Giulia deve essere un nome fortunato, perlomeno per me.
La mia nipotastra adottiva si chiama così, inizialmente la nostra primogenita doveva chiamarsi così (poi ad un certo punto ci siamo accorti che se l'avessimo portata in un parco giochi e l'avessimo chiamata Giuuuuuuliaaaaaaaaaaaa saremmo tornati a casa in 73).
Anche l'autrice di questo bellissimo resoconto di san siro 2013 si chiama così (ed è amicamicamicamica della mia nipotastra.)
Lo ha pubblicato su questo bel sito: http://www.outsidersmusica.it/ su cui vi consiglio di fare un salto ogni tanto.
Detto questo, pronti via, ritorniamo con la mente e col cuore al concerto di milano di bruce springsteen insieme a lei, che era alla sua prima volta.
Perchè non dobbiamo dimenticare che sono gli esordienti quelli più importanti, quelli da "istruire" e da "convertire", quelli per cui bruce dà qualcosa in più, loro, non i talebani della transenna.
Perchè le cose che si vivono al primo concerto di bruce non si rivivono più e sarebbe bello che tutti noi, soprattutto i soloni delle setlist, ce lo ricordassimo più spesso.
Perchè non dobbiamo dimenticare che sono gli esordienti quelli più importanti, quelli da "istruire" e da "convertire", quelli per cui bruce dà qualcosa in più, loro, non i talebani della transenna.
Perchè le cose che si vivono al primo concerto di bruce non si rivivono più e sarebbe bello che tutti noi, soprattutto i soloni delle setlist, ce lo ricordassimo più spesso.
Tutti dovrebbero perdere la verginità Springsteeniana,
tutti. Perchè finchè non lo vedi non ci credi! Ho due amiche che amano
follemente Bruce: una in particolare, ogni volta che la sentivo parlare
di lui e dei suoi concerti con lo sguardo da innamorata, pensavo fosse
lei esagerata, che fosse un delirio da drogata di rock. Così,
incuriosita, decido di farmi comprare il biglietto per il suo concerto a
San Siro: 3 giugno 2013, posto unico prato.
Gli applausi per lui
iniziano ancora prima della sua apparizione sul palco, e alle 20.15
quando mette il naso sul quel palco…è fuoco! 60mila persone che lo aspettano in piedi, un boato degno della partita del secolo, gli anelli che sfoggiano un coreografico “OUR LOVE IS REAL”.
Addirittura il Boss indietreggia di due passi e si mette la mano sul
cuore. Ripeterà più volte durante le tre ore abbondanti di concerto
quanto lui ami San Siro e,per quanto possano essere le solite frasi da
rockstar, è indubbio quanto questo amore sia ricambiato. Dalle prime
note di Land of Hope and Dreams inizia a tremare lo stadio e
dà il via la scaletta più magica che qualsiasi appassionato di musica
potrebbe sognare: passaggi dal rock più puro a canzoni più romantiche,
passando per balli scatenati, fino all’armonica e chitarra acustica
della buona notte. Io non posso definirmi una sua vera fan, mettermi ad
elencare le canzoni sembrerebbe ipocrita e poco credibile, inoltre la
scaletta è facilmente recuperabile da altri articoli molto più
attendibili: io posso solo raccontare come ci si innamora perdutamente di lui.
Dopo le prime due
canzoni si immerge tra i suoi fans nel pit e inizia a recuperare
cartelloni con le canzoni richieste: con un viso davvero divertito e
goduto, mostra un cartellone girandolo verso la sua band. Dal mega
schermo riesce a leggere il titolo anche lo stadio: American Land… ed è subito mani che ballano, gambe che saltano, ugole che vibrano e occhi che brillano ovunque: per il Boss trascinatore, per la sua E Street Band
che non sbaglia un colpo e per le 50mila persone che sembrano essere
proprio tutte su quel palco. Le canzoni e i cartelloni scivolano veloci,
chiede il silenzio e San Siro si zittisce di colpo, chiede urla e San
Siro urla, chiede battiti di mani o mani che volano e tutti lo fanno: un
concerto del Boss è un alchimia perfetta, un incantesimo. Pausa: con un
italiano stentato inizia a ricordare i concerti fatti fino ad ora a
Milano. Il primo fu per l’album Born in The U.S.A.: non fa nemmeno in tempo a dire “Questa sera in onore di questi splendidi concerti suoneremo…”
che già il pubblico impazzisce. Dal prato si ha davvero la sensazione
di ritrovarsi a breve in braccio tutti quelli del terzo anello, ma
nessuno sembra preoccuparsi, anzi. Conclude la frase con “…tutte le canzoni dell’album Born in the U.S.A” e all’inconfondibile “one, two, three, four” vedo davanti ai miei occhi tutte le canzoni che ho continuato ad ascoltare a ripetizione negli ultimi mesi, condite di tanti muscoli, tanto sudore e tanto rock. E’ il momento di Dancing in the Dark e
Bruce inizia a far salire sul palco chi, sbandierando i suoi
cartelloni, chiede di ballare con i vari membri della band. Fa salire
anche una nonna con la nipote(visibilmente
emozionata,continua a toccarlo in viso e a baciarlo come se avesse
realizzato il sogno di una vita e alla fine, incredula, si lancia sul
pubblico nel pit) e fa salire una ragazza per suonare insieme a lei la chitarra.
Ho sempre visto questi momenti di show col pubblico dai video su
youtube e mi son sempre sembrati una forzatura, ma quando sei in mezzo a
quei corpi che saltano, vedi Bruce Springsteen eccitato e felice come un bambino la mattina di Natale,
vedi il pubblico che non riesce a salire insieme a lui che piange
perchè si rivede nell’emozione di chi ce l’ha fatta, vedi l’adrenalina
delle persone appena salite sul palco e la commozione mentre stanno per
scendervi, vedi i sogni che si avverano. A questo punto, il groppo in
gola sale anche a me,misera fan appena nata. Stesso discorso vale per la
tradizionale Waitin’ On A Sunny Day, dove il
Boss cerca con lo sguardo la bambina che non aveva sbagliato una canzone
dall’inizio del concerto, la prende e la fa salire. Con inaspettata
naturalezza e un ottimo inglese, il nostro metro di bimba inizia a
cantare il ritornello, chiama da vera rockstar il resto della band e
alza le braccia al cielo: ha appena realizzato il sogno della sua vita,
ma anche quello dei suoi genitori. A un certo punto Bruce sale sul
pianoforte in piedi, fa cenno come se non sentisse il suo pubblico: la
gente gli risponde urlando,urla più che può per lui,quindi soddisfatto
scende e inizia una lap dance con il microfono finchè non parte l’immancabile Tenth Avenue Freeze Outcon le commuoventi immagini del buon Clarence Clemons, tributato dall’assolo del suo giovane ma prodigioso nipote.
Non ci sono pause,
si continua ininterrottamente: sono le 23 e la band saluta il pubblico,
ma San Siro non li vuole fare andare da nessuna parte,così iniziano i
bis e a Born to Run si capisce quanto questo
64enne sia davvero nato per correre e non abbia nessuna voglia di
fermarsi, né lui, né la sua band, né il suo pubblico. Chiede quindi se
qualcuno vuole andare a casa, ma siccome non ottiene risposta, decide di
dare il bianco: Twist and Shout e Shout suonati
con tutta la band in prima fila e poi in mezzo al pubblico, facendo
accucciare per terra tutto il prato e facendolo poi saltare come molle.
Visibilmente sfinita ma entusiasta, la E Street Band saluta il suo
pubblico e il suo Boss e se ne va…ma la nostra divinità non riesce a
salutare così questo stadio, quindi con chitarra acustica e armonica
augura la buona notte con una versione di Thunder Road davvero da brividi. La pelle d’oca, la gola secca e le gambe gonfie sono le controindicazioni di tre ore e venti minuti con Bruce Springsteen e la E Street Band,
ma mentre torni a casa stravolta e rischi di addormentarti su
un’autostrada tutta dritta, hai la voglia e,anzi, senti proprio il
bisogno fisico di fare inversione e tornare ad urlare con lui ad ogni
suo “C’MON!” ancora, ancora e ancora. Un suo grande fan, al suo 20esimo
concerto con Bruce, mi aveva avvisata con un frase mistica: “Ti dico quello che hanno detto a me la prima volta. Guarda che poi non smetti più”. Mannaggia,
è proprio vero, causa dipendenza! Un grazie a Cecilia e Giuta per
avermi iniziato a questo grande momento di vita e d’amore.
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