(io amo quest'uomo, è ufficiale)
(non luis enrique, nè stekelenburg nè tantomeno luSio)
(io amo chi scrive sti resoconti)
So le
8, manca meno de un'ora all'inizio de sta partita che ormai più che un
classico è una stimmata generazionale, quando vengono diramate le
formazioni che vedono schierati Perrotta e Taddei come terzini. "Più che
calcio, postmodernismo", pensano alcuni, "Porca troia", esclamano
altri, "Ma che davero?" chiedono Perrotta e Taddei, "E noi?" se chiedono
Cassetti e Heinze, "me sa che ormai m'hanno sgamato" sussurra Rosi. Ma
tant'è, a noi le cose normali ce fanno ribrezzo, la revoluciòn è pane e
sorpresa, a costo de sorprende pure chi deve scende in campo. E mentre
il Barcellona A segna un gol ogni dieci minuti a qualche migliaio de
chilometri de distanza, la succursale trigorica s'appresta ad affondar
tacchetti nella fanga dell'agriturismo San Siro, co un Kjaer e un Borini
de più e co un Osvaldo sempre lì, quindi, inesorabilmente, co uno de
meno. Er pubblico d’ambedue s’apposta guardingo su spalti e decoder,
l’Inte s'apposta guardinga in attesa, la Roma imposta guardinga er
chiticaca che s'impone da sé, com’è naturale che sia. Anche perchè in
mezzo a sto girotondo mò ce se trova pure Trottolino Pizarro, campione
mondiale de giravolte da fermo e indubbiamente più funzionale al
chiticaca di Brighi e Simplicio.
Ma a Milano cominciare
bene per poi perdere e magari lamentasse dell'arbitro è tanto cassazione
quanto roba da intercettazioni bruciate, grandi vecchi, escort
insaziabili, poteri forti, dejadejadejavu che non muore mai. Quindi lì
per lì ce dà quasi fastidio st'ostinata posesiòn del balòn, sto dominio
immotivato, sta tigna pe recuperà il cuoio appena perso proprio come se
se smaniasse dala voja de dimostrà che poi ce se saprebbe fa qualcosa,
co quer cuoio balòn.
E però stavolta c'è algo de diverso.
Come
madri preoccupate per i figli che fanno il saggio, come padri
orgogliosi dei pischelli che stanno pe dimostrà finalmente a chi so
figli, accompagnamo ogni passaggetto stronzo dei nostri con cenno
assertivo del capo, ogni bruciore de pressing con un “ooo” da fuochi
d'artificio a feragosto. E quando er senso dela famiglia è così forte,
tanto forte agli occhi der monnonfame che pure magnasse na pizza insieme
diventa na notizia, chi tocca i figli se la rischia.
"Apezzodemmmerdassassininfame"
urlamo in coro da un colle all'artro dela città quando Lucio, uno de
cui già avevamo predetto l'inevitabile nella scheda pre partita, uno che
nel nome de Cristo gioca in perenne crociata sui crociati degli
infedeli, se ne frega del sacrale rispetto che si deve ad un portiere in
uscita, e invece de zompà je stampa no scarpino sulla tempia,
battezzandoje la recchia sorda con intervento da otorinolaringoiatria
d'urto. E se è vero che pe fa er portiere devi esse pazzo, se pigli na
scarpata in testa de certo nte miora la situazione. Il guardiano del
tempio, da professionista serio quale solo gli olandesi e i sordi da na
recchia sanno esse, prima de svenì se guarda intorno a cercà sto cazzo
de balòn. Rassicuratosi, s’avvita e muore come un tulipano strappato
alla sua terra.
"E' sempre lui, espurgilo a quer pezzodemmerda, è
sempre lui", urla er tifoso romanista ancora poco avvezzo a quei dettami
der progetto che non voglion proteste neanche se te sacrificano ner
nome deddio. Ma siccome er calcio è scienza inesatta, l'arbitro sancisce
che Lucio ja preso sì la testa ma non je la voleva spaccà, non der
tutto armeno, solo mpochetto, quindi rosso è troppo, famo giallo e nse
ne parli più. E però, a ben vedere, ce stavamo a ricascà. Giocavamo
bene, ancora non perdevamo, ma già se stavamo a lamentà dell'arbitro.
Così non va.
E allora via. Via da vecchi costumi e
lamentele. E via pure dai vecchi pregiudizi verso quel calvo
pallavolista incastonato tra pali e traversa che ha conquistato la
Romania a colpi de baker. Non ne bloccherà una pe tutta la partita,
perché lui è fatto così, portiere anni 70, forse pure 60, brutto a
vedesse (sempre) eppur efficace (random). Il fatto de non falla entrà,
ricordando le sculate gesta de Lupatelli, artra mezza sega calva che
restando inviolata per svariate partite divenne Campione d’Italia, è
amuleto non da poco.
Ma se la palla non entra manco con Lobont,
buona parte der merito va alle divinità nordiche tutte, co un occhio de
riguardo pe Odino che c’ha mannato er fio Thor detto Kjaer in mezzo alla
difesa. “Chi è Kjaer?” ci chiedevamo battezzandolo Loria biondo per
colpa di Youtube. “Kjaer!” rispondiamo guardandolo ligio come un Mexes
senza mestruazioni. “Sì ma chi è Kjaer?” “Kjaer!, rispondiamo mentre
Stek esce in barella e intorno al danese non resta traccia di anglofonia
(che loro hanno i film coi sottotitoli e imparano l’inglese da piccoli e
noi no e i negri c’hanno il ritmo nel sangue). “Chi è che gioca in
prima base?”, cazzeggiamo mentre questo, pur con inguardabile
elastichetto che se vede che i metrosexual so arivati pure tra i freak
di Christiania, chiude, anticipa, pressa e svetta con albina precisione.
“No
pasaran!” si esalta Luigi Enrico dall’iberica panca. “Sì ma leva
Osvardo!” risponde idealmente la grande famiglia giallorossa.
Che
lì davanti qualcosa se move pure, ma è quasi esclusivamente Borini, che
vòi pe l’areodinamica da Formula uno garantita dalla nasca, vòi pe
l’innata tigna, vòi soprattutto perché quando c’hai 19 anni, a meno che
tu non giochi a golf o non te chiami Menez, nello sport se nota, mozzica
ogni pallone e pare pericoloso pure quando non fa un cazzo. Quando poi
er pericolo se concretizza, che soo dimo a fà, Giulio Cesare se riscopre
imperatore dei pali e vola a levà la palla dalla rete e la mano dalla
bocca al mordace pischello.
L’Inte, dar canto suo,
s’affida a Nagatomo, il quale s’affida a Taddei, il quale smadonnando
Luigi Enrico e la dea della duttilità in campo, se chiede: “Ma possibile
che proprio oggi che gioco io se divertono tutti tranne me?”. E il
bello è che a pensacce bene, con l’eccezione di De Rossi che gioca ogni
pallone pensando alla risposta da dà al prossimo de Sky che je chiederà
se ha firmato, de Borini che gioca con la voja de vive tipica der
miracolato e de Kjaer che pare sempre a un niente dall’ordinare ai
sottoposti il passo dell’oca, gli altri non stanno a fa niente di
clamoroso. Totti, addirittura, sbaglia i passaggi proprio come li
sbaglierebbe na punta da 200 gol che se mettesse a fa er centrocampista
tuttofare alla sua età.
Eppure, all’intervallo siamo contenti.
“Se
giocamo così le potemo pure perde tutte” se dimo smozzicando bistecche e
arrosticini come fossimo Carnivori giocatori in crisi de risultati. “Le
potemo pure perde tutte, nce ne frega gnente”, se dimo cor cervello
plagiato dar progetto. “Tutte, tutte”, ribadimo da fondamentalisti
decoubertiniani, mentre i nostri rientrano in campo co la faccia de chi
ormai è convinto che il calcio abbia cambiato regole, preferenze,
strumenti, opzioni, cancella cronologia. Perché la sensazione comune a
tifosi e giocatori è che segnà, tutto sommato, sia un di più. Quel che
conta non è fa gò, ma dà la sensazione de potello fa. E niente più dela
posesiòn del balòn te ce fa crede così tanto. Tirà in porta è roba da
anticaje e petrella, gesto vintage, reperto da rigattiere, mpo
grammofono mpo telefono a gettoni. Er gò. Nostalgia canaglia.
Eppure,
beata anacronistica ignoranza, ce sta uno che er gò lo desidera più de
ogni altra cosa ar monno, precisamente er gò suo nella porta nostra.
Dopo du anni passati a riguardasse su Youtube quello che c’aveva fatto a
no sciagurato derby, lo spettinato ad arte Zarate vorebbe tanto riprovà
quella gioia, mentre la nostra è già a livelli accettabili quando
vediamo che Gasperini, che dio ce lo conservi, lo preferisce a un
Pazzini imbullonato in poltrona.
Maurito L’Oreal guizza e scatta
con ritrovata verve, si danna, s’accentra, si prepara e si coordina,
sfoggiando tutto il suo repertorio di repentini cambi di direzione e
invidiabili parabole arcuate che puntualmente non servono a un cazzo. E
ogni volta che le laziali vedove di Maurito stan per esultare cor ditino
infame pronto sui cellulari e sui profili de Facebook, si ritrovano
come lui: mano nei capelli e sul volto, occhi chiusi per la disperazione
e il troppo gel colato dai capelli al volto, che il sudòr non è mero
fattore liquido, e devi sapello gestì.
Poi esce Pizarro ed
entra Gago; quindi esce Borini ed entra Borriello, ma siccome resta Er
Cipolla, si capisce che er gò non è priorità, e per le ragioni accennate
poco fa, a noi poco ce cambia, anzi.
In compenso la posesiòn non è
più così possessiva e tutto lascia presagire che er destino cinico e
interista se stia pe profilà; dopo na partita gajarda e tosta stamo solo
a cercà de capì quanto grossa, immeritata e dolorosa sarà la beffa.
Ma
a quer punto s’abbatte definitivo sur Meazza il fattore Gasperini, nel
senso che uno che pe vince leva Forlan pe mette Muntari, er dubbio che
er lavoro suo sia in fattoria te lo fa venì. E si rivela inutile anche
il tentativo di eliminare il migliore in campo con colpi che non se
vedevano manco a Guantanamo nell’era Bush, co un De Rossi che, dopo aver
suscitato unanime, trasversale, universale, virile solidarietà, se
rialza sbattendo i tacchi a gridar “La stirpe è salva!”. Allora vordì
che il progetto c’è, che il futuro è assicurato e il passato non fa più
paura, definitivamente, quanno ar minuto 86 er fiordo danese disimpegna
de tacco su Snaidero che a botta sicura ridisimpegna sull’ariano stinco
cor laccetto, o al minuto 90+3, quando Burdisso sbraga sullo Snaidero de
cui sopra e Mazzoleni, in barba ad una tradizione arbitrale sansirina
che ha visto sanzionare molto meno, lascia correre, fino al fischio
finale.
E
allora corriamo e gioiamo come na scolaresca in pizzeria, adelante con
juicio, tutti uniti, mano nella mano, co un punto in classifica e mpaio
sur capoccione orange.
E allora adelante adelante che il destino è
distante ma al volante c'è un uomo ai margini della cui scucchia un
soriso finalmente s’affaccia a pronunciar la via, verso l’ignota
dimensione spaziotemporale dove, a costo de perde sto balòn per qualche
secondo, qualcuno farà gò.
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