Ringrazio Marina, la mamma di Tom, che mi ha autorizzato a pubblicare questa serie di manoscritti che suo figlio le ha scritto dal carcere di Varanasi, dove si trova da più di 3 anni, con l'accusa di aver ucciso insieme ad Elisabetta Boncompagni il loro amico Francesco Montis.
Vi chiedo di condividere questi post e di farli leggere a più persone possibili, affinchè tutti o quasi sappiano dove si trovano ora due nostri connazionali.
Solidarietà, rapporti umani, ricchezze e miserie
Questo capitolo è un po’ complesso e non so se le mie poche abilità di scrittore riusciranno a rendere l’idea esatta, comunque ci provo. Innanzi tutto è bene dividere in due sezioni distinte : 1) la solidarietà e il comportamento nei miei confronti e 2) la solidarietà ed il comportamento tra loro. Appena entrato, la sera dell’8 febbraio 2010, ero ovviamente spaventato e guardingo. Memore delle letture e dei film sulle carceri che avevo letto e visto, dove per i novelli le cose non erano assolutamente semplici. Entrato nella baracca 10, quella che accoglie i nuovi arrivi e li ospita una decina di giorni prima di essere assegnati ad un’altra sezione, mi sono seduto in un angolo, diffidente e pronto a combattere. Dopo una decina di minuti mi hanno invitato sul giaciglio del capobaracca e lì, un detenuto politico che fortunatamente parlava un buon inglese, dopo avermi fatto le classiche domande di rito sul caso (anche se sapevano già tutto dai giornali), mi ha spiegato che non avrei avuto nulla da temere, che essendo uno straniero, l’unico di tutto il carcere, sarei stato trattato come un ospite d’onore e che per qualsiasi problema non avrei dovuto esitare a rivolgermi a lui o al capo baracca. Non avevo soldi, coperte, solo un paio di magliette, niente sapone e tutto il necessario per lavare sia me che i pochi vestiti. Mi hanno accolto come un fratello donandomi tutto il necessario per vivere decentemente nell’attesa dell’arrivo dei miei genitori dopo circa 15 giorni. Mi hanno offerto the, frutta, sigarette e dopo neanche una settimana tutte le mie paure e diffidenze erano scomparse. E’ nella baracca 10 che ho conosciuto Happy, di cui ti ho parlato nel capitolo recedente, e anche il politico che mi aveva dato il benvenuto è tutt’ora mio “amico”. Ora sta nella baracca 9, proprio quella di fronte alla mia ed ogni tanto ridiamo e scherziamo insieme sui miei primi giorni di detenzione. Dopo 10 giorni, come prassi, venni trasferito nella baracca in cui sono ancora oggi e anche l’accoglienza è stata la stessa. Forse anche il mio modo di essere ed il mio carattere, mi hanno aiutato ad inserirmi senza problemi, ma oggi dopo due anni sono orgoglioso di non essere più considerato un ospite straniero, ma semplicemente un fratello. Il discorso cambia però per gli indiani. C’è solidarietà ma solo tra le persone della stessa classe sociale. Il ricco aiuta il ricco ed il povero aiuta il povero. Inoltre il povero teme il ricco cui è completamente sottomesso si crea un vero e proprio rapporto di schiavitù con i ragazzini più poveri. Per esempio un gruppo di tre o quattro benestanti, prende un ragazzo povero e questo si trasforma nel servo di turno. Lava i vassoi, lava i vestiti, tiene pulita la zona letto, fa i massaggi ed è a disposizione 24 ore su 24. In cambio riceve cibo di buona qualità, qualche vestito( ma solo se il ricco è generoso), sigarette e tabacco da masticare e una cinquantina di rupie quando deve andare in Tribunale. Detta così potrebbe sembrare un semplice rapporto di lavoro, ma il modo di fare fa si che sia più un rapporto padrone-schiavo. E’ vero che al ragazzo gli viene dato il cibo, ma non gli è permesso di mangiare insieme agli altri, non gli è permesso di dormire nello stesso giaciglio ed il modo con cui gli si rivolgono è a livello di schiocco delle dita, come con i cani. Io, essendo un benestante ed anche un po’ pigro, in primis ho rifiutato tutti i vari ragazzi che si offrivano di farmi da servi, ma dopo pochi giorni, ho deciso di prenderne uno sotto la mia ala, mi sono però rifiutato categoricamente di instaurare un rapporto di schiavitù. I ragazzi che stanno con me e che svolgono i pochi lavori che richiedo ( giusto il lavaggio dei piatti e dei vestiti) li ho sempre trattati da miei pari. Mangiano con me, dormono nel mio stesso letto e possono accedere a tutto ciò che vogliono senza problemi . biscotti, patatine, sigarette e via dicendo. Ho ricevuto un sacco di critiche da parte degli altri benestanti perché dicono che non consco la natura degli indiani e che se do loro un dito loro si prendono un braccio, in un certo senso è vero, ma non è necessario comportarsi da padroni, basta far capire loro che se se ne approfittano perdono i loro piccoli benefici che in galera contano tantissimo. Inoltre io per natura tendo a stare più dalla parte del povero e non ho mai avuto problemi ad instaurare rapporti con gente di tutte le classi sociali. Mi puoi trovare a parlare con Datta, un milionario (costruttore di strade e titolare di varie Imprese Edli) e dopo un’ora vedermi seduto sul giaciglio di qualche vecchio e poverissimo contadino a parlare del più e del meno. Questo mio modo di fare, ha fatto si che sia simpatico a tutti dal povero al ricco. Tra indiani non è così, un ricco non si siede sul letto di un povero ed il povero, pur sottomesso per natura, odia il ricco. Discorso a parte va fatto per i criminali di lunga data, con loro il discorso ricchezza povertà non è così importante, conta di più la nomea e la fama, comunque i criminali per lo più stanno tra di loro e sono autosufficienti…ovviamente io ho rapporti anche con loro perché la voglia e la curiosità di conoscere uno straniero battono tutti i pregiudizi.
In generale comunque, il clima che si respira è buono, non c’è violenza e la gente cerca di vivere al meglio e in tranquillità il tempo di reclusione. Inoltre il loro miglior pregio, a mio avviso, è che sono sempre allegri, dal più povero al più ricco, sempre vogliosi di scherzare e giocare nonostante i mille problemi che tutti hanno. Ogni tanto penso alla situazione delle carceri italiane, ovviamente non posso esprimere giudizi non avendo visto con i miei occhi, ma penso che a parti invertite, ossia se ad un indiano in Italia capitasse quello che è capitato a me in India, non se la passerebbe decentemente come me la sto passando io. Gli indiani, sia ricchi che poveri, sono molto allegri, sempre vogliosi di scherzare e giocare pur tra i mille problemi che tutti hanno. Penso che se un indiano si trovasse nella mia stessa situazione in un carcere italiano, certo non se la passerebbe come me la sto passando io.-