Sono stata al Salone del Libro. Sono molto contenta perché hanno ripreso a chiamarlo Salone. Per qualche anno hanno tentato di ribattezzarlo con la triste parola Fiera, ma solo perché c’erano di mezzo forti pressioni milanesi che da tempo premono per scipparci l’evento.
C’era il tentativo di milanizzare e così si era partiti dal nome. Fiera è molto internazionale, molto milanese appunto. Comunque per i torinesi è sempre stato Salone, non ci sono santi, e quello è tornato ad essere.
Volendo usare una metafora matematico-religiosa potremmo dire che il Salone sta a me come il Paradiso con le 40 vergini sta a un mussulmano morto.
E’ un po’ la ricompensa somma, il nirvana, il mondo incantato del giardino segreto al di là del muro di mattoni. Ah! Quanto mi piaceva il Giardino segreto, quando ero piccina. Devo assolutamente rileggerlo.
Al Salone succedono cose belle e tutti vivono in pace e armonia, tranne quando ci sono contestazioni accese. Ma ieri non c’erano contestatori.
Alcune cose molto belle che mi sono successe quest’anno.
Prima di tutto una bella passeggiata di 10 minuti per raggiungere il luogo dell’evento. E già il fatto di avere il Paradiso proprio dietro casa è segno di grande fortuna. Inoltre, dopo le code senza fine viste nei giorni scorsi, all’ingresso c’ero solo io. Ma questa non è fortuna, è più che altro strategia. Alle 19 di domenica sera il flusso è tutto in uscita, non in entrata. Gli stand sono più o meno sempre gli stessi, ma questo non toglie nulla all’entusiasmo dell’appassionata lettrice.
Di solito non faccio grosse spese al Salone perché le maggiori case editrici hanno il prezzo pieno , per cui tanto vale aspettare gli sconti su Ibs. Però poter vedere esposto tutto il loro catalogo, tutto quel ben di Dio, è una gioia per gli occhi e per il cuore. Mi sento come il sindaco nella vetrina della pasticceria, in Chocolat. Le altre, le case editrici meno conosciute, azzardano invitanti 3x2 e intriganti sconti del 20%. Questo è dovuto al fatto che spesso propongono titoli che nessun sano di mente penserebbe mai di comprare, men che meno a prezzo intero. Io, però, gli sconti li amo moltissimo. C’è stato un tempo in cui adocchiavo da lontano il cestone delle offerte, poi mi avvicinavo con fare disinvolto e un po’ annoiato allo stand, mi guardavo intorno con interesse un po’ sostenuto e un’aria da vero conoscitore di perle editoriali, sfogliavo con espressione disincantata le pagine di qualche patinata edizione extra lusso e alla fine, ma solo alla fine, fingevo di inciampare per puro caso nel cestone delle offerte nel quale, con l’atteggiamento di chi si abbassa a tanto più che altro per non offendere il padrone di casa, mettevo decisa le mani sui due o tre titoli che con l’infallibile fiuto del vero ricercatore di sconti avevo già individuato da almeno dieci minuti. Ma erano altri tempi, non avevo ancora capito le cose del mondo e soprattutto non avevo ancora elaborato la mia personalissima versione della teoria del “ma chi se ne frega!!?”.
In fondo, riflettevo ieri tornando a casa, se c’è una che di cognome fa Levi Montalcini, che si fa fotografare vicino alla più famosa e cotonata zia, ne fa un manifesto elettorale e ci scrive sopra “Si, sono parente”, non vedo proprio nessuna perdita di dignità nel tuffarsi in un cestone sul quale c’è scritto Libri scontati. Giusto? Giusto.
Il Salone è pieno di scrittori. Giustamente, penserete. Sono tutti lì in carne e ossa e presentano i loro libri oppure vagano di qua e di là negli immediati paraggi delle loro case editrici. Io purtroppo sono fortemente svantaggiata perché comprando sempre le edizioni economiche dei libri mi perdo le edizioni corredate di foto dell’autore in quarta di copertina, cosi se anche ne incontrassi uno non saprei riconoscerlo. Non che questo sia un problema, perché se anche lo riconoscessi non mi ci avvicinerei. Non saprei cosa dire. Per esempio, ieri stavo esaminando un grosso tavolo su cui erano esposte pile e pile di libri di Massimo Carlotto. Nello stand nessuno, tranne un signore seduto su una poltroncina intento a bere un caffè. Un signore che, senza ombra di dubbio, era Massimo Carlotto. E se per caso ci fosse stata qualche incertezza sarebbe stata spazzata via dalla parole del commesso, gentile “Non so se ha visto , ma è presente anche l’autore….”.
Per una manciata di secondi la mia testolina ha elaborato la scena in cui uno dei libri veniva fatto autografare al Carlotto con dedica speciale al Sari. Il libro sarebbe stato poi spedito al Sari stesso, con tanti auguri.
E invece niente. Non è proprio nelle mie corde: farmi autografare qualsiasi cosa da chiunque mi fa sentire terribilmente in imbarazzo, anche se in effetti una volta il Cala mi ha autografato la ricetta della parmigiana.
E poi cosa avrei potuto dirgli? “Buonasera signor Carlotto. Potrebbe fare una dedica a un mio amico? Si chiama Fabio……No, per la verità non ho mai letto i suoi libri, mi dispiace. , ma Fabio ne parla molto bene. A dire il vero ho letto Il fuggiasco. Se mi è piaciuto? Ecco…si più o meno. Mi ha dato un po’ fastidio il tono compiaciuto del protagonista. Mi scusi sa, è colpa mia, le prometto che lo rileggerò perché magari non gli ho dedicato sufficiente attenzione. Lei comunque ha degli occhi davvero molto belli. Arrivederci, grazie. “
Capite, vero, che è meglio che non mi azzardi..?
Per il resto ho resistito alle lusinghe di milioni di titoli, per quanto “Cento cose da cucinare al tuo cane almeno una volta nella vita” ha richiesto un notevole sforzo di volontà.
Mi è piaciuto molto il muro della Add edizioni. Un muro riempito di post it dove i visitatori potevano scrivere un motivo per indignarsi. Il fatto che il titolo di maggior richiamo dello stand fosse “La mia vita normale” di Pavel Nevded toglieva giusto un briciolo di credibilità all’iniziativa.
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