di Franco Astengo, pubblicato originariamente qui
L’attuazione del decreto sulla
“revisione di spesa” (traduzione semplice del complicato “spending
rewiew”) rischia di mettere definitivamente in ginocchio il nostro
Paese, sotto l’aspetto – principalmente – della capacità dell’intervento
pubblico di rispondere a bisogni fondamentali della cittadinanza, al di
là delle specifiche condizioni sociali.
Un’importante operazione
(ideologicamente ben costruita) di affossamento dell’idea di una qualche
presenza dello Stato all’interno dei gangli vitali della vita
quotidiana di ciascheduno di noi. Una presenza dello Stato ormai quasi
definitivamente messa in crisi, dal punto di vista della possibilità di
una qualche mobilitazione sul terreno morale, dalla sentenza relativa ai
fatti della Scuola Diaz, avvenuti in occasione del G8 di Genova del
2001: l’ormai famosa “macelleria messicana”, tanto per intenderci.
Per chi poteva pensare di crederci
ancora questa sentenza ritengo sia apparsa come una vera e propria
“pietra tombale”: i vertici della struttura che dovrebbe garantire la
sicurezza dei cittadini coinvolti in un’orripilante vicenda di
sopraffazione degna davvero di quelle dittature sudamericane cui,
proprio in questi giorni (sto pensando all’Argentina) la storia sta
finalmente presentando il conto.
La sentenza sulla tragica notte della
scuola Diaz di Genova è, però, ancora incompleta perché omette le
responsabilità dei vertici politici (l’allora capo della Polizia, oggi
sottosegretario e l’attuale Capo all’epoca vice-capo), soprattutto,
ignora (non per responsabilità dei magistrati) la presenza indebita in
quei giorni, all’interno di luoghi di direzione operativa delle
cosiddette forze dell’ordine, di parlamentari dell’estrema destra, fra i
quali l’attuale Presidente della Camera, eletto in quel ruolo appunto
dal centrodestra e oggi sostenuto dal centrosinistra per il quale –
probabilmente – si presenterà alle prossime elezioni, pur provenendo
direttamente dal partito erede diretto del fascismo di Salò.
Accanto a questi fatti si colloca
l’esistenza di un persistente (e in via di allargamento) intreccio tra
“questione politica e questione morale”: non risolta sicuramente la
vicenda “Tangentopoli” con l’implosione del sistema dei partiti di
allora, si è andati avanti attraverso l’evidente gigantesco conflitto
d’interessi riguardanti il più volte Presidente del Consiglio padrone di
Mediaset, l’emergere di scandali di varia natura giocati attorno ad un
nuovo modello di “fare tangenti” (P4, appartamenti al Colosseo, appalti
della Protezione Civile, rifiuto dell’aula ad arresti eccellenti tra i
parlamentari, “sistema Sesto”), fino all’esplosione del bubbone legato
al finanziamento pubblico dei partiti che si è esplicitato con il caso
di un partito defunto, la Margherita (i cui esponenti oggi sono per la
gran parte nel PD) capace di ingurgitare milioni su milioni nel corso
del suo periodo “in sonno”, in modo da favorire gli investimenti del
proprio tesoriere, al quale è sinceramente difficile affidare
semplicisticamente la parte del solito “mariuolo”.
Il “caso Lusi” vale, sull’altro versante
(e salda il cerchio) la sentenza Diaz: chiude ogni varco alla
credibilità residua, se mai se ne fosse potuto parlare, di questo
sistema politico. Mentre siamo in attesa di un commento da parte del
Presidente della Repubblica, maestro di coesione nazionale, mi pare ci
sia materia di qualunquismo buono ad alimentare la presenza della
comicità in politica.
Non è questo, però, il punto: anche
perché il quadro non risulta ancora compiutamente descritto. Torniamo al
decreto sulla revisione di spesa: si registra, qui, un dato complessivo
di “sudditanza psicologica” da parte dell’opinione pubblica e dei suoi
facitori (operatori dei mass media, per intenderci) rispetto a palesi
dimostrazioni di arroganza e incompetenza: pensiamo alla vicenda degli
“esodati”, ma verifichiamo questi elementi anche nel modo in cui sono
stati affrontati i temi riguardanti le Province, la Sanità (al riguardo
della quale per fortuna il ministro competente è riuscito, fin qui, a
evitare l’espressione di una davvero inopinata “furia iconoclasta”), i
Trasporti, il personale dell’amministrazione pubblica.
Tanto per esemplificare, non più di
tanto. Dal Parlamento non arriva nessuna voce, se non di difesa di
privilegi corporativi e del potere di nomina della “politica” (come nel
caso del CdA Rai): è stupefacente come il partito che massimamente
appoggia, in sede parlamentare, questo governo e cioè l’UDC non abbia
mai presentato uno straccio di proposta concreta al riguardo della
crisi, limitandosi ad annuire a quest’opera di demolizione scientifica.
Lo scopo di questa operazione è
evidente: spalancare ancor di più le porte al privato nei campi –
delicatissimi – di sanità, scuola, trasporti, assetto urbano, garantire
il tranquillo rifinanziamento delle banche colpevoli del disastro
esemplificato dai “titoli tossici” (diversi esponenti del governo
sedevano, fino a qualche mese fa, nei board delle principali banche, non
solo in Italia. IL Presidente del Consiglio è stato – addirittura – il
Goldman&Sachs), impoverire ed impaurire ulteriormente l’opinione
pubblica per ridurre ulteriormente i margini di una democrazia già
martoriata dai conflitti d’interesse, dalla personalizzazione,
dall’assenza di luoghi politici di aggregazione collettiva, di
svilimento dei consessi elettivi, a partire dal Parlamento, scientemente
eletto con un sistema elettorale il cui perno è quello della “nomina
dall’alto”.
Eppure avremmo bisogno di tutt’altro: di
una robusta iniezione di intervento pubblico in economia, di capacità
di proposta autonoma in Europa, di ripresa del discorso della
programmazione, di analisi corrette circa la natura delle specificità
della crisi derivanti, non tanto e non solo dall’entità della spesa
pubblica, ma dalla dismissione di interi – decisivi – settori produttivi
dalla realtà economica italiana, di riflessione sul processo di
privatizzazione di pezzi fondamentali di quello che fu il sistema delle
PPSS (certo non tutto era perfetto, anzi.., ma la riflessione su questo è
assolutamente mancata).
Ai professori che interrogano,
normalmente, non esiste alternativa di risposta a quella scritta nei
manuali (poi si possono subire processi per eresia per aver infranto
dogmi sbagliati: il rogo di Giordano Bruno è lì a memoria perenne) ma in
politica esiste sempre un’alternativa, e questo principio fondamentale
pare oggi smarrito, sepolto nel gran mare dell’arroganza,
dell’incompetenza, del corporativismo.
Ricordando, per l’ennesima volta, che
sarebbe buona pratica democratica che questo Governo al termine del suo
mandato si presentasse al giudizio degli elettori, lascio a quanti
avranno avuto la pazienza di leggermi anche questa volta la voglia di
trarre giudizi.
* Franco Astengo – Savona, politologo
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