Chiedo scusa

il Cala ha detto...

No sai, penso che più che contro di me, i fans duri e puri (e molti mi hanno dato ragione) abbiano urlato contro il regista