mercoledì 23 maggio 2012

23 maggio 1992, ore 17.58

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Era sabato
Era un sabato strano perchè ero arrivato a casa da milano dopo il concerto degli u2 alle 8 di mattina ed avevo dormito fino a pranzo
Poi ero andato alla riunione degli scout
Poi visto che non c'era la tradizionale partita del sabato, ero rimasto in parrocchia fino quasi all'ora di cena
Poi avevo saputo.
E' strano come certe notizie ti segnino in modo da farti ricordare in modo indelebile dov'eri e cosa stavi facendo quando lo hai saputo.
Probabilmente sono quei momenti in cui il tempo si ferma, si blocca e viene impresso su una parte di noi stessi che ne conserverà sermpre traccia
Così ricordo le televisioni accese
Così ricordo le parole confuse dei TG
Così ricordo la targa della macchina che spunta da un cumulo di macerie
Così ricordo che era una cosa da tanti data talmente per ovvia ed imminente che quando successe davvero sembrava finta
E tutti ne parlavano tutti commentavano tutti teorizzavano complottavano risolvevano.
A 20 anni uno deve avere degli eroi, qualcuno da ammirare così tanto da spingerti a volerlo emulare ma anche da spaventare per la sua forza, da farti dire non ce la farò mai, ma di lasciarti quel dubbio che forse vale la pena provarci, almeno provarci.
Provare a lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato.

Un mondo libero dalle mafie sarebbe un mondo migliore, speriamo di lasciarlo ai nostri figli.

Loro ci avevano provato.


Bonn – (Ansa) Una sorta di testamento e un avvertimento per Roma nelle parole dello stesso Falcone. Il giudice ucciso, in un’intervista concessa la settimana scorsa alla corrispondente del quotidiano tedesco “Die Welt” a Roma Rose Marie Borngasser, aveva tracciato uno scenario della sua lotta.


- Dottor Falcone, lei è il giudice più protetto d’Italia. Molti colleghi sono morti per la mafia. Lei stesso è sfuggito solo di poco a un attentato. Ha paura?

“Paura? Credo che il problema della paura non sia la cosa più importante del mio compito. Bisogna imparare a convivere con essa. La cosa più importante è il problema della mafia: essa va’ combattuta. Se poi in questa documentazione contro la mafia qualcuno ha paura oppure no, è un fattore assolutamente non importante. E se per caso si ha paura, bisogna cercare di superarla. Non c’è alternativa”.

-Come vive la sua famiglia con questa paura?


“Famiglia? Io ho una moglie che lavora come giudice alla Corte di appello di Palermo”.

- La sua vita privata è molto limitata?


“Si tenta di convivere anche con questo problema. E’ il prezzo che bisogna pagare.”

- Cosa la disturba maggiormente?

“Tutto ciò che limita la mia vita privata”.

- Si sente più sicuro a Roma che a Palermo?

“Diciamo un po’ meglio. Qui è più facile vivere con le misure di sicurezza. Ma naturalmente anche a Roma esistono delle limitazioni. Io non vivo mai come un cittadino normale”.

- Ha ancora degli amici o diffida di tutti?


“E’ naturale che ho ancora amici. Ci mancherebbe solo che non ne avessi più. Per il resto non mi piacciono queste domande che mi vengono poste continuamente. E anche questi interrogatori da parte della stampa rientrano tra le limitazioni impostemi dalla mia professione”.

- Come e dove effettua le sue ferie?


Per lo più all’estero. Talvolta anche in Italia, quando le misure di sicurezza sono rispettabili.”

- Come può difendere da solo la sua vita?

“Si devono cambiare continuamente abitudini. Di più non le rivelerò.”

- Il gioco vale ancora questa limitazione della qualità della vita? Il prezzo no è troppo alto?

“C’è sempre un prezzo morale che va’ pagato. E’ quando si è pronti a pagarlo, alla fine vuol dire che ne vale la pena”.

- Tornerebbe a scegliere la sua professione?


“Certo, con tutta probabilità”.

- Ritiene il maxi-processo del 1986 un suo successo personale? All’epoca la mafia grazie al suo arresto ha acquistato nomi e visi.

“C’è naturalmente la soddisfazione personale di avere fatto con successo il proprio lavoro. Non lo posso nascondere. Ma oltre a ciò esso è stato un segnale di successo nella lotta contro la mafia un colpo importante contro di essa”.

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Subito dopo è arrivata la delusione, quando si è arrivati davanti alla Corte di Cassazione. Non ne è rimasto molto colpito?


“Mi stia a sentire: era comunque la prima volta che la mafia veniva condannata come associazione criminale. Quando dieci anni prima ho cominciato con le mie inchieste, si negava completamente l’esistenza della mafia. Adesso almeno si è riusciti a condannare i cervelli di Cosa nostra. Più importante del fatto che uno sia stato condannato all’ergastolo, mentre un altro è tornato in libertà, è il fatto che ciò ha segnato il punto di partenza per le ulteriori indagini. Non dimentichi che 19 hanno avuto l’ergastolo. Siamo cioè passati dalla totale impunità a condanne pesanti. In questo modo abbiamo dimostrato che la mafia non è invincibile”.

- Che ne pensa dei pentiti? Sono importanti?


“Essi sono assolutamente necessari. Ma per le indagini. Però solo se si come valutarli. Dipende, infatti dalla capacità del giudice di valutare le dichiarazioni di un pentito”.

Se il potere fosse suo personale, come combatterebbe la mafia?


“A queste cose neanche ci penso. Mi sembrano talmente lontane, sembrano così esagerate. Personalmente sono del parere che la cosa più importante è tagliare il potere economico dei criminali. Uno dovrebbe essere in grado di concentrare le indagini molto più sui retroscena finanziari. Parliamo solo di riciclaggio: la riconversione del denaro sporco andrebbe combattuta con molta più forza”.

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