giovedì 13 luglio 2017

Gente che dice di amarti e poi ti porta ai festival jazz.


(Testo e Foto di Ilaria Luciani, da oggi da me rinominata Madonna del Roseto dalle Lunghe Spine in un Assolato Pomeriggio di Primavera)

Un trio piano, basso e batteria che si scatena per ore in virtuosismi, per una misofonica come me è paragonabile a un concerto di mestolo su pentola, alla ceretta all'inguine, alle tisane allo zenzero.

Moroso mi estorce un sì facendomi sentire tredici secondi di melodiosa armonia al piano.
Mi sono fatta fregare.

Pare che per una sorta di congiunzione astrale favorevole, questi jazzisti newyorkesi -quotatissimi nella scena jazzistica mondiale- ieri sera suonassero proprio a dieci minuti da qui, macchecculo ho, andiamo? 

Ho sperato in una reperibilità o in un cagotto dell'ultimo minuto ma niente da fare.

La serata parte già con mezzora di ritardo, cosa che non sembra importare a nessuno, intanto la musica di sottofondo che incede, sempre più martellante ripetitiva e monocorde, è jazz.

Alle dieci meno venti apre il concerto un duo piano/voce, con una performance in dialetto slovacco.
E NON SCHERZO.

È accaduto davvero.
 
Mi è venuto da ridere, mi sono guardata intorno ma non rideva nessuno, nemmeno quel fetente del moroso, allora ho pensato di essere l'unica che avrebbe tanto voluto essere a casa a spendere il proprio tempo in maniera più proficua, tipo a limarsi le unghie dei piedi o a molestare i follicoli, ma ormai ero là, in questa cornice obiettivamente meravigliosa, l'aria calda di una sera di luglio, le stelle sopra di noi, seduta su una sedia da fachiro con davanti i due più alti del mondo e un tale con una serie di tic che mi salverà la serata, ma questo lo scoprirò soltanto dopo.
 
A un certo punto moroso mi dice falsamente che se non mi fosse piaciuto ce ne saremmo andati subito eh, alla prima pausa.
Naturalmente mentiva.

Dopo tre quarti d'ora di brani di cantante slovacca con salivazione azzerata, arrivano i tre.
 
Attaccano subito un repertorio che viene immediatamente apprezzato dai più, moroso compreso, che ogni tanto commenta: "mostruosi.", "favolosi" mentre io riesco solo a pensare che sì, sono DAVVERO bravi, ma anche a Maurizio Battista quando l'amico lo invita al concerto 'de Mozza'.
 
Potrei sempre inscenare un malore.
 
Invece resto e mi concentro sui tic dell'omo davanti: braccia conserte, mano destra che sale e accarezza orecchio sinistro, spinge gli occhiali sul naso, la spalla destra che si alza compulsivamente, tende il collo, sembra tenere il tempo, invece accelera, smette per un secondo, ricomincia. Mano destra che tocca orecchio sinistro, testa spalla, testa spalla, tocca orecchio, spingi occhiali, testa spalla, testa spalla, baby one two three.
 
Perché lo faccio?
Lo faccio per preservare la mia sanità mentale, lo faccio come via di fuga. Rifuggo la ripetitività e i saliscendi dei virtuosismi con la sequenza paranoica dei tic. Sono una claustrofobica in un tunnel, cerco di non pensarci ma non posso farne a meno.
 
Io vi ammiro, cultori del jazz, vi ammiro davvero per come riuscite a godere di certe composizioni artistiche. Io soffro e basta.

Dopo circa otto anni luce l'esibizione finisce, salutano e se ne vanno.
 
Il mio intento è quello di sgommare via immediatamente prima che qualche scriteriato chieda il bis ma il fetente mendace applaude e anche lui VUOLE il bis, lo vuole proprio, e lo ottiene.

I got the power, now.
 
Una piacevole sensazione di rivalsa mista al sapore dolce della vendetta.
 
Ho un enorme jolly da giocarmi, spendibile in un'unica grossa soluzione come la cena di Capodanno coi parenti oppure in quattro piccole comode rate.
 
Tipo che se entriamo da Tiger e lui dopo sei minuti si metterà a lamentare un: "noncelafacciopiù" io gli ricorderò di quel dodici luglio e gli farò presente che, se ce l'ho fatta io, può farcela anche lui.

P.S.: Aaron Goldberg, Dario Deidda e Gregory Hutchinson sono DAVVERO musicalmente mostruosamente bravi, anche per chi non capisce una fava di jazz come la sottoscritta, ma io ho già dato.



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