il concerto dei mumford and sons al teatro romano di verona raccontato dal nostro inviato Sir Torati (una delle poche persone con idee calcistiche, e non solo, diverse dalle mie che ancora sembra nutrire della simpatia nei miei confronti dopo gli europei di calcio)
eccoci di
ritorno dal concerto dei MUMFORD AND SONS in quel di verona.
impossibile trovare un amico (almeno quelli - se esistono... - al di fuori dai contesti musicali), conoscente, collega o familiare che sappia chi siano.
al massimo qualcuno li confonde con BRADFORD AND SON (a proposito: se andate negli states cattate una maglietta per bucconi, così non ce la mena ogni volta), serie-tv comica di culto della fine degli anni settanta.
[apriamo una parentesi sul telefilm. padre e figlio sono robivecchi neri; fred, l'anziano brontolone, è celebre, fra l'altro, per avere decine e decine di paia di occhiali, ognuna destinata ad uno scopo diverso. periodicamente ricicliamo la battuta degli occhiali per cercare gli altri occhiali, ma nessuno ride].
se nessuno di voi conosce "mumford and sons", analogamente nessuno degli spettatori di ieri sera aveva di certo mai sentito nominare "sanford and son".
premessa: siamo abituati, da anni, alla platea dei classici concerti degli artisti buscaderiani. roots-rockers della profonda provincia americana - a volte solo bravini, a volte sinceramente meritevoli di maggior successo - che dalle nostre parti suonano davanti al massimo ad una trentina di ragionieri con la pancetta in libera uscita, il cui massimo atto di ribellismo è stato quello di infilarsi le scarpe da ginnastica per una sera. li immaginiamo dire con spavalderia alla moglie "stasera, cara, non aspettarmi alzata: vado a vedere elliott murphy!". ci fanno un po' tenerezza quando imitano gli assoli di chitarra o di batteria durante i concerti (rigorosamente seduti, però: sia mai che ci si debba pure alzare): risultano goffi, impacciati, totalmente fuori contesto e ancor di più intrappolati nelle loro esistenze normali, così diverse da quelle sognate.
al teatro romano, invece, inaspettatamente l'età media era clamorosamente bassa. e, udite udite, c'era anche un po' di figa (mai vista se in cartellone ci sono quelli tipo willie nile o joe bonamassa o todd thibaud).
impossibile trovare un amico (almeno quelli - se esistono... - al di fuori dai contesti musicali), conoscente, collega o familiare che sappia chi siano.
al massimo qualcuno li confonde con BRADFORD AND SON (a proposito: se andate negli states cattate una maglietta per bucconi, così non ce la mena ogni volta), serie-tv comica di culto della fine degli anni settanta.
[apriamo una parentesi sul telefilm. padre e figlio sono robivecchi neri; fred, l'anziano brontolone, è celebre, fra l'altro, per avere decine e decine di paia di occhiali, ognuna destinata ad uno scopo diverso. periodicamente ricicliamo la battuta degli occhiali per cercare gli altri occhiali, ma nessuno ride].
se nessuno di voi conosce "mumford and sons", analogamente nessuno degli spettatori di ieri sera aveva di certo mai sentito nominare "sanford and son".
premessa: siamo abituati, da anni, alla platea dei classici concerti degli artisti buscaderiani. roots-rockers della profonda provincia americana - a volte solo bravini, a volte sinceramente meritevoli di maggior successo - che dalle nostre parti suonano davanti al massimo ad una trentina di ragionieri con la pancetta in libera uscita, il cui massimo atto di ribellismo è stato quello di infilarsi le scarpe da ginnastica per una sera. li immaginiamo dire con spavalderia alla moglie "stasera, cara, non aspettarmi alzata: vado a vedere elliott murphy!". ci fanno un po' tenerezza quando imitano gli assoli di chitarra o di batteria durante i concerti (rigorosamente seduti, però: sia mai che ci si debba pure alzare): risultano goffi, impacciati, totalmente fuori contesto e ancor di più intrappolati nelle loro esistenze normali, così diverse da quelle sognate.
al teatro romano, invece, inaspettatamente l'età media era clamorosamente bassa. e, udite udite, c'era anche un po' di figa (mai vista se in cartellone ci sono quelli tipo willie nile o joe bonamassa o todd thibaud).
abbiamo provato a attaccare bottone
("ciao tipa, vuoi vedere la mia collezione di buscadero?"),
ma al massimo ci hanno scambiato per il bibitaro del teatro.
gggiovani modello
alternativo, ma più da circolo arci fighetto che da centro
sociale. barbetta lunga, ma pantaloncino di marca. birretta
del mercato equo e solidale, ma reflex di ultima generazione.
avevamo sentito un paio di volte il buon cd di esordio per prepararci all'evento e al concerto... lo abbiamo ascoltato per la terza volta! roba che infatti al ritorno in macchina non ne potevamo già più e abbiamo preferito ascoltare "uomini e camion" su radio1. che poi, capita a tutti: viaggi in autostrada solo una volta al mese da vent'anni e non c'è volta in cui non becchi la puntata in cui stanno parlando dell'imminente completamento della salerno-reggio calabria.
i mumford and sons, che propongono un folk-rock decisamente gradevole e interessante, sono bravi, ma hanno suonato per soli 75 (!) minuti, con pause interminabili tra un brano e l'altro. ma, soprattutto, non ci hanno stupito: arrangiamenti identici alle versioni originali, nessun assolo, nemmeno mezza cover.
attorno a noi però la gente è impazzita: ballava, saltava, cantava all'unisono. e alla fine era stremata, proprio come gli artisti sul palco. e pensare che nello stesso lasso di tempo springsteen e/o rolling stones hanno appena iniziato a scaldarsi e sono sì e no nel primo terzo dell'esibizione...
ci ha comunque fatto piacere vedere tanti giovani assetati di buona musica e divertimento. probabilmente, se fossero meno prevenuti verso certe icone del rock (sicuramente ritenute, a seconda dei casi, troppo tamarre o troppo mainstream: bruce entrambe le cose), rimarrebbero stupiti dal confronto impari.
però, dai, il segnale è buono e incoraggiante. che poi, dove diavolo li avranno conosciuti. non crediamo che questi inglesini passino spesso su mtv, né che i nostri vicini di posto poco più che ventenni leggano ancora le riviste (sì, quelle di carta) musicali. eppure conoscevano a memoria tutte le canzoni, anche le due/tre in uscita - e quindi ancora inedite - del disco nuovo. segno che esistono canali sotterranei, ormai a noi sconosciuti, dove anche il mondo musicale procede senza averci tra i suoi passeggeri.
qualche pensiero a margine. i ragazzi di oggi sanno l'inglese decisamente meglio di noi. pronunciano bene le parole e pare che capiscano pure il senso delle canzoni. mica come noi che cantavano "o quand de sens go macinin" e ci siam sempre chiesti a che macinino si riferissero i lavoratori dei campi di cotone dell'alabama.
verona è bellissima e il teatro romano un gioiellino poco conosciuto, ma intrigante quasi quanto l'arena. ogni volta ci interroghiamo: ma gli artisti coglieranno la differenza fra una location del genere e una qualsiasi pepsi arena? sì, perché qui manca l'aria condizionata.
i mumford and sons ci hanno almeno risparmiato il saluto in italiano col riferimento alla pizza e agli spaghetti. in compenso non è mancata la battuta sulle tette di giulietta: almeno sapevano di essere a verona.
una bella serata, ma attendiamo hyde park e l'hard rock calling festival per vedere riconfermate le giuste gerarchie musicali.
avevamo sentito un paio di volte il buon cd di esordio per prepararci all'evento e al concerto... lo abbiamo ascoltato per la terza volta! roba che infatti al ritorno in macchina non ne potevamo già più e abbiamo preferito ascoltare "uomini e camion" su radio1. che poi, capita a tutti: viaggi in autostrada solo una volta al mese da vent'anni e non c'è volta in cui non becchi la puntata in cui stanno parlando dell'imminente completamento della salerno-reggio calabria.
i mumford and sons, che propongono un folk-rock decisamente gradevole e interessante, sono bravi, ma hanno suonato per soli 75 (!) minuti, con pause interminabili tra un brano e l'altro. ma, soprattutto, non ci hanno stupito: arrangiamenti identici alle versioni originali, nessun assolo, nemmeno mezza cover.
attorno a noi però la gente è impazzita: ballava, saltava, cantava all'unisono. e alla fine era stremata, proprio come gli artisti sul palco. e pensare che nello stesso lasso di tempo springsteen e/o rolling stones hanno appena iniziato a scaldarsi e sono sì e no nel primo terzo dell'esibizione...
ci ha comunque fatto piacere vedere tanti giovani assetati di buona musica e divertimento. probabilmente, se fossero meno prevenuti verso certe icone del rock (sicuramente ritenute, a seconda dei casi, troppo tamarre o troppo mainstream: bruce entrambe le cose), rimarrebbero stupiti dal confronto impari.
però, dai, il segnale è buono e incoraggiante. che poi, dove diavolo li avranno conosciuti. non crediamo che questi inglesini passino spesso su mtv, né che i nostri vicini di posto poco più che ventenni leggano ancora le riviste (sì, quelle di carta) musicali. eppure conoscevano a memoria tutte le canzoni, anche le due/tre in uscita - e quindi ancora inedite - del disco nuovo. segno che esistono canali sotterranei, ormai a noi sconosciuti, dove anche il mondo musicale procede senza averci tra i suoi passeggeri.
qualche pensiero a margine. i ragazzi di oggi sanno l'inglese decisamente meglio di noi. pronunciano bene le parole e pare che capiscano pure il senso delle canzoni. mica come noi che cantavano "o quand de sens go macinin" e ci siam sempre chiesti a che macinino si riferissero i lavoratori dei campi di cotone dell'alabama.
verona è bellissima e il teatro romano un gioiellino poco conosciuto, ma intrigante quasi quanto l'arena. ogni volta ci interroghiamo: ma gli artisti coglieranno la differenza fra una location del genere e una qualsiasi pepsi arena? sì, perché qui manca l'aria condizionata.
i mumford and sons ci hanno almeno risparmiato il saluto in italiano col riferimento alla pizza e agli spaghetti. in compenso non è mancata la battuta sulle tette di giulietta: almeno sapevano di essere a verona.
una bella serata, ma attendiamo hyde park e l'hard rock calling festival per vedere riconfermate le giuste gerarchie musicali.
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