venerdì 27 luglio 2012

medical dimension (un giorno in pronto soccorso alla cazzo di cane)

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Dal nostro inviato e malato immaginario Sir Torati

Di cose noiose e che durano molto tempo siamo abbastanza esperti: seguiamo bruce springsteen in concerto da una ventina d'anni.

ma le quasi quattro di esibizione standard del boss impallidiscono di fronte a ciò di cui è capace il genio italico: appena dieci ore di tempo (i feticisti della lunghezza esatta delle setlist calcolino il tempo esatto fra accettazione - fra l'altro non c'era neppure la musichetta di morricone in sottofondo - alle 08.58 e dismissione alle 18.53) per fare dei raggi ad una spalla in ospedale.

non amiamo le articolesse sulla malasanità, spesso infarcite di luoghi comuni, ma la giornata di ieri merita proprio il nostro consueto e inutile raccontino, perché in quelle ore vi è stato un tale concentrato di episodi, emozioni e umanità varia da ricordare alla lontana quelli che noi chiamiamo appunti di viaggio dopo una vacanza.

PREMESSA - qualche giorno fa ci siamo svegliati con un dolorino al braccio sinistro. come tutti i maschietti, la nostra soglia del dolore è quella che è e già immaginavamo il nostro funerale e pensavamo al fortunato cui destinare la preziosa collezione di cd e memorabilia dei radiofiera. fra l'altro google, cui ci rivolgiamo per qualsiasi cosa (piccola delusione: la scorsa settimana non siamo riusciti a trovare un criterio universale per l'ottimizzazione dello spazio della dispensa della cucina), sentenziava inequivocabilmente l'imminenza dell'infarto. fedeli al nostro atteggiamento molto maturo secondo cui basta non andare dal medico per non sapere di star male, abbiamo lasciato passare altri due giorni e ci siamo così ritrovati una mattina in ufficio incapaci anche di sollevare una penna.

PUBBLICO E PRIVATO - non volendo perdere troppo tempo, il nostro primo tentativo è stato con una struttura privata che si trova proprio di fronte all'azienda ove trascorriamo allegramente le nostre giornate. spiegata la situazione e ammessa candidamente la nostra beata ignoranza, abbiamo chiesto loro se indirizzarci ad un fisioterapista, ad un ortopedico o allo stregone zulù (niente, riceve solo il mercoledì). quelli non si sono assunti la responsabilità dell'ardua scelta - bisogna dire anche che questi centri medici polifunzionali ormai assomigliano più ad una carrellata di televendite fra massaggi per dimagrire in fretta, agopunture per smettere subito di fumare e metodi efficaci di depilazione definitiva - e così abbiamo girato la macchina verso il pronto soccorso, ormai abili a guidare solo con la mano destra.

COLORI DELL'ARCOBALENO - le premesse dell'accettazione non sono state nemmeno troppo negative: aria condizionata tarata correttamente, una decina di persone in tranquilla attesa, un infermiere cortese che riceve con professionalità il nostro caso. immaginiamo di non apparire come l'emblema dell'urgenza (qui già il solo fatto di arrivare sulle proprie gambe viene considerata una situazione di estremo privilegio), per cui accettiamo con serenità il codice bianco assegnatoci. ci preoccupa invece molto di più il "magenta" designato sulla carta alla descrizione della situazione medica generale. essenzialmente per un motivo: ma che diavolo di colore è il magenta? abbiamo perso la prima mezz'ora a scervellarci se la parola magenta dovrebbe evocare una situazione di pericolo o di tranquillità. quello accanto a noi - ché si sbircia sempre nelle carte altrui - era "indaco", quindi anche lui totalmente ignaro del suo destino

ATTESA - terminata la fase di ambientazione, siamo passati alla lettura, un po' come capita in treno. perché uno se la mette già via che butterà un paio di ore. armati del nostro libro e del quotidiano, ci siamo presto stufati e dell'uno e dell'atro. qualche rara settimana enigmistica tra gli altri presenti e un paio di riviste stropicciate, abbandonate da tempo immemore, sui tavolini. appreso quindi che il muro di berlino è appena crollato (chissà quante generazioni di imprese di pulizie si sono succedute senza voler buttar via quel vecchio venerdì di repubblica!), abbiamo intanto osservato la situazione evolvere. nuovi arrivi, le prime insofferenze dei bambini, l'aria condizionata che inizia a faticare, le vecchie che hanno o troppo freddo o troppo caldo. nel frattempo l'altoparlante non ha mai parlato.

OPTIONAL - oltre alle riviste e uno scatolone di giochi polverosi, rotti e incompleti (impossibile finire una partita di forza 4 per numero esiguo di pedine), la sala è tappezzata di pubblicità. crediamo che da qualche tempo sia una cosa consentita. gli inserzionisti sono riconducibili a tre categorie merceologiche: professionisti dell'antinfortunistica, prestiti finanziari e onoranze funebri. tutta gente che crede nel potere del marketing, non che specula sulle situazioni difficili.

PRIVACY - ai pazienti viene assegnato un numero. la cosa è giusta, anche se puzza un po' di politically correct come chiamare gli spazzini operatori ecologici. e infatti per le generazioni passate la gestione della cosa non è chiarissima. forse perché in posta a ritirare la pensione non esiste il concetto di priorità o urgenza, ma solo del vince chi arriva primo, l'anziano non accetterà mai che bob kennedy, cui hanno appena sparato, possa superare in fila lui e la sua innocua puntura d'ape sul tallone. vengono quindi chiamati i primi numeri e nessuno si presenta. abbiamo tutti capito trattarsi dei vecchi là davanti, compresa la caposala: non se la prenda il garante della privacy, ma in ambiente ospedaliero "si presenti all'ambulatorio n. 3 il paziente n. 581" è ancora assai meno efficace di "sig. gianesin con le emorroidi, seconda porta a sinistra".

URGENZE - detto della nostra serenità nell'accettare la moderata gravità del nostro caso, abbiamo visto passarci avanti pure bambini con un cerottino perché caduti dallo scivolo del campo scuola. la cosa non ci ha urtato, se non quando abbiamo realizzato che in un pronto soccorso di paese (eravamo a piove di sacco, non a padova) circa la metà delle persone conoscevano qualcuno del personale. ecco che, una volta segnalato all'amico il loro caso ormai ingestibile (avranno lasciato le melanzane sul fuoco a casa), venivano chiamate di lì a poco. noi presenti dalla mattina presto continuavamo a scambiarci sguardi di disapprovazione, ma anche di fratellanza dovuta al destino comune di vessati cittadini qualunque. i nostri alleati, almeno in quel frangente, erano gli stranieri, anche loro privi di sponde altolocate. forse timorosi delle conseguenze - hai voglia a parlare di distanza di cortesia, tanto si sente tutto - si presentano allo sportello con le giustificazioni più assurde: occhi tumefatti e sfregi sul volto sono conseguenze di sogni piuttosto agitati ("mi son pestato la mano da solo") o di scontri fortuiti fra pedoni che guardavano in direzioni opposte.

FASI - allo scoccare delle quattro ore di attesa (quindi, se non gli staccano la spina, siamo a "10th avenue freeze out"), abbiamo assistito ad un rapido mutare dell'umore generale. ci è venuto in mente quell'esilarante monologo di paolo rossi sulle fasi dell'ubriacatura (borracho, muy borracho, cantos populares, cantos patrioticos, cantos religiosos, negation de l'evidencia, insulti al clero y apoteosis final). qui abbiamo vissuto sia il rigurgito contro il generico magna-magna della politica che l'inevitabile piega leghista quando una famigliola di neri è stata chiamata per la propria visita. fanno tenerezza questi capo-rivolta nei loro pantaloni bracaloni color cachi e sandali marrone scuro in cuoio (ma ad una certa età spariscono forse gli specchi da casa?) che conquistano l'approvazione facile al suon della "montagna di tasse che pago sino all'ultimo centesimo" (lo dicono, fra l'altro, brandendo il ticket da 25 euro che a nostro modesto avviso è un'inezia rispetto alle prestazioni che ricevono) e di "questi qui arrivano, ci rubano il lavoro e passano pure avanti senza numero. a casa loro se rubi ti tagliano le mani" (quest'ultima affermazione sarebbe da greatest hits della siae se registrata). pure noi siamo finiti sfiorati dalle accuse, perché "si vede che lù no ga gnente!". questi indignados con le bretelle sarebbero il pubblico perfetto per i concerti di combat-rock: forse i vari tom morello, banda bassotti e gang sbagliano a cercare l'approvazione degli ormai pigri amanti del folk di protesta. vengano qui a cantare "motherfucker here we come / world wide rebel songs / sing out all night long".

TEMPISMO - nelle sei ore di attesa prima che ci chiamassero per mandarci a fare i raggi, abbiamo guardato con enorme desiderio non la giovane avvocatessa che conosceremo più avanti, ma l'imponente macchinetta del caffè. perché, una volta capito che era sfumato il pranzo, avevamo deciso di rifarci molto parzialmente con un cappuccino bollente. solo che le monetine erano in auto. per sei ore, un po' come charlie brown quando si chiede se dichiararsi o meno alla ragazzina con i capelli rossi, abbiamo alternato i pensieri "adesso vado" a "e se mi chiamano proprio mentre sono in parcheggio?". nessuno ci ripagherà di queste energie mentali sprecate.

SOLIDARIETA' - il pronto soccorso è però anche un bell'esempio di umanità e dei sentimenti migliori, oltre a quelli più bruti e istintivi, che il genere umano può esprimere. abbiamo tutti osservato il discreto silenzio di rispetto che è calato, anche fra i bambini opportunamente istruiti da genitori cui qualche minuto prima avremmo tolto la patria potestà, quando ci siamo resi conto che un caso urgente volgeva all'esito meno felice. o anche le persone che, di ritorno dal bar, avevano preso caramelle e ovetti kinder per i bambini presenti.

RAGGI - alle ore 14.30 il nostro numero è stato trionfalmente chiamato al microfono. dopo una visita di un minuto, ci hanno spedito a fare i raggi. dove abbiamo ritrovato parecchi dei nostri compagni di avventura della prima sala di attesa. passi il nostro caso (esternamente potevamo anche soffrire di distrurbi intestinali o tendenze schizofreniche), ma era così difficile spedire subito ai raggi la ragazzina che si è fatta male alla caviglia giocando a pallavolo in spiaggia? la fase raggi è stata la più rapida in assoluto, anche se una delle due macchine preposte era rotta. il tecnico non ha gradito molto la nostra fantastica e originale battuta se dovevamo far dire "cheese" alla spalla mentre eseguiva la scansione. ci è venuto male quando ci ha riferito, sciabattando annoiato, che dovevamo tornare al via, in pronto soccorso (e senza ritirare le 20.000 lire), in attesa di nuova destinazione.

DESTINAZIONE ORTOPEDIA - alle 15.50 siamo stati indirizzati verso il reparto ortopedia. orientarsi fra le indicazioni di un ospedale non è mai facile, neanche per una persona mediamente sveglia e colta. capire che il nostro piano era quello con l'indicazione "sala gessi", oltre che poco benaugurante, non era nemmeno intuitivo. ma l'anziano che deve andare in OTL è davvero abbandonato a sè stesso: secondo noi tante operazioni a persone sbagliate nascono dal fatto che alla fine uno si adagia sul primo lettino libero e confida nel fato, sperando di ricevere cure adatte al proprio problema.

INFERNO, AGAIN - l'ortopedia si è rivelata un secondo girone dell'inferno. innanzitutto, causa lavori in corso, mancavano due belle file di panche a parete. che, diciamo, non è la situazione più adatta considerando la natura del reparto. poi il caos: gente che arrivava dal pronto soccorso si univa a gente che aveva un appuntamento col dottore, fissato da chissà quando. alla domanda sul come comportarsi, l'infermiera ha liquidato il tutto con un "mettetevi d'accordo fra di voi"che, insomma, non è il massimo delle produre standardizzate e regolamentate. alla fine sono comunque prevalsi buon senso e educazione, ma sempre demandate ai comportamenti dei singoli. abbiamo finalmente broccolato con la biondina, che ci ha presto rivelato che il suo torcicollo era conseguenza dell'essere stata spinta giù dalla tromba di scale dal fidanzato. non abbiamo capito se voleva interrompere sul nascere la nostra conversazione o se era seria (e comunque ci era già passata la voglia di approfondire, nel rischio di conoscere l'energumeno).

VERDETTO - lastre e successiva visita ortopedica hanno sentenziato: periartite. dio santo, che nome di malattia da vecchi. forse perché lo siamo? il dottore ha detto che no, è solo un po' di ruggine nel meccanismo fra le ossa e succede a tutti. punturone cortisonico e via verso nuovi approfondimenti del problema a breve. ci spiace solo che questo malanno ci impedirà la partecipazione agli imminenti giochi olimpici: eravamo in corsa per l'oro nel salto in lungo. non temete, connazionali: ci rifaremo con la scherma, che, in quanto a retorica, è seconda solo al rugby, ma per fortuna ce la sorbiamo solo ogni quattro anni.

ULTIMO ATTO - siamo tornati per la terza volta al pronto soccorso, in attesa dell'agognato foglio di dimissione. un'impiegata (nemmeno un medico!) ci ha posto un quesito molto italico nella sua profondità di implicazioni: "di quanti giorni ha bisogno per il lavoro?". potevamo quindi scegliere noi se anticipare già le ferie estive di un paio di settimane, a nostro totale piacimento. zemaniani fino al midollo, abbiamo comunicato che ci bastava il giustificativo per il giorno trascorso entro quelle mura.

LIBERI LIBERI - alle 18:53 siamo stati dichiarati abili a lasciare la struttura ospedaliera. dopo un incidente d'auto e aver lasciato la macchina fotografica su un treno a londra, ci mancava solo l'inconveniente di salute. son problemi minuscoli e irrilevanti, ma nel nostro microcosmo configurano il periodo attuale come discretamente merdoso.

CONCLUSIONI - non ce la prendiamo per le 10 ore che potevano e dovevano essere, anche a farla lunga, non più di 3. non ce la prendiamo col personale, soggetto quotidianamente alle ire degli utenti e probabilmente senza risposte accettabili a disposizione. è la totale assenza di un protocollo che ci spaventa più del resto. un nostro scritto non è tale se non c'è la stoccatina esterofila finale: non sappiamo cosa scrivere, quindi ci rifugiamo nei nostri evergreen: in nessuna sala d'aspetto c'era il wifi e all'uscita di ogni paziente c'era l'applauso, come all'atterraggio. no, non è vero. ma la cosa tragicomica è che tutto il resto è andato proprio così. ma we're alive...

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